Bergoglio ha rilasciato il 28 maggio scorso un’intervista alla giornalista Valentina Alazraki,dell’emittente messicana Televisa. Tra le cose dette dal papa in molti si sono soffermati soprattutto sulla questione McCarrick, sui muri e sui porti chiusi, ma il Nostro ha parlato anche di cose più importanti. Ad essere toccati anche temi più dottrinali: oltre ad una trattazione indifferentista dei rapporti con l’Islam (sulle orme del Vaticano II e dei pontificati di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI), alcune perle sulle scottanti problematiche dell’omosessualità e dell’ammissione ai sacramenti (soprattutto alla Comunione) dei cosiddetti “divorziati risposati”. Nel primo caso abbiamo melense pennellate di “Dio ti ama come sei, anche se fai il contrario di quello che ti comanda” (in barba alla lapidaria sentenza del Cristo in Gv XIV, 21: “Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama. Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui“); nel secondo l’esclusione di regole generali che valgano dappertutto: rifiuto della casistica o presunta tale e soggettivismo di Amoris Laetitia (et Matrimonii moestitia) spacciati per applicazione di un preteso “principio di gradualità” che sarebbe (risum teneatis) “dottrina di San Tommaso”. Parola d’ordine: riformare, aggiornare (parola d’ordine di Roncalli), musealizzare ciò che è “di corte” perché la gente lo chiede. Del resto chi si pone al servizio di corti estranee alla Chiesa, facendone proprie le idee “nuove” (vecchie quanto la scena dell’Eden) deve per forza rinunziare alla sua. E che importa se quella che il modernista peronista chiama “corte” da distruggere è la costituzione (gerarchica e monarchica) che Cristo ha dato alla sua Chiesa: l’importante è essere democraticamente col popolo, i cui bisogni (indotti) manifestano la rivelazione di Dio. Dopotutto la collegialità, il doppio soggetto del potere supremo, le conferenze episcopali, i consigli pastorali (tutti modi per distruggere la autorità sacra) mica li ha inventati Bergoglio!
Di seguito alcuni punti salienti della lunga intervista.

Forse c’è un altro tema che attira l’attenzione e che credo sarebbe bene spiegare. È il suo relazionarsi con le persone che vivono situazioni che prima si chiamavano “irregolari”, diciamo così. Le faccio un esempio. Quando lei ha ricevuto a Santa Marta un transessuale spagnolo con il suo compagno è, chiaro, che quelle persone sono uscite da Santa Marta dicendo che lei le ha abbracciate, le ha benedette, ha detto che Dio le ama. Poi una donna argentina divorziata l’ha chiamata al telefono e ha poi riferito: «Il Papa ha detto che posso fare la comunione». É chiaro, i fedeli, in un caso e nell’altro, vanno dai sacerdoti e dicono: «il Papa mi ha detto che va tutto bene e che posso fare la comunione». E i sacerdoti si mettono le mani nei capelli e dicono: «e ora che faccio?», perché la dottrina non è cambiata. Allora, come gestisce lei questa situazione?

R. – A volte la gente per l’entusiasmo di essere ricevuta dice più cose di quelle che ha detto il Papa, non lo dimentichiamo.

È un rischio che lei corre…

R. – Chiaro, un rischio. Ma tutti sono figli di Dio, tutti siamo figli di Dio. Tutti. E io non posso scartare nessuno. Se devo fare attenzione a chi gioca sporco, a chi mi tende un tranello, devo far attenzione. Ma scartare, no. Non posso nemmeno dire a una persona che la sua condotta è in sintonia con quanto la Chiesa vuole, non posso farlo. Ma devo dirle la verità: “Sei figlio di Dio e Dio ti ama così, ora, veditela con Dio”. Io non ho diritto di dire a nessuno che non è figlio di Dio perché non sarebbe la verità. E non posso dire a qualcuno che Dio non lo ama perché Dio ama tutti, ha amato persino Giuda. Chiaro, questi sono casi limite. Ciò che ho detto a quella signora, non lo ricordo bene, ma le devo aver detto sicuramente: “Guardi, in Amoris laetitia c’è quello che lei deve fare. Parli con un sacerdote, e con lui cerchi…”.

Un cammino…

R. – Un cammino, apro un cammino. Ma faccio molta attenzione a dire “lei può fare o meno la comunione” a dodicimila chilometri di distanza, sarebbe un atto d’irresponsabilità. E inoltre sarebbe cadere nella casistica, posso o non posso, cosa che non accetto. È un processo d’integrazione nella Chiesa. Se tutti noi pensassimo che le persone che stanno in situazioni irregolari… non facciamolo, non mi piace.

Sì, è una parola che lei detesta, e anch’io, ma per capirci.

