Nelle chiese moderne altare (o sarebbe meglio dire mensa) e tabernacolo sono nettamente separati. Il secondo non raramente è messo all’angolo, se non nascosto. Ciò dipende dal dettato dell’Ordinamento Generale del Messale Romano del 1970 (che si richiama a un precedente decreto dell Sacra Congregazione dei Riti del 1967). Poco più di dieci anni prima tuttavia Pio XII – che già nel 1947, nella Mediator Dei, aveva condannato innovazioni temerarie che il Concilio e il post-Concilio avrebbero imposto alla Chiesa: l’abbandono del latino, l’altare trasformato in mensa, addirittura l’abbandono del colore liturgico nero (vedi qui) – diceva l’esatto contrario.
Così come abbiamo affermato poco fa: “Il Signore è in un certo qual modo più grande dell’altare e del sacrificio”, possiamo dire chiederci: “Il tabernacolo in cui dimora il Signore Che è disceso presso il Suo popolo è superiore all’altare e al sacrificio”? L’altare è superiore al tabernacolo, perché vi si offre il sacrificio del Signore. Il tabernacolo possiede senza dubbio il “Sacramentum permanens”, ma non è un “altare permanens”, perché il Signore Si offre in sacrificio solo sull’altare durante la celebrazione della Santa Messa, ma non dopo o al di fuori della Messa. Nel tabernacolo, invece, Egli è presente per tutto il tempo che durano le specie consacrate, senza tuttavia offrirSi permanentemente. Con pieno diritto si può operare una distinzione tra l’offerta del sacrificio della Messa e il “cultus latreuticus” offerto all’Uomo-Dio celato nell’Eucarestia. Una decisione della Santa Congregazione dei Riti del 27 luglio 1927 limita al minimo l’esposizione del Santo Sacramento durante la Messa (Acta Ap. Sedis, a. 19, 1927, pag. 289): la ragione di tale prescrizione è agevolmente riferibile alla premura di mantenere abitualmente separati l’atto del sacrificio e il culto della semplice adorazione, affinché i fedeli ne comprendano chiaramente il carattere specifico.
Ma ancor più importante della consapevolezza di questa diversità è quella dell’unità: un solo e unico Signore è immolato sull’altare ed è onorato nel tabernacolo, da cui sparge le Sue benedizioni. Se si è pienamente convinti di ciò, si eviteranno molte difficoltà e ci si guarderà bene dall’esagerare il significato dell’uno a scapito dell’altro e di opporsi alle decisioni della Santa Sede.
Il Concilio di Trento ha spiegato quali disposizioni deve avere l’anima di fronte al Santo Sacramento: “Si quis dixerit, in sancto Eucharistiae sacramento Christum unigenitum Dei Filium non esse cultu latreutico, etiam externo, adorandum, atque ideo nec festiva peculiari celebritate venerandum, neque in processionibus, secundum laudabilem et universalem Ecclesiae sanctae ritum et consuetudinem, sollemniter circumgestandum, vel non publice, ut adoretur, populo proponendum, et eius adoratores esse idololatras: anathema sit” [Se qualcuno dirà che nel santo sacramento dell’eucaristia Cristo, unigenito figlio di Dio, non debba essere adorato con culto di latria, anche esterno; e, quindi, che non debba neppure esser venerato con qualche particolare festività; ed esser portato solennemente nelle processioni, secondo il lodevole ed universale rito e consuetudine della santa chiesa; o che non debba essere esposto alla pubblica venerazione del popolo, perché sia adorato; e che i suoi adoratori sono degli idolatri, sia anatema] (Conc. Trid., Sessio XIII, can. 6). “Si quis dixerit, non licere sacram Eucharistiam in sacrario reservari, sed statim post consecrationem necessario adstantibus distribuendam, aut non licere, ut illa ad infirmos honorifice deferatur: anathema sit” [Se qualcuno dirà che non è lecito conservare la santa eucarIstia nel tabernacolo; ma che essa subito dopo la consacrazione debba distribuirsi agli astanti; o non esser lecita che essa venga portata solennemente agli ammalati, sia anatema] (Conc. Trid., Sessio XIII, can. 7).
A chi aderisce con tutto il cuore a questa dottrina non verrà mai in mente di formulare obiezioni contro la presenza del tabernacolo sull’altare.
Nell’Istruzione del Sant’Ufficio “De arte sacra” del 30 giugno 1952 (Acta Ap. Sedis, a. 44, 1952, pag. 542-546), la Santa Sede ha insistito, tra gli altri, su questo punto: “Districte mandat haec Suprema S. Congregatio ut sancte serventur praescripta canonum 1268, § 2 et 1269, § 1: ‘SSma Eucharistia custodiatur in praecellentissimo ac nobilissimo ecclesiae loco ac proinde regulariter in altari majore, nisi aliud venerationi et cultui tanti sacramenti commodius et decentius videatur’ … ‘SSma Eucharistia servari debet in tabernaculo inamovibili in media parte altaris posito’” [Rigorosamente comanda questa Suprema Sacra Congregazione che santamente si osservino le prescrizioni dei canoni 1268, § 2 e 1269, § 1: “La Santissima Eucaristia sia custodita nel luogo il più distinto e il più nobile, di regola pertanto nell’altar maggiore” …”La Santissima Eucaristia si deve conservare in un tabernacolo inamovibile, posto al centro dell’altare”] (Act. Ap. Sedis, l. c., pag. 544).
Vogliamo richiamare la vostra attenzione non tanto sulla presenza materiale del tabernacolo sull’altare quanto sulla tendenza ad attribuire una stima minore per la presenza e l’azione del Cristo nel tabernacolo. Ci si accontenta del sacrificio dell’altare e si diminuisce l’importanza di Colui che lo realizza. Ora, la Persona del Signore deve occupare il centro del culto, perché è essa che unifica le relazioni che esistono tra l’altare e il tabernacolo e dà loro senso.
È innanzitutto per mezzo del sacrificio dell’altare che il Signore Si rende presente nell’Eucarestia, e nel tabernacolo Egli è presente solo come “memoria sacrificii et passionis suae”. Separare il tabernacolo dall’altare significa separare due cose che devono restare unite attraverso la loro origine e la loro natura.
(Pio XII, Discorso ai partecipanti al Congresso Internazionale di Liturgia Pastorale, Sala delle Benedizioni, Sabato 22 settembre 1956. Traduzione per Chiesa e post-concilio di Antonio Marcantonio. Grossettature e traduzione dal latino a cura della Redazione di Radio Spada)