di Giuliano Zoroddu

Chi si reca nella Basilica del Pilar di Saragozza può ammirare, esposte, due bombe appese ad una parete. Appese come si usa con gli ex voto. Questi due ordigni sono testimoni di una storia di persecuzione che è anche una storia di miracoli.
Siamo nell’agosto del 1936: la guerra civile è iniziata poco meno di quindici giorni. L’Aragona, dove Saragozza si trova, è nella mani del nazionali. Il 3 agosto un aereo bombardiere la sorvola, un aereo della Seconda Repubblica Spagnola (massoni, anarchici, socialisti e comunisti). Il regime che, insediatosi nel 1931 tollerò e poi promosse la strage dei cattolici e, come denunziò Pio XI, di ogni realtà non dichiaratamente atea, aveva deciso il bombardamento del Santuario del Pilar.

Quattro furono le bombe sganciate. Una cadde nell’Ebro; un’altra sulla piazza; due penetrarono nella Basilica. Nessuna di esse esplose! Ne fu stupito lo stesso aviatore Villa Ceballos. Eppure come accertarono le perizie non vi erano problemi tecnici. Non lo ammetteranno i critici, i razionalisti, gli scettici – ce ne faremo una ragione – ma fu un “verdadero milagro“, come gridarono i saragozzani: “¡Milagro, milagro, milagro!¡Esto ha sido un milagro de la Virgen! ¡Milagro!“.

Uno dei tanti milagros di quella Vergine che confermò la promessa fatta a San Giacomo il 2 gennaio del 40 nel consegnargli quella colonnina di alabastro: “L’eccelso Re ha prescelto questo posto affinché in esso gli innalzi un tempio, dove sotto il titolo del mio nome il suo sia magnificato e dove i suoi tesori siano comunicati con abbondanza; egli darà libero corso alle sue antiche misericordie a vantaggio dei credenti e questi per mezzo della mia intercessione le otterranno, se le domanderanno con autentica confidenza e pia devozione. Da parte sua prometto loro enormi favori e la mia protezione, perché questa deve essere mia abitazione e mia eredità. In testimonianza di ciò, questo Pilastro con sopra la mia immagine resterà qui e durerà con la Santa Fede sino alla fine dei tempi”.
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