Nota di Radio Spada: nel progressivo percorso di approfondimento della cultura cattolica che Radio Spada sta conducendo da ormai sette anni non potevano mancare dei contributi alla lirica trobadorica a cura di Federico Clavesana. Lo ringraziamo vivamente, auspicando l’intensificazione dei suoi interventi (Piergiorgio Seveso, Presidente SQE di Radio Spada)
Jaufre Rudel (circa 1125-1148) appartiene alla seconda generazione di trovatori, e pur con i suoi pochi testi poetici passa alla storia come uno dei massimi esponenti della lirica provenzale dell’amore cortese. Giovane signore di Blaye, Jaufre si fa teorico dell’amor de lonh, ossia dell’amore lontano, in cui l’anelo e la consunzione sono elementi costitutivi della relazione amorosa, che affinano ed elevano l’anima nella contemplazione dell’oggetto del desiderio, in una tensione irrisolta destinata a non appagarsi mai. Esponente del trobar leu, ossia di uno stile di composizione leggero e comprensibile, Jaufre canta le bellezze di una donna lontana, che non nomina mai, e che probabilmente non ha mai neppure incontrato, dando così adito alle più varie speculazioni. Le antiche fonti della vida del trovatore, tra storia e leggenda, affermano che si sarebbe innamorato della contessa di Tripoli soltanto per averne sentito raccontare le virtù da alcuni pellegrini, e che si sarebbe fatto crociato per vederla, ammalandosi durante il viaggio e morendo tra le sue braccia. Se è ragionevole presumere che l’episodio nella sua interezza non corrisponda precisamente alla realtà storica, è certo però che Jaufre partecipò alla seconda crociata, della qual cosa resta traccia in alcune poesie come quella qui proposta. In questa lirica, che dal genere della canso d’amore vira nelle ultime due strofe verso la canzone di crociata, Jaufre sublima la tensione d’amore nell’anelo al compimento del proprio dovere in Terrasanta, al richiamo di quel Buon Garante che ancora divide gli studiosi, e che alcuni individuano nella donna amata, in un signore feudale, o, più coerentemente con il senso della strofa, in Cristo stesso che chiama gli uomini alla redenzione attraverso la partenza per outramar, per mutuare il lessico provenzale. (a cura di Federico Clavesana)
Jaufre Rudel
Quan lo rossinhol el follos
Quan
lo rossinhol el follos
Dona d’amor e·n quier e·n pren
E mou son chant jauzent joyos
E remira sa par soven
E·l riu son clar e·l prat son gen,
Pel novel deport que-y renha,
Mi vai grans joys al cor jazer.
D’un’amistat suy enveyos,
Quar no sai joya plus valen,
Que d’aquesta, que bona·m fos
Si·m fazia d’amor prezen,
Que·l cors a gras, delgat e gen
E ses ren que-y descovenha,
E s’amors bon’ ab bon saber.
D’aquest’ amor suy cossiros
Vellan e pueys sompnhan dormen,
Quar lai ay joy meravelos,
Per qu’ieu la jau joyos jauzen.
Mas sa beutatz no·m val nien,
Quar nulhs amicx no m’essenha
Cum ieu ja n’aya bonsaber.
D’aquest’ amor suy tan cochos
Que quant ieu vau ves lieys corren
Vejaire m’es qu’a reversos
M’en torn e que lieys n’an fugen.
E mos cavals i vai tan len
e greu cug mais que y atenha,
S’ilha no·s vol arretener.
Amors, alegres part de vos
Per so quar vau mo mielhs queren,
E fuy-en tant aventuros
Qu’enqueras n’ay mon cor jauzen.
Mas pero per mon Bon Guiren
Que·m vol e m’apell’ e·m denha
m’es ops a parcer mon voler.
E qui sai reina deleytos
E Dieu non siec en Bethleem
No sai cum ja mais sia pros
Ni cum ja venh’ a guerimen,
Qu’ieu sai e crei, mon escien,
Que selh qui Jhesus ensenha
Segur’ escola pot tener.
