La Compagnia di Gesù ha dato alla Chiesa una folta schiera di Martiri, prevalentemente caduti sul campo della propagazione della Fede Cattolica. Chi in Giappone od in America convertendo Pagani, chi nell’eretica Inghilterra (vedi qui), chi nell’Atlantico per mano di pirati Ugonotti (vedi qui), chi infine nell’Europa orientale nella santa missione di riportare nell’ovile romano “coloro che sono annebbiati dagli errori di Fozio” (Pio XI). Fra questi ultimi va annoverato il sacerdote Andrea Bobola, polacco, proclamato beato da Pio IX il 30 ottobre 1853 e canonizzato da Pio XI il 17 aprile 1938.

Correva l’anno 1657, ed era il giorno decimosesto di Maggio, quando lo zelantissimo Apostolo P. Andrea Bobòla cadde nelle mani dei nemici Cosacchi, i quali aborrendo i Cattolici, e particolarmente i Gesuiti, particolarissimamente aborrivano e perseguitavano questo Gesuita. Erano ad essi note le sacre missioni di lui, che tanto impedivano alla loro empietà di nuocere all’anime dei Lituani, conservando in questi la Fede cattolica e la speranza del Paradiso, e cosi serbandoli colla pazienza vincitori di tante barbare invasioni ed orribili stragi. Sapevamo essi che fino a tanto che il P. Andrea respirasse trai vivi, sarebbe stato sempre loro efficacemente impedito di render quei popoli ribelli della Chiesa Romana, e ardevano di rabbiosa brama, e tentavano tutti i più feroci modi di stabilire in ogni luogo lo scisma e la irreligione. Perciò, quanto più generoso il P. Andrea Bobòla si affaticava a salute dei Cattolici pericolanti, tanto più rabbiosi i Cosacchi tentavano tutte le vie di averlo vivo nelle mani. E accadde loro di averlo come bramavano nella mattina dell’accennato giorno in vicinanza di Janów.

Da molti anni coltivava il P. Andrea Bobòla la vera Fede in tutta la Lituania , e colle sacre missioni confermava i cattolici guadagnandone a Dio molti peccatori, e molte volte riduceva all’unità di Roma non pochi scismatici, e sempre sconcertava i tentativi dei papassi [sacerdoti] di Fozio in dilatare o mantenere lo scisma. E come egli era assistito dallo Spirito Santo, che in lui benediceva l’esercizio delle apostoliche virtù, compiacendosi ancora di condurre a maturità di copioso frutto la scienza dal medesimo P. Andrea acquistata studiando, cosi questi si vedeva sempre vincitore in tutti gl’incontri. Colle sue virtù, specialmente di orazione e mortificazione, atterriva la mollezza e il divaga mento dei ministri scismatici, i quali non avevano armi da opporre alle sue, cotanto sicure e felici. Colla dottrina appresa studiando, nel maneggio della quale si avvaleva molto della lingua greca a difendere e sostenere la retta comprensione dei Santi Padri , confondeva e rendeva inutile ed anche evidentemente ridicola la falsa scienza dei loro maliziosi teologi, o stupidi ripetitori delle fallacie degli antenati. Colla robusta predicazione, animata in esso ed avvalorata da tutti i doni di natura e di grazia, vinceva e conquistava a Dio tutti i cuori di buon terreno. Coi semplici catechismi educava per tempo a vera Fede i fanciulli; colle familiari istruzioni informava gli adulti a santità di costumi. Se conversava coi grandi e magnati, li rendeva cattolici, e protettori della Chiesa Cattolica. Se si trattenevasi coi plebei, ne addolciva gli animi, e civilizzandoli sapeva condurli alla vera Fede. In ogni parte , nella notte e nel giorno, per sé o per altri suoi compagni di apostolato, vegliava, istruiva, toglieva scandali, impediva peccati, fomentava la pietà e l’innocenza. E tutto ciò particolarmente durò ad operare in tutto quel tempo di sudori e fatiche che dedicò alla provincia Polesia.

