Ci siamo già occupati altre volte delle risposte di Famiglia Cristiana ai suoi lettori su questioni di fede, liturgia, morale et alia.
Risposte fumose se non contenenti vere e proprie eresie: si pensi alla negazione del fatto che Gesù Cristo istituendo l’Eucaristia non abbia voluto istituire un sacrificio rituale (vedi qui).
Oggi volgiamo proporre alte due risposte a domande dei Lettori, accompagnandole con alcune postille tratte dal magistero pontificio e da autori sicuri.
La prima
Pio XII alla stessa domanda risponde in modo molto più chiaro a riguardo dei cosiddetti metodi naturali (che sempre più assumono le forme di contraccezione cattolica) evitando l’edonismo nell’uso del matrimonio, di cui questa risposta sembra leggermente pervasa, e affermando i fini gerarchicamente ordinati del matrimonio.
“Si presenta inoltre oggigiorno il grave problema, se ed in quanto l’obbligo della pronta disposizione al servizio della maternità sia conciliabile col sempre più diffuso ricorso ai tempi della sterilità naturale (cosidetti periodi agenesici nella donna), il che sembra una chiara espressione della volontà contraria a quella disposizione. Si attende giustamente da voi che siate ben informate, dal lato medico, di questa nota teoria e dei progressi che in questa materia si possono ancora prevedere, e altresì che i vostri consigli e la vostra assistenza non si appoggino su semplici pubblicazioni popolari, ma siano fondati sulla oggettività scientifica e sull’autorevole giudizio di coscienziosi specialisti in medicina e in biologia. È ufficio non del sacerdote, ma vostro, d’istruire i coniugi, sia in consultazioni private, sia mediante serie pubblicazioni, sull’aspetto biologico e tecnico della teoria, senza però lasciarvi trascinare ad una propaganda né giusta né conveniente. Ma anche in questo campo il vostro apostolato richiede da voi, come donne e come cristiane, di conoscere e di difendere le norme morali, a cui è sottoposta l’applicazione di quella teoria. E qui è competente la Chiesa. Occorre innanzi tutto considerare due ipotesi. Se l’attuazione di quella teoria non vuol significare altro se non che i coniugi possono far uso del loro diritto matrimoniale anche nei giorni di sterilità naturale, non vi è nulla da opporre: con ciò, infatti, essi non impediscono né pregiudicano in alcun modo la consumazione dell’atto naturale e le sue ulteriori naturali conseguenze. Proprio in ciò l’applicazione della teoria, di cui parliamo, si distingue essenzialmente dall’abuso già segnalato, che consiste nella perversione dell’atto stesso. Se invece si va più oltre, permettendo cioè l’atto coniugale esclusivamente in quei giorni, allora la condotta degli sposi deve essere esaminata più attentamente. E qui di nuovo due ipotesi si presentano alla nostra riflessione. Se già nella conclusione del matrimonio almeno uno dei coniugi avesse avuto l’intenzione di restringere ai tempi di sterilità lo stesso diritto matrimoniale, e non soltanto il suo uso, in modo che negli altri giorni l’altro coniuge non avrebbe neppure il diritto di richiedere l’atto, ciò implicherebbe un difetto essenziale del consenso matrimoniale, che porterebbe con sé la invalidità del matrimonio stesso, perché il diritto derivante dal contratto matrimoniale è un diritto permanente, ininterrotto, e non intermittente, di ciascuno dei coniugi di fronte all’altro. Se invece quella limitazione dell’atto ai giorni di naturale sterilità si riferisce non al diritto stesso, ma solo all’uso del diritto, la validità del matrimonio resta fuori discussione; tuttavia la liceità morale di una tale condotta dei coniugi sarebbe da affermare o da negare, secondo che l’intenzione di osservare costantemente quei tempi è basata, oppure no, su motivi morali sufficienti e sicuri. Il solo fatto che i coniugi non offendono la natura dell’atto e sono anche pronti ad accettare ed educare il figlio, che, nonostante le loro precauzioni, venisse alla luce, non basterebbe per sé solo a garantire la rettitudine della intenzione e la moralità ineccepibile dei motivi medesimi. La ragione è perché il matrimonio obbliga ad uno stato di vita, il quale, come conferisce certi diritti, così impone anche il compimento di un’opera positiva, riguardante lo stato stesso. In tal caso si può applicare il principio generale che una prestazione positiva può essere omessa, se gravi motivi, indipendenti dalla buona volontà di coloro che ne sono obbligati, mostrano che quella prestazione è inopportuna, o provano che non si può dal richiedente – in questo caso il genere umano – equamente pretendere. Il contratto matrimoniale, che conferisce agli sposi il diritto di soddisfare l’inclinazione della natura, li costituisce in uno stato di vita, lo stato matrimoniale. Ora ai coniugi, che ne fanno uso con l’atto specifico del loro stato, la natura e il Creatore impongono la funzione di