Marcantonio Bragadin (Venezia, 21 aprile 1523 – Famagosta, 17 agosto 1571) è l’eroico rettore veneziano di Famagosta, brutalmente martirizzato dai Turchi spronati dall’ebreo Giuseppe Nasi. Ne vogliamo ripercorrere le vicende con la narrazione dell’abbé Rohrbacher.

Monumento funebre di Marcantonio Bragadin, Chiesa dei Ss. Giovanni e Paolo, Venezia

Solimano II, l’imperatore più famoso degli Ottomani , morì di febbre il 14 settembre 1566 , ed ebbe a successore suo figlio, Selim II, soprannominato l’Ubriaco , la cui vita e morte giustificarono il soprannome.
Nondimeno l’impero turco si sostenne sotto il suo regno, per la forza o il genio non dei Turchi , ma dei rinnegati o cristiani apostati, quei medesimi che sotto il regno di suo padre lo avevano sollevato alla maggior possanza. Esso era veramente l’impero dell’apostasia. I primi generali e ministri di Solimano e di Selim furono altrettanti rinnegati. Di dieci gran visir di quel tempo ve n’erano otto; e così era pure dell’altre prime dignità: erano albanesi, croati, greci, ungheresi, e perfino calabresi. La maggior parte delle donne dell’harem erano giovani cristiane, fatte prigioniere e schiave, diversi eunuchi del serraglio e giovani schiavi erano cristiani.
Il più funesto di questi rinnegati fu un ebreo recidivo, Giuseppe Nasi. Da ebreo diventato cristiano in Portogallo, da cristiano tornato ebreo a Costantinopoli, egli si era insinuato nelle buone grazie di Selim, quando era principe ereditario, fornendogli ducati di Venezia e vini di Cipro. Sin d’allora egli diceva al futuro sultano che, conquistando Cipro, avrebbe abbondanza dell’ una cosa e dell’altra. Nell’ebbrezza un giorno Selim l’abbracciò e gli disse: “Per verità, se i miei voti si adempiono, tu sarai re di Cipro!”. E l’ebreo fece dipingere nella sua casa le armi di questo regno colla seguente iscrizione: “Giuseppe, re di Cipro. Selim, diventato Sultano, lo nominò duca di Naxos e delle Cicladi”.
Ma il cuor dell’ ebreo pensava molto più al regno di Cipro. È vero che i veneziani n’erano i pacifici possessori da ben ottant’anni. È vero che Selim aveva confermata la pace conchiusa coi veneziani da suo padre; ma un ebreo, direttore della coscienza di un sultano, non si arrestava a questi scrupoli; tanto più che Selim aveva ferma la pace per otto anni coll’imperatore di Germania ; e perciò non v’eraa nulla da temere da questo lato. Inoltre, l’arsenale marittimo di Venezia era stato incendiato, forse dagli emissari dell’ebreo. Il tempo era propizio.
Inoltre il muftì rispose in questi termini alla consultazione di Selim: “Il principe dell’islamismo non può legittimamente conchiudere la pace cogl’infedeli che allorquando ne deriva utilità e vantaggio all’universalità dei musulmani. Se non v’è questa utilità generale, la pace non è legittima. Appena si presenta una utilità, sia durevole, sia passeggera, si deve in tempo opportuno rompere la pace. Così il profeta conchiuse la pace cogl’infedeli nel sesto anno dell’egira, sino al decimo, e Ali ne stese il trattato: tuttavia trovò più vantaggioso di rompere la pace il seguente anno, di assalir gl’infedeli nell’ottavo anno dell’egira e d’impadronirsi della Mecca”.
Come si vede, questo consiglio del mufti di Costantinopoli esprime chiarissimamente la politica moderna, che taluni chiamano machiavellismo: l’interesse n’ è la sola regola. Tutta la differenza sta in questo, che la politica ottomana si esprimeva con una maniera turca, laddove la diplomazia europea vi mette generalmente maggiore astuzia e modo. Essa vorrebbe legarvi e strangolarvi con un cordone di seta.
Fu dunque notificato alla repubblica di Venezia che, se voleva la continuazione della pace col sultano, dovesse cedergli il regno di Cipro, atteso che quest’ isola apparteneva in passato all’Egitto, dì cui il sultano era signore. Per il medesimo diritto certi imperatori teutonici pretendevano la signoria di tutti i regni per la ragione che Cesare Augusto era padrone di tutto l’universio conosciuto. Essendovisi la repubblica di Venezia rifiutata, fu risoluta la conquista di Cipro, e il rinnegato di Bosnia, Mohamed Pascià, incaricato dell’ impresa.

