di Massimo Micaletti

Vincent Lambert, grazie a Dio e all’impegno costante dei suoi genitori, è ancora vivo: la moglie dovrà rassegnarsi. La sua vicenda è estremamente intricata: è sufficiente aver presente che la “Legge Leonetti”, che nel 2005 ha introdotto il testamento biologico e in sostanza l’eutanasia in Francia, stabilisce che, in collaborazione con la famiglia del paziente, i medici devono decidere se il suo mantenimento è una questione di “inesorabilità terapeutica” e “ostinazione irragionevole” ma, se ci sono familiari o altri soggetti che intendono opporsi a questa decisione, ebbene sede giudiziaria competente a discutere dell’opposizione sarà non una corte civile o penale ma un tribunale amministrativo. Nel caso Lambert, la giustizia amministrativa si è già pronunciata sino alla sua massima istanza (il Consiglio di Stato), abbiamo in simultanea assistito al solito avallo pro morte della Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) e solo l’intervento della Corte d’appello amministrativa di Parigi, che ha richiamato a propria volta una raccomandazione del Comitato delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità adottata il 24 aprile, ha potuto scongiurare la morte di Vincent per fame e sete, dopo che il tribunale amministrativo aveva detto che intendeva tirare dritto perché il provvedimento non è vincolante.
E qui sta il punto: il tribunale amministrativo aveva ragione, la raccomandazione del Comitato ONU non è atto vincolante. Da questa constatazione, apparentemente solo giuridica, derivano alcune conseguenze quantomeno inquietanti e che rendono ben chiaro quanto la storia del povero Lambert sia disumana.
In primis, il fatto che un ente in toto sovranazionale abbia deciso della vita di una persona. Dovremmo esserci abituati, considerate le recenti pronunce della Corte europea nei casi Gard e Evans, ma nel caso Lambert c’è uno scatto in più: la decisione esce del tutto fuori dalla giurisdizione europea e viene assunta dall’ONU. Altro che libertà, autonomia, scelta, dignità: ci sono dei signori che tu non hai mai visto, che nulla hanno a che vedere neppure colla sovranità propriamente detta del tuo Paese (o quantomeno dell’Unione Europea, ammesso che possa parlarsi di sovranità europea in senso tecnico) e che hanno su di te potere di vita o di morte. Stavolta hanno scelto bene, ma la prossima volta come potrebbe andare?
Siamo quindi ben oltre il problema se sia lecito decidere sulla vita di una persona, per giunta indifesa; siamo ben oltre il problema di chi possa decidere, se i parenti o i medici; siamo persino oltre la potestà di intervento dell’autorità giudiziaria e ben oltre la legge nazionale, perché la vita di Lambert è stata salvata da un ente, il Comitato ONU sui diritti dei disabili, che non ha natura giudiziaria e che si è pronunciato sulla base della Convenzione del 2006[1].
L’ONU, a propria volta, dà una interpretazione (e intima un’applicazione) dei diritti umani del tutto difforme rispetto a quella delle corti francesi e soprattutto della CEDU: non dimentichiamo infatti che in questa storia è entrata anche la Corte europea dicendo, come suo solito, che Vincent Lambert poteva tranquillamente crepare di fame e di sete “per il suo migliore interesse”e che quindi, per paradossale drammatica conseguenza già ampiamente acclarata nei casi dei poveri Charlie, Alfie ed Isaiah, chiunque avesse tenuto Lambert in vita ne avrebbe violato i diritti umani. Per l’ONU, invece, i diritti umani di Lambert sarebbero stati violati se fosse stato fatto morire (francamente, quest’ultima interpretazione ci pare un pelino più plausibile). Quindi i casi sono due: o sbaglia la CEDU o sbaglia il Comitato ONU.
No, i casi sono tre: o sbaglia la CEDU, o sbaglia l’ONU, o sbaglia chi pone il problema della soppressione di un disabile indifeso.
Il vero sbaglio è quello ma pare che siano sempre meno quelli che se ne accorgono. La vera sedazione profonda è quella delle coscienze, di parenti e medici che accettano di porsi il problema se valga la pena o no che un paziente continui a vivere, ergo se sia il caso di sopprimerlo: una volta che viene iniettata quella domanda, la morale inizia ad anestetizzarsi, prosegue come sonnambula fino a un labirinto in cui può solo aggirarsi smarrita e sconfitta e dal quale qualcuno molto probabilmente uscirà morto. Questo labirinto silenzioso di spettri si chiama poeticamente “diritto di morire” e lasciate ogni speranza o voi ch’entrate. Somministrata la sedazione profonda della coscienza, si accettano gradualmente il rifiuto delle terapie, il rifiuto delle cure, l’eutanasia a richiesta, l’eutanasia imposta come stava accadendo a Lambert e come è accaduto, tra i troppi, a Terri Schiavo o Eluana Englaro, contro ogni evidenza di buon senso e pietà.
Colla coscienza, si addormenta fatalmente anche la ragione e il sonno della ragione genera morti.
E dal “diritto di morire” al dovere di crepare
è un attimo.
[1] https://www.unric.org/html/italian/pdf/Convenzione-disabili-ONU.pdf