Traduzione:
Quando l’usignolo per i boschi
Dà amore, ne chiede e ne prende,
E in gioia muove il suo canto gioioso
E spesso riguarda la sua compagna,
E i fiumi sono chiari, e i prati sono gentili,
Per la nuova felicità che vi regna
Una grande gioia mi si posa in cuore.
Sono invidioso di un’amicizia,
Perché non so gioia di più valore
Di questa, che mi sarebbe propizia
Se (ella) mi facesse un dono d’amore,
(Ella) che il corpo ha florido, grazioso e gentile,
E senza alcuna cosa di sconveniente,
E il suo amore è buono con un buon gusto.
Sono preoccupato per questo amore,
Nella veglia e nel sonno mentre sogno,
Perché là c’è una gioia meravigliosa
Per cui io ne gioisco, gioioso e felice.
Ma la sua bellezza non mi serve a nulla,
Perché nessun amico mi insegna
Come ne possa sentire il buon gusto.
Di questo amore sono così desideroso
Che quando vado verso lei correndo
Mi sembra che all’indietro
Io torni e che lei se ne vada fuggendo.
E il mio cavallo va così tanto lentamente
Che non credo che mai ce la faccia,
Se ella non vuole attendere.
Amore, parto allegro da te,
Perché vado a cercare il mio meglio,
E ne sono stato così fortunato
Che ancora ho il cuore che ne gioisce.
Tuttavia, per il mio Buon Garante,
Che mi vuole, mi chiama e mi fa degno,
Devo trattenere il mio volere.
E colui che qui regna con diletto
E non segue Dio a Betlemme
Non so come possa essere valoroso
Né come possa arrivare alla salvezza.
Perché io so e credo, nella mia esperienza,
Che chi ha Gesù ad insegnargli
Può avere una sicura scuola.

Non voglio assolutamente rubare il mestiere allo studioso, ma lasciatemi postare questo capolavoro di Thibaut IV de Champagne, che ebbe vita avventurosissima e in un momento felice compose questo brano che spira “Medioevo cristiano” da tutti i pori.
Visse un secolo appresso Jaufré in condizioni culturali, politiche e religiose diverse, ma la nobiltà non si acquista come fosse acqua in nessuna epoca.
Thibaut de Champagne – Seigneurs, sachiez qui or ne s’en ira
Seignor, sachiés : qui or ne s’en ira
en cele terre ou Dex fu mors et vis,
et qui la crois d’Outremer ne penra,
a paines mais ira en Paradis.
Qui a en soi pitié ne ramembrance
au haut Seignor doit querre sa venjance
et delivrer sa terre et son païs.
Tuit li mauvés demorront par deça
qui n’aiment Dieu, bien, ne honor, ne pris.
Et chascuns dit ” Ma feme, que fera ?
Je ne lairoie a nul fuer mes amis”.
Cil sont cheoit en trop fole atendance,
qu’il n’est amis fors de cil, sans doutance,
qui por nos fu en la vraie crois mis.
Or s’en iront cil vaillant bacheler
qui aiment Dieu et l’ennor de cest mont,
qui sagement vuelent a Dieu aler,
et li morveux, li cendreux, demorront;
avugle sont, de ce ne dout je mie,
qui j secors ne fait Dieu en sa vie,
et por si pou pert la gloire dou mont.
Diex se lessa en crois por nos pener
et nos dira au jor que tuit vendront :
“Vos qui ma crois m’aidastes a porter,
vos en irez la ou mi angles sont;
la me verrez et ma mere Marie.
Et vos, par cui je n’oi onques aie,
descendrés tuit en Enfer le parfont.”
Chacuns cuide demorer toz haitiez
et que ja mes ne doie mal avoir;
ainsi les tient anemis et pechiez
que il n’ont sen, hardement ne pooir.
Biax sire Diex, ostés leur tel pensee
et nos metez en la vostre contree
si saintement que vos puissons veoir.
Douce dame roine coronee
proiez por nos Virgen bien auree
Et puis après ne nos puet meschoir.