R. – Se ci convincessimo che sono figli di Dio, la cosa cambierebbe abbastanza. Mi hanno fatto una domanda durante il volo — dopo mi sono arrabbiato, mi sono arrabbiato perché un giornale l’ha riportata — sull’integrazione familiare delle persone con orientamento omosessuale. Io ho detto: le persone omosessuali hanno diritto a stare nella famiglia, le persone con un orientamento omosessuale hanno diritto a stare nella famiglia e i genitori hanno diritto a riconoscere quel figlio come omosessuale, quella figlia come omosessuale, non si può scacciare dalla famiglia nessuno né rendergli la vita impossibile. Un’altra cosa che ho detto è: quando si vede qualche segno nei ragazzi che stanno crescendo bisogna mandarli, avrei dovuto dire da un professionista, e invece mi è uscito psichiatra. Titolo di quel giornale: “Il Papa manda gli omosessuali dallo psichiatra”. Non è vero! Mi hanno fatto un’altra volta la stessa domanda e ho ripetuto: sono figli di Dio, hanno diritto a una famiglia, e basta. E ho spiegato: mi sono sbagliato a usare quella parola, ma volevo dire questo. Quando notate qualcosa di strano, no, non di strano, qualcosa che è fuori dal comune, non prendete quella parolina per annullare il contesto. Quello che dice è: ha diritto a una famiglia. E questo non vuol dire approvare gli atti omosessuali, tutt’altro.

Sa che succede, che lei molte volte si stacca dal contesto, è anche un vizio della stampa. Quando lei ha detto nel suo primo viaggio quella famosissima frase: “chi sono io per giudicare”, lei prima aveva detto: “sappiamo già quello che dice il catechismo”. Ciò che succede è che questa prima parte non si ricorda, si ricorda solo: “chi sono io per giudicare”. Allora anche questo ha suscitato molte aspettative nella comunità omosessuale mondiale, perché hanno pensato che lei sarebbe andato avanti.

R. – Sì, ho fatto dichiarazioni come questa della famiglia per andare avanti. La dottrina è la stessa, quella dei divorziati è stata riadattata, in linea però con Amoris laetitia, nel capitolo ottavo, che è recuperare la dottrina di San Tommaso, non la casistica.

È questo il problema che a volte si crea.

R. – Ed è strano, mi hanno raccontato che è stata una persona non credente a difendermi. Ha detto una cosa mai sentita prima, che la frase “veda uno psichiatra” era un lapsus linguae.

Papa Francesco, c’è una cosa che richiama la mia attenzione. Alcuni suoi conoscenti quando viveva in Argentina dicono che lei era conservatore, per usare sempre categorie, diciamo, nella dottrina.

R. – Sono conservatore.

Lei ha fatto tutta una battaglia sui matrimoni con persone dello stesso sesso in Argentina. E poi dicono che è venuto qui, è stato eletto Papa e ora sembra molto più liberale di quanto lo fosse in Argentina. Si riconosce in questa descrizione che fanno alcune persone che l’hanno conosciuta prima, o è stata la grazia dello Spirito Santo che le ha dato di più? [ride]

R. – La grazia dello Spirito Santo esiste, certo. Io ho sempre difeso la dottrina. Ed è curioso, nella legge sul matrimonio omosessuale… É un’incongruenza parlare di matrimonio omosessuale.

Allora non è vero che prima era una cosa e ora un’altra.

R. – No, prima ero una cosa e ora sono un’altra, è vero.

Sì, perché ora è Papa.

R. – No, perché confido nel fatto che sono cresciuto un po’, che mi sono santificato un po’ di più. Si cambia nella vita. Che ho ampliato i criteri, può essere, che vedendo i problemi mondiali ho avuto più coscienza di certe cose di quanta ne avessi prima. No, credo che in tal senso ci sono cambiamenti, sì. Ma, conservatore… Sono tutte e due le cose.

Sarebbe tutte e due le cose allora?

R. –  E sì, in Argentina andavo nelle villas, in una villa per esempio mi si fermerà il cuore, e poi mi preoccupavo pure che la catechesi fosse seria. Non so, un poco… un mix.

È molto difficile rinchiudere le persone in categorie.

R. – É vero.

[…]

Si ha la sensazione che esista un paradosso tra lei, che in tutti i modi gode di grande popolarità – alle persone piacciono molto la sua vicinanza, la sua umanità, il fatto che sia una persona tanto spontanea – e una Chiesa che vive una crisi. Quindi parrebbe esserci una contraddizione tra una Chiesa in crisi e un Papa che gode di popolarità. Come si vive tutto ciò?

