I casi Gillette, Target, Nike.
di Massimo Micaletti
In questo articolo riprendo un pezzo del Family Research Center, che finalmente fa il punto sulla reale efficacia del marketing LGBT di alcuni tra i marchi americani più famosi, e sviluppo alcuni degli spunti offerti dalla fonte, che potete trovare qui.
Tra la fine del 2018 e l’inizio del 2019, Gillette, marchio della multinazionale Procter&Gamble, ha avviato una massiccia campagna pubblicitaria su motivi LGBT, in particolare sovvertendo quello che è sempre stato (e sarebbe ancora) lo slogan del produttore, ossia “The best a men can get”, in italiano reso come “Il meglio di un uomo” ma potrebbe essere tradotto anche come “Il meglio che un uomo possa avere” o anche “il meglio che un uomo può diventare”.
Le danze sono state aperte dallo spot sulla “mascolinità tossica”[1], lanciato per giunta in occasione del Superbowl, evento sportivo ma soprattutto evento mediatico per eccellenza del costume statunitense che tiene incollati allo schermi milioni di americani. Con quello spot, Procter & Gamble voleva raccogliere le istanze del già controverso movimento Me too, attraverso il suo marchio più dentificabile come “maschile”: ebbene, da subito el cose non sono andate molto bene. L’operazione, infatti, non ha sollevato solo le proteste del pubblico più tradizionale e conservatore ma anche, del tutto a sorpresa, delle femministe e persino di parte del fronte liberale, contrario a una criminalizzazione indiscriminata degli uomini, tanto che diversi commentatori, ad esempio la CBS, si sono chiesti se lo spot fosse stato equivocato o, piuttosto, se effettivamente il messaggio non fosse chiaro[2]. Il CEO di Gillette, Gary Coombe, intervistato in merito, aveva dichiarato che le polemiche erano un prezzo da pagare e che quindi il marchio non avrebbe fatto marcia indietro perché ne valeva la pena. L’obiettivo era aggiungere i millennials, ritenuti più sensibili a questi temi.
Così, in occasione della Festa del Papà, Gillette manda un nuovo spot, in cui un padre insegna ad un figlio transgender a radersi[3]: dalle istanze femministe a quelle LGBT, dunque. E stavolta il mercato manda un segnale chiarissimo: Gillette perde otto miliardi di dollari, affossando tutto il gruppo P&G. Più precisamente, nel secondo trimestre 2019, “P&G ha registrato una perdita netta di circa $ 5,24 miliardi, ovvero $ 2,12 per azione, per il trimestre chiuso al 30 giugno, a causa di una svalutazione non in contanti di $ 8 miliardi di Gillette. Per lo stesso periodo dell’anno scorso l’utile netto di P&G era $ 1,89 miliardi, o 72 centesimi per azione” spiega Reuters[4]. Al momento, i dirigenti dell’azienda negano che il crollo delle vendite sia dovuto alla taglio liberale e LGBT che hanno impresso alla loro comunicazione: il CFO Jon Moeller, infatti, indica il principale fattore nella moda sempre più diffusa tra gli uomini di farsi crescere la barba (l’ha detto davvero[5]) Ora, volendo prendere sul serio questa motivazione si possono fare quantomeno due osservazioni. In primis, se una perdita di otto miliardi di dollari fosse dovuta al… look hipster, il mondo occidentale o quantomeno gli USA dovrebbero essere affollati da tizi colla barba lunga, il che non pare essere; quel che più conta, se davvero gli uomini avessero smesso di radersi con gli usa e getta, allora i diretti competitori di Gillette, Wilkinson e BIC, ad esempio, avrebbero dovuto accusare un’analoga disastrosa flessione ma questo non è avvenuto.
Il “caso Gillette” segue di poco tempo le analoghe vicende di Target e Nike, aziende che hanno anch’esse virato con decisione sulla propaganda LGBT che però le ha pesantemente penalizzate.
Parliamo di Target. La nota catena di magazzini americana aveva annunciato che, in nome delle politiche gender friendly clienti e dipendenti avrebbero potuto utilizzare il bagno che preferivano: esatto, parliamo dei gabinetti, che come molti sanno sono da sempre un caposaldo della dottrina LGBT. Ebbene, la reazione del pubblico è stata immediata e veemente: all’annuncio della nuova policy, nel 2017,associazioni rappresentative di un milione e mezzo di americani avevano dichiarato che avrebbero messo in atto un boicottaggio. La cosa è stata sottovalutata dagli operatori finché ci si è accorti che per diversi trimestri consecutivi Target ha accusato una pesante flessione delle vendite ed anche gli analisti più qualificati come CabotWealthNetwork.com hanno iniziato a puntare il dito sulla decisione per l’uso dei bagni[6]. Target al momento continua a perdere, a differenza di molti suoi concorrenti come ad esempio Wal Mart: Wal Mart è cinque volte più grossa di Target ma la gran parte dei suoi store è situata fuori dagli USA (quasi dodicimila negozi in tutto, cinquemila dei quali negli Stati Uniti) mentre Target opera quasi solo in territorio americano ma punta molto sull’e-commerce, sicché sono comparabili e direttamente concorrenti. Ebbene, Target è stata sistematicamente surclassata da Wal Mart negli ultimi anni[7] e non solo per ricavati complessivi ma anche come numero di clienti. Tutto questo dipende esclusivamente dai bagni gender free? In parte sì, come rilevato da diversi analisti: la questione è molto più seria di quel che si possa credere, perché l’uso gender neutral dei gabinetti è percepito non tanto come un attentato alla morale o alle convinzioni religiose, quanto piuttosto come un vero e proprio problema di igiene e sicurezza, soprattutto – per ovvi motivi – per le donne e i bambini[8], tanto che già al momento in cui Target annunciò la virata LGBT lo stesso CEO Brian Cornell sul Wall Street Journal fu molto critico sulla risonanza che la compagnia le aveva dato[9], temendo quel che poi si è puntualmente verificato, ossia la perdita di clientela. Target ha poi tentato di rimediare spendendo venti milioni di dollari (!) per installare bagni per il “terzo genere” ma nell’opinione pubblica la frittata era (ed è) ormai fatta. Va detto che, dopo parecchie resistenze, nel marzo del 2019 pure Walmart ha intrapreso la via dell’attivismo LGBT con uno spot che mostra una coppia gay[10] che sta facendo molto discutere; a nulla sono serviti, in proposito, i moniti dell’ex CEO di Wal Mart Bill Simon, che in un’intervista radiofonica ha messo in guardia le grandi aziende sull’attivismo sociale, soprattutto su temi che sono divisivi, perché “alla fine il cliente manifesterà il suo dissenso col portafoglio e le Compagnie devono fare essenzialmente business”[11].