È la Polesia una provincia della Lituania tutta circondata di stagni e paludi, che la rendono inaccessibile e forte. Quivi i foziani scismatici avevano stabilita la principale sede del loro scisma; e in grandissimo numero accorsivi d’ogni parte, si preparavano una provincia tutta loro da non esserne mai cacciati nemmeno colla guerra. Il Principe Adalberto Stanislao Radzivil, gran Cancelliere di Lituania, ed uomo zelantissimo della Fede Cattolica , fece fronte a quell’iniquo disegno col procurare che i cattolici si conservassero, e che ancora si riacquistassero gli scismatici. Perciò volle fondare in Pinsk, feudo della sua Casa, un Collegio alla Compagnia di Gesù, dotandolo con principesca magnificenza, affinché molti ed instancabili operai vi abitassero, a sollievo della Romana Fede in quella provincia.

Ed uno di quei molti, e il più fervente di tutti fu il P. Andrea Bobòla, che operando, siccome è detto, con apostolico zelo, tanto più si era acquistata l’odio degli scismatici, quanto più d’ogni altro dei nostri, i quali pur faticavano assai per lo bene dell’animo a maggior gloria di Dio, egli si dava ad ogni genere di fatiche. Odiavano il Collegio piantato a difesa della vera Religione nella provincia, odiavano ancora più qualunque dei nostri da quel Collegio usciva ad operare, ma sopra ogni credere odiavano il P. Andrea. E siccome le anime perdute ed ostinate nel male giungono a far sacrifici per rovinarsi eternamente, che non farebbero per acquistar la grazia di Dio e salvarsi, così gli scismatici naturali della Polesia sostenevano d’incontrare i pubblici mali di devastazione per avere il contento di veder atterrato il Collegio di Pinsk , uccisi i Gesuiti, e straziato il P. Andrea, del cui nome facevan continuo lamento ai Cosacchi devastatori. Poiché non ardivano di per sé toglier la vita al Padre, per la memoria della giusta vendetta, che il regio fisco aveva presa della città di  Vicebsk nell’uccisione del B. Giosafat Arcivescovo di Polack[1]; e perciò si erano contentati fin dal principio delle missioni di far dispetti quanti più potevano al Missionario. Fra i quali non é da tacersi questo di continuata molestia per molti anni. l moltissimi ragazzi della setta scismatica, appena vedevano comparire il P. Andrea, gridavano “Sacerdote latino!”, e preso di terra il fango ed altre immondezze, gettavano il raccolto contro di lui, e fuggivano per non udirlo parlare, perché persuasi che egli fosse il seduttore e la peste del popolo, e che udendolo ne sarebbero morti. Di quanta pazienza si acquistasse merito il P. Andrea può congetturarsi dall’accanimento degl’ingiuriatori, che faceva le veci di una morte, la quale non ardivano di dargli, benché la bramassero.

Pertinaci pertanto in questa persecuzione durissima di molestie e d’ingiurie finché avessero il destro di far morire per altrui mano il santo Missionario, giunto il momento di farlo facilmente vittima de‘ Cosacchi, di qua e di là spiandone i luoghi e le azioni, seppero far di maniera che nel villaggio di Peredylna da due ufficiali Cosacchi Zieleneski e Popenko accompagnati da grosso numero di soldati, fosse preso e legato. L’avevamo quei due nemici colla loro schiera inutilmente cercato dentro Janów, dove fu data loro certezza di trovarlo, e però raggiuntolo tra quella città ed il villaggio di Peredylna, per altro migliore avviso che ne ebbero, erano più di prima rabbiosi contro i Servo di Dio, come malcontenti dell’indugio e della fatica. L’annunzio fedele che i Cosacchi gli venivano addosso fu dato al P. Andrea quando stava in devoto ringraziamento del celebrato divin Sacrificio. Una carrozza, apprestata gli dai Cattolici per salvarlo colla fuga, l’accolse col suo familiare Giovanni Domonowski, ma non fu questa provvidenza felice siccome in Pinsk, dove i Cattolici di là facilmente poterono involar dal Collegio tutte le vittime, che la compagnia Cosacca si affrettava, per notturni agguati, a sorprendere all’improvviso.

