
Di Giulia Bianco.
Questa volta per la rubrica “Storie della buonanotte per bambine reazionarie” siamo a raccontare la vicenda delle sedici carmelitane martiri di Compiègne. Queste donne coraggiose, ghigliottinate durante la Rivoluzione francese, ci hanno lasciato una testimonianza di vera Fede.
A seguito della promulgazione della «Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo» nell’agosto del 1789 vi fu la proibizione di emettere voti religiosi in nome di una presunta libertà individuale e successivamente l’intera soppressione di tutti gli Ordini religiosi.
L’odio rivoluzionario contro questi uomini e queste donne che avevano scelto la via della contemplazione e del ritiro dalla vita per essere completamente a servizio di Dio, veniva da un semplice “teorema della libertà”, rinchiudersi in convento in costante preghiera, vincolati da voti, era a parer del governo rivoluzionario una forzatura a cui la Nazione doveva rispondere con una liberazione dai limiti e dalle costrizioni: la ragione, dea guida e feticcio della Francia doveva svincolare quei suoi “figli” dalla vita di sacrificio ed offerta a cui aspiravano, per restituirgli la loro ragionevole “libertà”. Una risposta chiara e serena a questa repressione di regime, fu inviata all’Assemblea Nazionale da tre priore di monasteri carmelitani: «Alla base dei nostri voti c’è la libertà più grande; nelle nostre case regna la più perfetta uguaglianza; noi qui non conosciamo né ricchi, né nobili. Nel mondo si ama dire che i monasteri rinchiudono vittime consumate lentamente dai rimorsi; ma noi confessiamo davanti a Dio che, se c’è sulla terra la felicità, noi siamo felici».

Immediata la persecuzione, ad opera degli ufficiali municipali che andarono a battere alle porte dei monasteri, residenza di tante giovani oranti. Violando la clausura con inaudita violenza, gli ufficiali piombarono anche nel convento di Compiègne, dove si trovavano le sedici religiose professe. Le guardie rivoluzionarie si instaurarono nella grande sala capitolare e separarono le suore impedendo qualunque contatto tra loro e con la loro Priora. In nome dei “diritti naturali” non permisero nemmeno ad una giovane novizia di prendere i suoi voti: «non riconosciamo più né voti religiosi né alcun altro arruolamento che sia contrario ai diritti naturali».
Convocate singolarmente per un brutale interrogatorio, il presidente della commissione a loro così si rivolgeva: “sono l’apportatore di libertà, e vi invito a parlare senza timore e a dichiarare che volete uscire di clausura e tornarvene in famiglia…» . Un segretario prendeva nota delle risposte delle religiose, le quali ci giungono intatte proprio dalla cura di cronaca dei loro persecutori. La fermezza ed il coraggio delle loro parole sono la preziosa testimonianza di Fede e di virtù di queste eroiche donne.
La priora, convocata per prima, dichiarò «di voler vivere e morire in quella santa casa», una suora anziana disse «che era suora da cinquantasei anni e ne avrebbe desiderati ancora altrettanti per consacrarli tutti al Signore», un’altra interrogata sul perché fosse diventata religiosa rispose che la sua vita era «di suo pieno gradimento e di propria volontà» e di essere «fermamente risoluta a conservare il proprio abito, anche a prezzo del proprio sangue», un’altra spiegò che «non c’era felicità così grande come quella di vivere da carmelitana» e che «il suo più ardente desiderio era di vivere e di morire tale».
Ciascuna di loro durante l’interrogatorio delle forze rivoluzionarie, si espresse con fermezza, insistendo che il loro stato di consacrate era stato scelto liberamente, che la loro condizione era di perfetta felicità e che non avrebbero esitato a rinnovare i propri voti religiosi.
Le carmelitane di fronte ai soldati che assistevano ai loro interrogatori, approfittarono di quella disgraziata occasione per raddoppiare il loro vincolo a Dio e tutte con immensa gioia, nonostante il terribile frangente dichiararono: «una sposa ben nata resta col suo Sposo, e che perciò niente ci può indurre ad abbandonare il nostro Sposo divino, Nostro Signore Gesù
Cristo».