Veniamo a Nike. Dal 2012, Nike sposa la causa LGBT nella collezione “BeTrue”, una serie di capi di abbigliamento e calzature sportive con colori e tagli che richiamano le icone omosessualiste e la filosofia gender neutral; peraltro, Nike eroga cospicue donazioni agli attivisti LGBT proprio da quanto ricava con questa linea. Ora, dopo anni di perdite nel 2019 Nike – che resta comunque leader al mondo nel settore dell’abbigliamento sportivo – è tornata ad avere un utile ma le vendite in USA sono molto al di sotto del previsto[12] e il grosso delle entrate arriva dalla Cina dove, però, “BeTrue” non viene proposta se non tramite lo store on line della Compagnia. Nike non è nuova a perdite economiche dovute a campagne pubblicitarie di impronta “liberal”: è del 2018 il caso Colin Kaepernick, giocatore di football americano che per protesta contro il razzismo, si inginocchiava ogni volta che prima di una partita dell’NFL veniva suonato l’inno nazionale americano. Gli americani protestarono vivamente contro un atteggiamento che, seppur condivisibile nelle motivazioni, tacciava di razzismo un Paese intero, al punto che intervenne pure Donald Trump, ma l’azienda non lasciò Kaepernick, che era suo testimonial: ne seguì una perdita in borsa di quasi quattro miliardi di dollari, recuperata in parecchi mesi. Il tutto mentre Nike veniva portata in tribunale per discriminazione retributiva nei confronti delle lavoratrici rispetto ai lavoratori[13].
Questi
sono alcuni casi nei quali gli esperti hanno iniziato a mettere insieme i dati
e tirare le somme, ma sempre senza clamore: tutta l’ideologia LGBT si fonda su
verità non dette, realtà taciute e messaggi martellanti e a trecentosessanta
gradi per travolgere le evidenze, sicché questo profilo si aggiungerà alle cose
che non si possono dire sennò qualcuno si arrabbia e ti colpisce. O forse no:
si può sperare che il pragmatismo connaturato al business, che non può
permettersi più di tanto di perdere milioni (o miliardi) di dollari in
propaganda, metta un freno a queste iniziative ideologizzate che fanno danno
innanzitutto a chi le promuove.
[1]https://www.theguardian.com/global/video/2019/jan/15/new-gillette-ad-tackling-toxic-masculinity-receives-harsh-backlash-video
[2] https://www.youtube.com/watch?v=0xmvDUhbktU
[3] https://www.washingtonpost.com/business/2019/05/28/gillette-ad-shows-father-teaching-his-transgender-son-shave/?utm_term=.c2c59ff94d78
[4] https://www.reuters.com/article/us-proctergamble-results/pg-posts-strong-sales-takes-8-billion-gillette-writedown-idUSKCN1UP1AD
[5] https://nypost.com/2019/07/30/nonshavers-rivals-bleeding-gillette-as-pg-takes-8b-writedown/
[6] https://cabotwealth.com/daily/dividend-stocks/how-targets-bathroom-policy-killed-tgt-stock/
[7] https://www.investopedia.com/articles/active-trading/070715/target-vs-walmart-whos-winning-big-box-war.asp
[8] https://www.breitbart.com/politics/2016/04/23/twenty-stories-proving-targets-pro-transgender-bathroom-policy-danger-women-children/
[9] https://www.wsj.com/articles/how-target-botched-its-response-to-the-north-carolina-bathroom-law-1491404107
[10] https://www.advocate.com/business/2019/2/28/anti-lgbtq-hate-group-goes-nuclear-over-gay-walmart-ad
[11] https://www.frc.org/washingtonwatchweeklyradio/weekend-edition-august-3-2019
[12] https://www.cnbc.com/2019/03/21/nike-reports-third-quarter-fiscal-2019-earnings.html
[13] https://www.bloomberg.com/news/articles/2019-02-27/nike-loses-initial-challenge-to-gender-bias-class-action-lawsuit
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