La città di Nicosia dopo un assedio di sette settimane fu presa di assalto il 9 settembre 1570: gli abitanti chiesero ginocchioni grazia della vita, ma furono tutti trucidati. Essendosi la guarnigione insieme col comandante e gli altri magistrati ritratta nel palazzo, il pascià offri loro salva la vita, se deponevano le armi: le deposero e vennero fatti in pezzi. Ventimila vittime furono scannate dai conquistatori, e duemila dell’uno e dell’altro sesso ridotti in ischiavitù. Alcune madri uccisero i propri figliuoli e sé medesime per fuggire l’ignominia. Una donna vendicò se stessa e la patria in modo men disperato. Il rinnegato Mohamed aveva ripiene tre navi di ciò che v’era di più prezioso nel!’ isola, e inoltre mille femmine fatte schiave. Una di queste appiccò il fuoco al magazzino della polvere: la nave principale saltò in aria e pose il fuoco alle altre due.

La presa di Famagosta fu ancor più orribile. II blocco e l’ assedio durarono undici mesi, dal 18 settembre 1570 sino al 1° agosto 1571. In questo giorno, non avendo altro che sette barili di polvere, gli assediati chiesero di capitolare, e la loro domanda venne consentita il dì medesimo. Era fatta facoltà ad essi di ritirarsi coi loro averi, cinque cannoni ed i tre cavalli dei tre capi principali: a quelli che volessero rimanere, sicurezza piena e intera per l’onore, i beni e la vita: quaranta navi ricevettero gli emigranti per trasportarli; non rimanevano a terra che i principali comandanti.
Il 5 agosto, il governatore veneto Bradagin, accompagnato da tre comandanti, si presenta a Mustafà per consegnargli le chiavi. Questi lo accoglie in modo amichevole; ma tutto ad un tratto esige più che non portava la capitolazione. Bradagin vi si rifiuta; e Mustafà immediatamente fa scannare i tre comandanti e spiccare il naso e le orecchie al governatore. Dieci giorni appresso lo fece gettare in mare, non volendo però che annegasse; toltolo dalle acque lo costringe a portar terra per costruire due bastioni; finalmente lo fa trascinar sulla piazza principale e lo fa scorticar vivo. In mezzo a quel crudele supplizio Bradagin non proferì lamento; pregava e recitava ad alta voce il Miserere. Quando disse le parole: “Dio, crea in me un cuor puro”, rendette l’anima a Dio [il 17 agosto].
Trecento cristiani che si trovavano nel campo furono scannati. Quelli che, secondo la capitolazione , erano stati imbarcati, furono tratti in ischiavitù.
Non contento della morte ignominiosa del Bradagin, Mustafà ne fece porre il corpo in quattro parti e le inchiodò ai carretti delle più grosse artiglierie. Poi, fatta riempire di paglia la pelle di lui , la fece trarre per il campo e la città. Finalmente, mandò ogni cosa al sultano colle teste sotto sale di Bradagin e dei suoi tre colleghi. A Costantinopoli, la pelle del martire fu sospesa in spettacolo agli schiavi cristiani.
Questa è la sorte che i rinnegati di Costantinopoli fecero provare ai cristiani di Cipro. Questa è la sorte ch’essi preparavano ai cristiani di Germania, di Francia e di Inghilterra; tanto più che altri rinnegati facevano patire simili strazi a chiunque non voleva com’essi rinnegare la fede dei loro padri. Chi dunque impedirà ai rinnegati dell’oriente di unirsi coi rinnegati dell’occidente per soffocare il cristianesimo e l’umanità in tutta l’Europa, in tutto il mondo? Sarà un monaco domenicano assiso sulla sede di s. Pietro, sotto il nome di Pio V.


(Storia universale della chiesa cattolica dal principio del mondo sino ai di’ nostri dell’abate Rohrbacher, Vol. XIII, Torino, 1861, pp. 135-137. Il testo è stato leggermente aggiornato nel linguaggio dal redattore)