Il cocchiere, che trasportava il P. Andrea Bobòla, vistosi scoperto dai soldati scismatici, prima che si appressassero se ne fuggì, lasciando in mezzo alla via e Padre e carrozza e cavalli e tutto per salvarsi la vita. Allora il P. Andrea scese della carrozza, s’ inginocchiò nel la strada, ed alzando al cielo gli occhi e le mani, fece offerta a Dio di se stesso, ripetendo assai volte un “Fiat voluntas Dei”. Presto gli sono addosso i Cosacchi, fremono nel circondarlo, ed uno di quei feroci gli dà per primo saluto due colpi di scimitarra in un braccio: mentre il P. Andrea, imitando il Divin Salvatore, prega ed ottiene scampo al Domonowski, che in seguito fu Coadiutore nella Compagnia di Gesù. Dopo quel primo ferirlo, l’ alzano furiosamente di terra, lo spogliano mezzo nudo, e traendolo ad una vicina siepe lo legano strettamente ad un albero: e quivi lo flagellano di furiosa tempesta di battiture. Pazientemente il Servo di Dio sostiene quella flagellazione. Stanchi del batterlo, lo sciolgono Cosacchi da quella pianta, e al collo di lui avvolgono una fune, e l’annodano, e ad essa assicurato, lo strascinano, a piedi, due di essi a cavallo: e come il santo Religioso, già tutto pesto dalle percosse, non poteva camminare al passo de’ due cavalli che l’avevano in mezzo, perciò un peggior Cosacco gli s’avvia dietro, e con una scure, ad ogni minimo ritardo, ferendolo sulle spalle lo spinge a procedere. Di tal feroce maniera, dopo mezza lega di si doloroso cammino, menando trionfo di tanta preda, giungono a Janòw e presentano il Martire al capitano.

A costui, che lo accolse tutto rabbioso in cuore ed in faccia, professò la Fede Cattolica, e si nominò Sacerdote bramoso di morire in essa; ed alle sue minacce di strappargliela coi tormenti rispose con apostolica esortazione ad abiurare lo scisma. Questa esortazione eccitò il furore di quel crudele, che di subito avventò un fondente di sciabola alla testa del P. Andrea. Un primo moto di natural difesa, che il Padre fece alzando una mano a schermirsene, ruppe l’impeto di quel colpo, ma la mano restò quasi tutta recisa dal braccio, ed il Martire cadde. Su lui caduto replicò un colpo di sciabola lo scismatico capitano, e gli apri in un piede una grave ferita. Poi un soldato , vedendo che il P. Andrea cosi steso in terra teneva fissi gli occhi ad una non so qual parte, temé che invocasse aiuto, e colla. punta di un pugnale gli svolse un occhio di fronte.

Queste tante maniere di crudeltà non sono che le primi zie del martirio del P. Andrea. Era presso alla via una bottega di macellaio: qua lo strascinano pieno di ferite e grondante di’ sangue; ve lo spogliano tutto nudo, e con fiaccole ardenti gli abbrustoliscono il petto ed i fianchi. Né contenti di tanto, ricorrono i Cosacchi ad una delle loro invenzioni, nelle quali son famosi per crudeltà nello straziare cui vogliono; e presi ramicelli freschissimi di quercia o d’altro albero resistente, ne avvolgono ad un per volta una quantità intorno alla testa del Martire, e tenendo i capi di essi nelle lor mani gli stringono contorcendoli, e premendo di modo il capo di lui, che ve li fan penetrar fino all’ osso: e solamente si astengono dal farne crepare il cranio per serbarselo vivo a replicargli più volte questo, o fargli patire altri tormenti.