provvedere alla conservazione del genere umano. È questa la prestazione caratteristica, che fa il valore proprio del loro stato, il bonum prolis. L’individuo e la società, il popolo e lo Stato, la Chiesa stessa, dipendono per la loro esistenza, nell’ordine da Dio stabilito, dal matrimonio fecondo. Quindi abbracciare lo stato matrimoniale, usare continuamente la facoltà ad esso propria e in esso solo lecita, e, d’altra parte, sottrarsi sempre e deliberatamente, senza un grave motivo, al suo primario dovere, sarebbe un peccare contro il senso stesso della vita coniugale. Da quella prestazione positiva obbligatoria possono esimere, anche per lungo tempo, anzi per l’intera durata del matrimonio, seri motivi, come quelli che si hanno non di rado nella cosiddetta «indicazione» medica, eugenica, economica e sociale. Da ciò consegue che l’osservanza dei tempi infecondi può essere lecita sotto l’aspetto morale; e nelle condizioni menzionate è realmente tale. Se però non vi sono, secondo un giudizio ragionevole ed equo, simili gravi ragioni personali o derivanti dalle circostanze esteriori, la volontà di evitare abitualmente la fecondità della loro unione, pur continuando a soddisfare pienamente la loro sensualità, non può derivare che da un falso apprezzamento della vita e da motivi estranei alle rette norme etiche. Ora però voi insisterete forse osservando che nell’esercizio della ,vostra professione vi trovate talvolta dinanzi a casi assai delicati, in cui, cioè, non si può esigere di correre il rischio della maternità, la quale anzi deve essere assolutamente evitata, ed in cui, d’altra parte, l’osservanza dei periodi agenesici, o non dà sufficiente sicurezza, ovvero deve esser scartata per altri motivi. E allora domandate come si possa ancora parlare di un apostolato al servizio della maternità. Se, a vostro sicuro e sperimentato giudizio, le condizioni richiedono assolutamente un «no», cioè l’esclusione della maternità, sarebbe un errore e un torto d’imporre o di consigliare un «sì». Si tratta qui, invero, di fatti concreti, e quindi di una questione non teologica, ma medica; essa è dunque di vostra competenza. Però in tali casi i coniugi non domandano da voi una risposta medica, necessariamente negativa, ma l’approvazione di una «tecnica» dell’attività coniugale assicurata contro il rischio della maternità. Ed ecco che siete così di nuovo chiamate ad esercitare il vostro apostolato, in quanto non lasciate alcun dubbio che anche in questi casi estremi ogni manovra preventiva e ogni diretto attentato alla vita e allo sviluppo del germe è in coscienza proibito ed escluso, e che una sola via rimane aperta, vale a dire quella dell’astinenza da ogni attuazione completa della facoltà naturale. Qui il vostro apostolato vi obbliga ad avere un giudizio chiaro e sicuro e una calma fermezza. Ma si obietterà che una simile astinenza è impossibile, che un tale eroismo è inattuabile. Questa obiezione voi oggi la sentirete, voi la leggerete dappertutto, anche da parte di chi, per dovere e per competenza, dovrebbe essere in grado di giudicare ben diversamente. E si adduce a prova il seguente argomento: – Niuno è obbligato all’impossibile, e nessun legislatore ragionevole si presume che voglia obbligare con la sua legge anche all’impossibile. Ma per i coniugi l’astinenza a lunga durata è impossibile. Dunque non sono obbligati all’astinenza; la legge divina non può avere questo senso». In tal guisa da premesse parzialmente vere si deduce una conseguenza falsa. Per convincersene basta invertire i termini dell’argomento: – Iddio non obbliga all’impossibile. Ma Iddio obbliga i coniugi all’astinenza se la loro unione non può essere compiuta secondo le norme della natura. Dunque in questi casi l’astinenza è possibile. – Abbiamo a conferma di tale argomento la dottrina del Concilio di Trento, il quale, nel capitolo sulla osservanza, necessaria e possibile, dei comandamenti, insegna, riferendosi a un passo di S. Agostino: «Iddio non comanda cose impossibili, ma mentre comanda, ammonisce, e di fare quel che puoi, e di domandare quel che non puoi, e aiuta affinchè tu possa» (Conc. Trid. Sess. 6 cap. II Denzinger n. 804 – S. August. De natura et gratia cap. 43 n. 50 Migne P. L. vol. 44 col. 271). […] La verità è che il matrimonio, come istituzione naturale, in virtù della volontà del Creatore non ha come fine primario e intimo il perfezionamento personale degli sposi, ma la procreazione e la educazione della nuova vita. Gli altri fini, per quanto anch’essi intesi dalla natura, non si trovano nello stesso grado del primo, e ancor meno gli sono superiori, ma sono ad esso essenzialmente subordinati. […] Questo edonismo anticristiano troppo spesso non si arrossisce di erigerlo a dottrina, inculcando la brama di rendere sempre più intenso il godimento nella preparazione e nella attuazione della unione coniugale; come