L’Assemblea Nazionale continuava a dare dimostrazione traumatica di come la cosiddetta «ragione illuminata» non riuscisse a comprendere quel «fatto nuovo» che è la Chiesa, si negava ad ogni costo ciò che quelle monache fermamente testimoniavano ovvero che “si è perfettamente liberi solo nella più stretta e devota consegna di sé; che una libertà amante
non teme di legarsi e di dipendere”.
Queste giovani donne carmelitane abbracciarono il loro martirio con perfetta letizia, nel luogo dove avevano scelto di risiedere, morire per Dio nella spiritualità del Carmelo non era un’idea strana o lontana, anzi, nel ricordo degli insegnamenti di Santa Teresa d’Avila accettarono la morte sapendo di vedere al più presto il loro Sposo Celeste.
Arriviamo alla Pasqua del 1792, dopo gli interrogatori, dopo essere state svestite del santo abito, dopo le violenze dei soldati, le suore vengono condannate al patibolo. La Priora, lascia ogni sua figlia libera di decidere, e chi avesse voluto offrirsi con lei, sarebbe stata vittima in olocausto per placare la collera di Dio e sostenere la Francia ormai preda della desolazione. Cacciate dal convento, senza più la dolce protezione delle grate di clausura si risolvono ad affittare due stanze dove quotidianamente rinnovano il loro atto di Offerta quali vittime di Gesù e ad ogni Santa Messa si legano sempre più coscientemente al Sacrificio di Nostro Signore.
La Francia era precipitata nella guerra civile, la più spietata ideologia giacobina esigeva la scristianizzazione totale. In ultimo accusate di fanatismo, furono radunate in piazza e gettate nella Conciergerie, la
prigione dei condannati a morte. All’alba, caricate su due carrette, legate per le mani, vennero condotte in piazza per essere ghigliottinate.
Nello scendere dal carro la più anziana, di settantanove anni, con le braccia legate e senza il suo bastone, non riusciva a scendere e venne perciò gettata di peso sul lastricato, la credettero morta, ma si rialzò sanguinante e con estrema fatica: «Non ve ne voglio, – disse. Vi ringrazio di non avermi uccisa. Avrei perduto la felicità del martirio che aspetto».
Il giorno del loro supplizio, fu il loro giorno di Gloria, era la festa della Madonna del Carmine. Dopo aver ribadito che morendo offrivano la loro vita a Cristo e per Cristo, a consolazione della loro Francia insozzata dagli “ideali rivoluzionari”, dopo aver cantato ad una voce Compieta, innalzato il loro Te Deum e recitarono commosse la Salve Regina. Assolte da un sacerdote che nella folla, travestito da rivoluzionario, si era loro avvicinato
per portare conforto, inginocchiandosi davanti alla Priora ottengo di baciare una piccola statua della Vergine e cantando salirono al patibolo. Ultima salì la Priora che come madre aveva accompagnato ciascuna figlia a quell’estremo atto di amore per Dio.

La morte di queste carmelitane fu un vero e proprio gesto liturgico, morirono cantando dopo aver rinnovato i loro voti. Nella piazza non un grido, niente applausi, anche i tamburi furono muti, un silenzio solenne scese su tutti e la preghiera di queste sedici donne, toccò chiunque era presente. Si saprà che durante il martirio di queste donne, più di una giovane si consacrò interiormente a Dio, chiedendo di prendere un giorno il loro posto di martiri felici. “Noi siamo le vittime del secolo” aveva detto una di loro con umile fierezza, “vittime di una ragione illuminata” che senza la Fede era divenuta sempre più oscura e feroce. Beatificate da San Pio X nel maggio del 1906, il pontefice ricordò le loro ultime parole: “L’amore sarà sempre vittorioso; l’amore può tutto!”. […]. Chiediamo al Signore una nuova ondata d’amore per il prossimo sommerso in questo povero mondo”.
Una straordinaria pagina di Gloria del cattolicesimo, esempio di femminilità virile, un inno alla vita consacrata, queste sedici donne hanno gridato al mondo che il Cristo vive e regna e che merita tutta la nostra vita.
Ultimi commenti