di Luca Fumagalli

Nel romanzo The Lonely Passion of Judith Hearne, pubblicato nel 1956, viene raccontata la sfortunata esistenza di una donna irlandese, alcolizzata e tormentata da una vecchia zia. Il suo crescente pessimismo contagia anche la Fede cattolica in cui è cresciuta: la crisi raggiunge l’apogeo in una delle scene più toccanti del libro, quando Judith, che ormai non crede più nella Presenza reale di Cristo nell’Eucarestia, sale i gradini dell’altare della chiesa e tenta grottescamente di forzare il tabernacolo.

The Lonely Passion of Judith Hearne fu il primo romanzo di Brian Moore a raggiungere gli scaffali delle librerie. Da quel momento il protagonista di quasi tutti i suoi lavori successivi divenne un povero cattolico che perde la Fede, sovente un sacerdote.

Lo dimostra, ad esempio, No Other Life (1993), la storia di un prete di colore che raggiunge la presidenza di un’isola simile ad Haiti, mentre il suo mentore, un confratello canadese, diviene uno scettico cinico e sfiduciato, che non crede più nel Paradiso. Naturalmente in Moore non mancano altri temi che ciclicamente si ripresentano, ma è la questione religiosa che colora la trama della sue opere migliori (come in Black Robe, del 1985, e The Color of Blood, del 1987, rispettivamente la vicenda di un missionario gesuita e di un cardinale dell’est Europa che vivono un rapporto conflittuale con Dio e con la Chiesa).

Nato a Belfast nel 1921, Moore si trasferì dapprima in Canada – paese in cui iniziò la sua carriera d’autore e di cui prese in seguito la cittadinanza – per poi spostarsi in California, dove morì nel 1999.

Al pari di Joyce, verso la propria terra d’origine e verso la religione cattolica provò sempre un sentimento ambiguo, fatto di odio e amore (in realtà a prevalere, il più delle volte, era il disprezzo). Sta di fatto, però, che lo scrittore dimostrò di trovarsi perfettamente a proprio agio ogni volta che le sue storie erano ambientate in Irlanda. Lo prova perfettamente il thriller Lies of Silence (1990), dove in una Belfast bella quanto terribile, abitata da derelitti umani, c’è spazio almeno per una vittoria morale.

Inoltre non stupisce scoprire che Moore era un ammiratore di Graham Greene: entrambi gli autori, infatti, popolano i loro romanzi di uomini e donne ambigui, divisi tra la religione e la carne. Il peccato trionfa quasi sempre, purtroppo con conseguenze disastrose: alla maniera di Dostoevskij, per Moore la perdita di Dio significa molto semplicemente la perdita di ogni cosa. Per fortuna nei personaggi permane comunque un residuo di autentica umanità che, persino nelle peggiori circostanze, lascia loro aperto un piccolo spiraglio di redenzione.

La caratteristica più affascinante delle opere dell’irlandese risiede nella sua totale estraneità alla vicende, nel senso che i vari protagonisti agiscono credibilmente, mossi da una propria volontà, senza che siano manipolati come pupi dal loro creatore. Ciò rende le sue trame avvincenti, gustose, attraversate da tutte quelle svolte impreviste che sono anche della vita.

A garantire a Moore una discreta fama internazionale fu la pubblicazione, nel 1972, del lungo racconto futuristico Catholics, che ispirò pure un adattamento televisivo con Martin Sheen. In esso si parla del contrasto tra il cattolicesimo tradizionale di un’abbazia irlandese, collocata su una piccola isola, e il progressismo di padre Kinsella, in missione per conto del Concilio mondiale delle Chiese allo scopo di investigare la singolare ortodossia dei monaci. Nonostante le premesse, la vicenda non si esaurisce in un banale conflitto tra vecchio e nuovo, ma, più in generale, riguarda l’anima dei protagonisti e la Fede (o la mancanza di essa).

La lunga bibliografia di Brian Moore – solo in parte tradotta in italiano – è così ricca e complessa che il lettore non può non rimanere spiazzato dalla profondità religiosa di un autore che, per quanto non privo di spunti interessanti, volentieri si atteggiava ad anti-clericale: l’irlandese aveva abbandonato la Chiesa, ma per ciò che scriveva c’è da supporre che Dio fosse ancora sulle sue tracce.


Fonte: R. GRIFFITHS, The Pen and the Cross, Continuum, Londra, 2010.