se nei rapporti matrimoniali tutta la legge morale si riducesse al regolare compimento dell’atto stesso, e come se tutto il resto, in qualunque modo fatto, rimanga giustificato dalla effusione del reciproco affetto, santificato dal sacramento del matrimonio, meritevole di lode e di mercede dinanzi a Dio e alla coscienza. Della dignità dell’uomo e della dignità del cristiano, che mettono un freno agli eccessi della sensualità, non si ha cura. Ebbene, no. La gravità e la santità della legge morale cristiana non ammettono una sfrenata soddisfazione dell’istinto sessuale e di tendere così soltanto al piacere e al godimento; essa non permette all’uomo ragionevole di lasciarsi dominare sino a tal punto, né quanto alla sostanza, nè quanto alle circostanze dell’atto. Si vorrebbe da alcuni addurre che la felicità nel matrimonio è in ragione diretta del reciproco godimento nei rapporti coniugali. No: la felicità nel matrimonio è invece in ragione diretta del vicendevole rispetto fra i coniugi, anche nelle loro intime relazioni; non già, quasi che essi giudichino immorale e rifiutino quel che la natura offre e il Creatore ha donato, ma perché questo rispetto, e la mutua stima che esso ingenera, è uno dei più validi elementi di un amore puro, e per ciò stesso tanto più tenero. Nella vostra attività professionale opponetevi, per quanto vi è possibile, all’impeto di questo raffinato edonismo, vuoto di valori spirituali, e quindi indegno di sposi cristiani. Mostrate come la natura ha dato, è vero, il desiderio istintivo del godimento e lo approva nelle legittime nozze, ma non come fine a sé stesso, bensì insomma per il servizio della vita” (Discorso alle ostetriche, 29 ottobre 1951).
La seconda
Qui, oltre al non ben specificato “dinamismo di Dio” collegato all’evoluzione del mondo, non capiamo perché ” Il Teologo” non risponda chiaramente alla signora o signorina Marta almeno sulla creazione dell’uomo. Infatti non è vero che la Chiesa non ci dica nulla in merito e soprattutto ha parlato chiaramente: si veda a riguardo la condanna del poligenismo in Humani generis di Pio XII.
Il padre domenicano Marco Maria Sales (professore all’Angelicum e Maestro del Sacro Palazzo sotto Pio XI), commentando il passo di Genesi: “Il Signore Iddio adunque formò l’uomo di fango della terra, e gli ispirò in faccia un soffio di vita: e l’uomo fu fatto anima vivente” (II, 7) dice: “Se l’uomo divenne animale vivente in virtù del soffio ricevuto da Dio, vuol dire che prima non era tale; dal che si deduce che Dio non infuse già l’anima umana nel corpo di un animale perfezionato, come vorrebbero i seguaci dell’evoluzionismo, ma bensì in un corpo da lui stesso immediatamente formato […] Si deve quindi ritenere che il primo uomo sia quanto all’anima e sia quanto al corpo fu creato immediatamente da Dio” (Vecchio Testamento, Vol. 1, p. 77).
E in conclusione ci piace citare anche il padre Dragone che fu membro della (ancora sana e benemerita) Famiglia Paolina, il quale nel suo Commento al Catechismo di San Pio X spiegando le domande 1 e 66 dice: “Apprendiamo con certezza che Dio creò direttamente Adamo ed Eva, il progenitori del genere umano, del quale Egli è il principio, la via (modello), e il fine ultimo […] Creare significa fare qualcosa dal nulla servendosi di nulla. Solo Dio può creare perché è onnipotente […] Dio creò l’anima di Adamo e di Eva e formò il loro corpo. Degli altri uomini crea direttamente l’anima e il corpo […] Adamo ed Eva furono creati immediatamente da Dio, che modellò il loro corpo modificando la materia preesistente (la terra rossa significata dal nome Adamo, ndr) e creò direttamente la loro anima infondendola nel corpo plasmato dalle sue mani. Perciò la persona dei nostri progenitori non ha avuto origine per evoluzione spontanea da esseri inferiori come dicono gli evoluzionisti“.
Ci auguriamo di aver colmato le lacune di Famiglia Cristiana.
Ma, c’è ancora qualche Cristiano che legge quel foglietto?
Da tempo ormai ho osservato in FC un comportamento che, a mio giudizio, la squalifica e nella deontologia e nei contenuti. Avevo notato come la Direzione non pubblicasse più gli interventi dei lettori se non pochi e quelli favorevoli all’articolista o alla linea editoriale, facendo così mancare il dibattito interno necessario e fruttuoso. Avevo anche telefonato chiedendone il motivo e m’era stato detto che si trattava solo di problemi inerenti il personale tecnico che tuttavia sarebbero stati risolti in pochi giorni. Ma tutto è continuato come prima. Tutt’ora vengono pubblicati pochi interventi, allineati quando non visibilmente adulatori. Ad una mia controprova (un’opinione elogiativa) sono stato infatti prontamente pubblicato. Ne approfitto per far pervenire a FC (e agli eventuali lettori che le sono rimasti fedeli) il mio parere personale che la ritiene faziosa, autoreferenziale e censoria.