R. – Bene, anche il Papa attraversa delle crisi. Parliamo di una di queste. Anch’io. E anche la Chiesa vive momenti di popolarità. Credo che la Chiesa stia cambiando, lo dimostrano i tentativi di riforma che stiamo facendo, che si fanno, che non sono merito mio. Questo è stato chiesto da tutti i cardinali al Papa che stava per essere eletto. Ossia, colui che stava lì, che stava per diventare Papa, ha ascoltato tutto. E nel mio caso non faccio che mettere in moto quello che loro mi hanno chiesto, cioè coscienza di queste crisi della Chiesa. Però le crisi sono anche di crescita; per me è una crisi di crescita, dove bisogna aggiustare certe cose, promuoverne altre e andare avanti, avanti in questo aspetto. Questo non lo vivo come contrapposizione perché ci sono persone più popolari di me nella Chiesa e pastori popolari molto amati dal popolo. E io l’ho visto nella mia patria e altrove. Anche qui in Italia. L’esempio è il nuovo vescovo di Lucca, Giulietti: “Entrerò camminando nella mia diocesi, camminando”. Un po’ di semi-sport, chiaro, la gente ha visto: “questo nuovo pastore non viene in una limousine già tutto ben vestito”. E il popolo si è andato raccogliendo attorno e c’erano 2300 giovani con lui. Arrivato alla cattedrale, prima di entrare, si mette la sottana, si veste da vescovo e entra con il suo popolo. È fantastico! Questa non è una Chiesa in crisi, è una Chiesa in crescita! Ed è solo l’ultimo esempio che è uscito sui giornali. E ce ne sono tanti … Quando vediamo questi uomini e queste donne sepolti in paesi lontani che consumano la loro vita lì … La suorina dei tremila parti che ho incontrato nella Repubblica Centrafricana… Questa è la forza. A essere in crisi sono le modalità che formano la Chiesa, che devono cadere. Dobbiamo esserne consapevoli. Lo Stato della Città del Vaticano come forma di governo, la Curia, quello che è, è l’ultima corte europea di una monarchia assoluta. L’ultima. Le altre sono ormai monarchie costituzionali. La corte si diluisce. Qui ci sono ancora strutture di corte, che sono ciò che deve cadere.

Con la sua riforma ha la sensazione che già stiamo per…

R. – Non è la mia riforma…

Sì, ma lei l’ha presieduta…

R. – Però l’hanno richiesta i cardinali. Questa è la realtà.

Lei l’ha dovuta portare avanti…

R. – Sì, l’abbiamo portata avanti come abbiamo potuto. È una riforma che stiamo portando avanti, cercando di dividere gli accordi. La gente ha voglia di riformare. Per esempio, il palazzo di Castel Gandolfo, che viene da un imperatore romano, restaurato nel Rinascimento, oggi non è più un palazzo pontificio: oggi è un museo, è tutto un museo. E quindi il prossimo Papa se vorrà andare a passare l’estate lì, e ne ha diritto, ci sono due palazzi, può andare in uno di questi, è tenuto bene. Però questo è un museo. Si cambia… La corte si trasferiva tutta a Castel Gandolfo perché sono abitudini, costumi antichi che si possono riformare. Il Papa deve andare in vacanza, ovviamente! Ebbene, Giovanni Paolo II andava a sciare. Benedetto andava a camminare in montagna…  Il Papa è una persona, una persona umana. Ma lo schema di corte deve sparire. E questo lo hanno chiesto tutti i cardinali, ebbene, la maggior parte, grazie a Dio.

[…]

Non abbiamo parlato ancora dei grandi temi del dialogo interreligioso e della geopolitica, che chiaramente sono una parte molto importante del suo pontificato. E nell’ultimo anno credo che sia stato particolarmente evidente il suo avvicinamento al mondo dell’islam, con momenti molto importanti: il primo viaggio di un Papa negli Emirati, la firma sulla fratellanza umana. Qual è la sua strategia verso l’islam, lo sente come una priorità in questo momento?

R. – Penso di sì. Quando vado nei quartieri qui a Roma, nelle parrocchie alcuni mi dicono: “Sono musulmano, sono musulmana”, ma le donne con il velo vengono comunque a salutarmi. Ossia, l’islam è entrato di nuovo in Europa, siamo realisti. L’islam è una realtà che non possiamo ignorare. In alcuni Paesi dell’Africa gli islamici e cristiani vivono come amici, sono molto amici. Ci ha raccontato un vescovo che durante il Giubileo nella cattedrale c’era sempre una lunga fila di gente, dalla mattina alla sera. Alcuni andavano a confessarsi, altri rimanevano a pregare. La maggior parte si fermava davanti all’altare della Vergine. Erano tutti islamici! Il vescovo un giorno ha detto: “Ma voi siete musulmani, che venite a fare qui?”. “Vogliamo ottenere il giubileo anche noi”. Andavano all’altare della Vergine. Credo che siamo fratelli, veniamo tutti da Abramo, e su questo punto seguo le linee del Concilio: tendere la mano a ebrei, islamici, tendere il più possibile la mano. Certo che l’islam è ferito fortemente da gruppi estremisti, da gruppi intransigenti, fondamentalisti. Anche noi cristiani abbiamo gruppi fondamentalisti, piccoli gruppi fondamentalisti, che non sono guerriglieri ovviamente. Ma ci sono. Bisogna aiutarli con la vicinanza, perché mostrino il meglio che hanno, che non è certo la guerriglia.