Il P. Andrea, restando sempre vincitore del tormento colla pazienza, e delle istigazioni a dividersi dalla Chiesa Cattolica col predicar loro la necessità di riunirsi a lei per salvarsi, sempre più accende la loro sfrenata rabbia, che gli dà un nuovo martirio dolorosissimo. Aborriscono i Cosacchi la tonsura ecclesiastica, e non lasciano mai di parlarne con dispregio e con beffa. Avendo ora nelle mani un Sacerdote Gesuita, passano ad altro che a semplici vituperi. In onta della tonsura sacerdotale, e per strazio del Sacerdote, dato mano ai coltelli, gli scorticano tutto il capo giù fino al collo: e in scherno della sacra unzione gli scorticano parimente le mani, affinché meglio, essi dicono, si unga del proprio sangue. E nel tempo di questo strazio, altri, per non stare oziosi, gli danno schiaffi e pugni di tutta forza, un dei quali gli fa sputare due denti:  applaudendosi intanto vicendevolmente, e millantandosi ognuno d’essere il più bravo di tutti.

Pazientissimo agnello in tanti tormenti il benedetto Martire non fiatava, se non per invocare i Nomi Santissimi di Gesù e di Maria, e per chiedere a Dio perdono in pro di quelli che cosi lo straziavano. Aggiungeva ancora qualche invito a pentimento, dirigendolo ad essi quando più lo trattavano male; ma con tali eccessi pareva che coloro si fossero chiusa la strada di corrispondere alla divina misericordia. Infierivano anzi sempre più, e volendolo , come empiamente motteggiavano, vestire di una bella pianeta, lo gettarono sopra una tavola, e tutto il dosso gli scorticarono, stropicciando poi quell’orribil piaga con tritume di paglia. Tornati poscia a rivoltarlo supino su quella tavola, e legatovelo strettamente, si posero a conficcargli acute punte di canna tra carne ed unghie per ogni dito delle sue mani.

E poiché il sant’uomo ad ogni momento si sentiva come strappar l’anima dal corpo, e perciò raccomandava il suo spirito a Dio Signore, ed invocava amorosamente i Nomi Santissimi di Gesù e di Maria, non seppero soffrire tanta pazienza e pietà, ma gli tagliarono le narici e le labbra, e di poi pensarono al modo di tagliargli ancora la lingua. Nell’inumano consiglio scelsero il modo più crudele; e ciò fu con aprirgli una gran ferita alla nuca, e per di là sbarbargliela dalle radici traendo con tutta forza e rabbia. Agonizzante il benedetto Martire, e per tante maniere di ferite, di laceramenti, di scorticature, e di piaghe versando sangue da ogni parte del corpo, fu gettato a morire in mezzo alla strada sul terreno fetido e limaccioso. Quivi per molte ore seguitò agonizzando, quasi aspettasse di morire ucciso, finché , vedendolo non ancor morto, il capitano di quella masnada gli menò la sciabola di fendente, e fattagli gran ferita nei fianchi ne fini la vita.

Questa beata morte accadde nel citato giorno 16 di Maggio dell’ anno 1657, ricorrendo il mercoledì fra l’ottava dell’Ascensione; e per tormenti cosi complicati e crudeli, che, a detta di chi rispose alle osservazioni del Promotore della Fede nel 1739, sono al di sopra di tutte le storie del secolo nostro, il P. Andrea Bobòla conseguì la corona di Martire, entrando nel difficile arringo colla più viva , estesa, e sincera protesta di esser cattolico, vincendo i carnefici col chieder loro luce di Fede, e col provocarli a penitenza; e nel suo trionfo adoperando le stesse parole di Gesù Cristo: “In manus tuas commendo spiritum meum”; siccome ancora nel lungo combattimento, finché poté, dimostrò col pronunziare i Nomi dolcissimi di Gesù e di Maria.


(Filippo Stanislao del Pace sj, Istoria breve del venerabil martire P. Andrea Bobola sacerdote professo della Compagnia di Gesù, Roma, 1833, pp. 21-27.)
Nel pubblicarlo, il testo è stato leggermente adattato nel linguaggio.


[1] Giosafat Kuncewycz (Volodymyr-Volyns’kyj, 1580 – Vicebsk, 12 novembre 1623), Arcivescovo metropolita greco-cattolico di Polack ucciso dagli scismatici. Fu beatificato da Urbano VIII il 16 maggio 1643 e canonizzato da Pio IX il 29 giugno 1867.  Le sue reliquie sono onorevolmente riposte nell’altare di san Basilio nella Basilica Vaticana. La sua festa si celebra il 14 novembre.