di Luca Fumagalli

Il XVI secolo, epoca terribile per l’Europa e il cattolicesimo, oltre a eresiarchi di ogni risma ha prodotto per fortuna anche grandissimi santi. Del resto, mai come nei tempi bui, la Chiesa ha sempre saputo generare i suoi migliori “anticorpi”, uomini e donne che in virtù della loro Fede sono stati in grado di compiere imprese straordinarie, addirittura veri e propri miracoli, riconducendo all’ovile le anime perse.

Mentre un intero continente era sul punto di spezzarsi a causa dell’ondata rivoluzionaria del protestantesimo, Sant’Ignazio di Loyola – un ex soldato spagnolo folgorato dalla lettura della vita di Cristo – decise di fondare un nuovo ordine, la Compagnia di Gesù, destinato a svolgere un ruolo determinante sia in campo missionario che apologetico.

Tra i primi discepoli di Ignazio vi era un suo connazionale, Francisco Xavier, più comunemente noto come Francesco Saverio (1506-1552). I due si erano incontrati per la prima volta all’università di Parigi, quando Francesco era ancora un giovane scavezzacollo, più interessato ai cavalli e ai bagordi che alla religione. Per lui Ignazio, con la sua umiltà e il suo carisma, fu un fulmine a ciel sereno: nel giro di qualche tempo Francesco cambiò vita, rimettendo Dio al centro di essa e rinunciando a quei piaceri che, tutto sommato, non lo avevano mai veramente gratificato. Dopo aver fatto gli esercizi spirituali, si fece sacerdote e, con il supporto del sovrano del Portogallo, si dedicò alla diffusione del Vangelo in Oriente, raggiungendo addirittura il Giappone e la Cina.

Al pari di San Paolo, San Francesco Saverio si fece tutto a tutti, non risparmiandosi mai. Ovunque ci fosse bisogno lui accorreva, soccorreva i malati e gli appestati incurante dei pericoli, e trascorreva notti insonni pregando ed elaborando le migliori strategie per convertire i popoli pagani dell’Asia. Fece costruire chiese e collegi, dotando di sacerdoti capaci le nuove comunità cristiane che spuntavano come funghi in ogni angolo dell’impero coloniale portoghese.

Naturalmente non mancarono le difficoltà, ma a queste Francesco si oppose sempre con grande fiducia e con la determinazione di un vero milite cristiano. Al momento di partire Ignazio lo aveva invitato a «infiammare il mondo» e lui aveva svolto diligentemente il compito, incendiando ogni cosa con il fuoco della sua Fede.

A San Francesco Saverio, la cui parabola esistenziale fu bella e affascinante quanto un’avventura, è dedicato Infiammare ogni cosa, romanzo di Louis de Wohl pubblicato per la prima volta nel 1953. Lo scrittore austro-ungarico, noto al pubblico italiano per i suoi racconti storici incentrati sulle grandi figure della cristianità – ad esempio L’ultimo crociato, con protagonista don Giovanni d’Austria, l’eroe di Lepanto, e La liberazione del gigante, su San Tommaso d’Aquino – regala al lettore l’immagine di un santo scomodo, radicalmente anti-moderno. D’altronde Francesco Saverio non si faceva problemi a ordinare la distruzione delle statue degli idoli pagani e a invocare l’intervento della Santa Inquisizione per arginare i malcostumi di certi scellerati portoghesi: quello che gli interessava, infatti, era unicamente salvare la propria anima e quella degli altri; per i meschini calcoli di convenienza, al contrario, non vi era alcuno spazio.

Forse Infiammare ogni cosa non è il migliore romanzo di de Wohl – a volte troppo prevedibile e didascalico – tuttavia resta un’ottima lettura per rinfrescare la mente e, soprattutto, per nutrire l’anima. Un’occasione, inoltre, per saggiare con mano quanto sia profondo l’abisso che separa la Chiesa tridentina, protesa verso Dio, da quella post-conciliare, così drammaticamente orizzontale, umana, troppo umana.

Il libro: Louis de Wohl, Infiammare ogni cosa. La storia di Francesco Saverio, Milano, BUR, 2017, 316 pagine, Euro 13.