di Giuliano Zoroddu

Correva l’anno 1263. Un prete teutonico o boemo, cui la tradizione volle dare il nome di Pietro e i natali a Praga, dalla sua patria volle muoversi in pellegrinaggio verso Roma. Tra i motivi del santo viaggio vi era la grazia che egli chiedeva intensamente a Dio di confermare con qualche miracolo la verità della transustanziazione: dubitava infatti su come ciò potesse verificarsi.

E la divina Bontà volle esaudire le suppliche del sacerdote quando, offrendo questi il Sacrificio sulla tomba della santa Martire Cristina a Bolsena, al momento della elevazione dell’ostia consacrata sul calice, essa si arrossò, come fosse carne viva, ed iniziò a grondare gran copia di Sangue. Le gocce del Sangue dell’Uomo-Dio bagnarono il Corporale [1], i gradini dell’altare e quattro lastre di marmo. Pietro infatti, al cospetto di cotanto miracolo, non ebbe la forza di consumare il Sacrificio e, ravvolto il Sacramento nel Corporale, lo depose nel ciborio e scappò in sacrestia.

Ripresosi dallo spavento il sacerdote, accompagno dai canonici di Santa Cristina e dai testimoni dell’accaduto, si portò da Urbano IV che con la sua corte si trovava ad Orvieto. Al Sommo Pontefice confessò i suoi dubbi, per i quali fu paternamente assolto, e raccontò il miracolo. Il Papa ordinò quindi al Vescovo di Orvieto di recarsi a verificare della veracità di quanto gli si riferiva e di portare le reliquie presso la cattedrale orvietana di Santa Maria. Lo datava inoltre di due accompagnatori: nientemeno che san Tommaso d’Aquino e san Bonaventura da Bagnoregio! Il prelato, prelevata l’Ostia e i Lini insanguinati, li consegnò a Urbano IV che li ricevette inginocchiato presso il ponte di Rivo Chiaro; quindi li ripose a Santa Maria.

A seguito di questo miracolo il Pontefice con la bolla Transiturus de hoc mundo, data l’11 agosto 1264, istituì la festa del Corpus Domini, da celebrarsi il giovedì successivo alla Ottava di Pentecoste, il cui Ufficio – capolavoro di teologia dogmatica e poesia cristiana che prendendo a prestito le parole di Orazio possiamo definire “monumentum aere perennius”[2] – fu composto da san Tommaso, che per questo è onorato come Dottore Eucaristico.
Il racconto tradizionale è abbondantemente sostenuto da fonti coeve: «La più antica è una cronaca orvietana in cui il prodigio è già identificato come Miraculo del Corpus Domini. Contemporanea (prima metà del XIV secolo) è una famosissima sacra rappresentazione avente per soggetto l’evento di Bolsena, che ogni anno veniva allestita nella città di Orvieto. Seguono poi due lesti lapidei, scolpiti da Ippolito Scalza nel 1573-74 per Bolsena e nel 1601 per Orvieto, il cui testo venne desunto da una più antica pergamena attribuibile alla metà del XIV secolo. Dello stesso periodo sono altre due narrazioni ecclesiastiche: il Cathalogus di Pietro de’ Natali (1369-1372) e la bolla Quamvis Cum del 1377. Da questi testi antichissimi risulta la notorietà del miracolo fuori di Bolsena e di Orvieto e il suo stretto legame con l’istituzione della solennità del Corpus Domini. Di fondamentale importanza per la storicità delle reliquie custodite in Orvieto rimangono le pergamene che fin dall’origine le accompagnano (secoli XIII-XIV)»[3].
Per quanto riguarda le Sacre Reliquie:
– l’Ostia, i Purificatoi [4] e il Corporale imperlato dal Divin Sangue sono custoditi nel Duomo di Orvieto;
– le quattro lastre macchiate dal Sangue e l’altare dove si verificò il Miracolo sono custoditi nel Santuario di Santa Cristina a Bolsena.

Ma la storia del miracolo di Bolsena non si chiude nel secolo XIII e non solo perché la sua memoria è perpetuata dalla festa del Corpus Domini. Infatti il 17 e il 21 aprile 1693 alcuni fedeli mentre stavano in adorazione del Sangue di Cristo impresso sulle lastre marmoree, videro le macchie assumere prima la sembianza di Gesù Bambino, poi quella di Ecce Homo. Il che fu canonicamente riconosciuto dal Vescovo di Orvieto, il Cardinale Savio Mellini, e da Innocenzo XII allora regnante[5].

Ad eternare il miracolo ci penso inoltre Giulio II che commissionò a Raffaello Sanzio la “Messa di Bolsena” che adorna la Sala di Eliodoro nel Palazzo Apostolico. L’affresco vuole commemorare a un tempo il Miracolo Eucaristico che abbiamo sopra descritto, e la campagna militare di Giulio II per la restaurazione del potere della Chiesa sui suoi Stati. Il Papa guerriero infatti venerò il Sacro Corporale nel settembre del 1506 quando, durante la campagna contro i Baglioni di Perugia e i Bentivoglio di Bologna, si recò ad Orvieto. In città accoglie il Baglioni che fa atto di sottomissione (6 settembre) quindi muove verso Perugia e Bologna. La scena è quindi ricordo di vittorie passate e un auspicio di trionfo per l’iniziato Lateranense V e per la guerra contro i Francesi.

Infine va ricordata l’uscita romana del Corporale per il Giubileo del 1950: il sacro lino precedeva il talamo su cui stava Pio XII in adorazione del Santissimo Sacramento durante la solennissima e trionfale processione del Corpus Domini lungo il Colonnato del Bernini.
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[1] Quadrato bianco di lino o canapa benedetto, sul quale posano il Calice e l’Ostia. Ricorda la Sindone che avvolse il Corpo del Cristo morto.
[2] “Monumento più duraturo del bronzo” (Odi, III, 30, 1).
[3] http://www.basilicasantacristina.it/index.php/it/il-miracolo
[4] Fazzoletto di lino o canapa che serve ad asciugare il Calice, le labbra e le dita dopo le abluzioni.
[5] Valerio Cozza, Origine e vicende della città di Bolsena, Orvieto, 1856, p. 68.
Ma ora, calma, abbiamo il grande teologo Bergoglio che ha sentenziato: Così è se vi pare!