di Luca Fumagalli
«Questa è la storia più triste che abbia mai sentito». L’incipit de Il buon soldato, il romanzo più famoso di Ford Madox Ford – da lui considerato il migliore della sua lunga carriera – sintetizza alla perfezione la sfortunata parabola biografica dello scrittore inglese, autore di oltre una sessantina di titoli.
Classe 1873, Ford – il cui vero nome era Ford Hermann Hueffer, cambiato dopo la Prima guerra mondiale perché troppo tedesco – era cresciuto in un ambiente vittoriano, respirando gli aromi della cultura preraffaellita. Il nonno, infatti, era un pittore, mentre il padre era un noto critico musicale; sin dalla più tenera età il giovane venne incoraggiato a coltivare la propria passione per la letteratura, tanto che pubblicò il primo libro all’invidiabile età di 18 anni. Più tardi, quando Ford si sposò, divenne parente dei Rossetti, il clan che aveva dato i natali al famoso Dante Gabriel, uno dei più importanti artisti britannici del XIX secolo.
A inizio carriera, data la comune passione per le nuove tecniche narrative, Ford collaborò con Jospeh Conrad alla stesura di diversi romanzi. I due erano così legati che nel 1924, quando Conrad morì, Ford volle omaggiare l’amico con una biografia, ancora oggi una delle migliori tra le molte dedicate all’autore di Cuore di tenebra. Tra l’altro il motto poetico che Ford attribuì a Conrad – «ogni opera d’arte ha (deve avere) uno scopo morale» – può, in molti casi, valere anche per lui, che così concludeva il discorso: «Le sue conquiste avevano avuto quella stabilità che è concessa a noi mortali. Questa è quella che noi “papisti” chiamiamo la croce della buona morte».
Il fatto che Ford confondesse “la Grazia” con “la croce” la dice lunga su come lo scrittore non si sentisse completamente a proprio agio con quella Fede a cui si era convertito appena maggiorenne, quando si trovava a Parigi. Rimase cattolico per tutta la vita, ma si accostava ai sacramenti solo di rado e non fu molto contento quando Christina, una delle due figlie, gli annunciò l’intenzione di diventare suora. Per quanto fosse devoto alla Madonna e ammirasse l’organizzazione ecclesiastica, Ford non riuscì mai a fuggire dalla tentazione di ridurre la religione a semplice sistema filosofico. Tuttavia ebbe almeno il merito di pubblicare tra il 1906 e il 1908 tre romanzi di taglio apologetico – noti con il titolo collettivo di The Fifth Queen – dedicati a Enrico VIII e ai cupi anni della Riforma anglicana.
Anche la vita privata di Ford fu tutt’altro che esemplare: dopo aver lasciato la moglie, Elsie Martindale, si legò senza rimorsi a Stella Bowen – da cui ebbe una terza figlia – per poi trascorrere gli ultimi anni di vita con l’ebrea Janice Biala.
Sul fronte letterario la miglior prova dello sperimentalismo fordiano, punto di contatto tra la fin de siècle ottocentesca e la stagione modernista, è senza ombra di dubbio Il buon soldato (1915). La storia, ricostruita a posteriori dal protagonista, John Dowell, racconta del suo incontro con il capitano Edward Ashburnham – il “buon soldato” del titolo – in verità un essere spregevole, doppiogiochista e libertino. Il povero Dowell finirà così per essere tradito sia dall’amico che dalla moglie.
Gli eventi non sono narrati in ordine cronologico, ma procedono frammentariamente, a ricostruire i meccanismi di una mente impegnata a dare un senso ai tanti ricordi che affiorano imprevedibili. I vari indizi della cattiva condotta dei personaggi si accumulano così pagina dopo pagina, rivelando gradualmente al lettore la sconcertante ingenuità iniziale del protagonista (non a caso la frase posta come epigrafe del libro è tratta direttamente dalla beatitudini: Beati Immaculati, “beati i puri di cuore”).
Ford morì nel 1939, non prima di aver pubblicato, tra i molti lavori, una bellissima tetralogia sulla Grande guerra, intitolata Parade’s End (1924-1928), e un libro di memorie, Portraits from Life (1937), che rivela l’impressionante spettro delle sue esperienze e, soprattutto, delle sue amicizie: James, Hardy, Wells, Joyce, Hemingway e Pound sono solo alcune tra quelle più illustri. D’altronde Ford era un tipo affabile, innamorato della vita almeno tanto quanto amava l’Inghilterra (come dimostra il suo arruolamento volontario, ormai quarantenne, durante il Primo conflitto mondiale). Graham Greene, con la solita ironia, paragonò l’anziano Ford a un veterano delle guerre napoleoniche, in grado di raccontare ai suoi sodali un numero esorbitante di vecchie storie dal sapore quasi mitico.
Purtroppo, però, sul letto di morte Ford non poté sperimentare quella serenità che aveva attribuito a Conrad. Non mandò a chiamare nessun sacerdote e, di conseguenza, spirò senza nemmeno il conforto degli ultimi sacramenti.
Forse quella della sua vita non «è la storia più triste», ma certamente, al pari delle sue opere migliori, «ha uno scopo morale» che è bene non sottovalutare.
Fonti: B. BERGONZI, War Poets and Other Subjects, Ashgate, Farnham, 1999; R. MCINERNY, Some Catholic Writers, St Augustine Press, South Bend (IN), 2007.