S. Alfonso Maria de Liguori
DISCORSO VII – Dell’Assunzione di Maria.
(Il testo è stato ammodernato nel lessico per una maggiore comprensione e fornito di traduzione nelle parti latine)
In questi giorni la Chiesa ci propone a celebrare due solenni memorie in onore di Maria: cioè una del suo felice transito da questa terra, l’altra della sua gloriosa Assunzione in cielo. Nel presente discorso parleremo del transito, nel susseguente dell’Assunzione. Quanto fu preziosa la morte di Maria: 1. Per i pregi che l’accompagnarono; 2. Per la maniera con cui seguì.
Essendo la morte pena del peccato, pareva che la divina Madre, tutta santa ed esente da ogni neo di colpa, non dovesse essere assoggettata alla morte e patire la stessa sventura dei figli d’Adamo, infetti già del veleno del peccato. Ma sì perché Dio volendo Maria tutta simile a Gesù, essendo morto il Figliuolo, conveniva che ancor morisse la Madre; sì perché voleva dare ai giusti un esemplare della morte preziosa ad essi preparata; perciò volle che morisse anche la Vergine, ma d’una morte tutta dolce e felice.
Quindi entriamo a considerare quanto fu preziosa la morte di Maria: 1. per i pregi che l’accompagnarono; 2. per la maniera con cui seguì.
Punto I.
Tre cose sogliono render amara la morte, l’attacco alla terra, il rimorso dei peccati e l’incertezza della salute. Ma la morte di Maria fu affatto esente da queste amarezze ed accompagnata da tre bellissimi pregi che la resero assai preziosa e gioconda. Ella morì tutta distaccata, come sempre visse, dai beni mondani: morì con somma pace di coscienza: morì con certezza della gloria eterna.
E per prima caso non v’ha dubbio che l’attacco ai beni della terra rende amara e misera la morte dei mondani, come dice lo Spirito Santo: “O mors, quam amara est memoria tua homini pacem habenti in substantiis suis!” (Eccli. XLI, 1)[1]. Ma perché i santi muoiono distaccati dalle cose del mondo, la loro morte non è amara, ma dolce, amabile e preziosa, cioè – come spiega S. Bernando – degna di comperarsi ad ogni gran prezzo. “Beati mortui, qui in Domino moriuntur” (Apoc. XIV, 13)[2]. Chi mai sono questi che muoiono essendo morti? Sono appunto quelle anime fortunate che passano all’eternità trovandosi già distaccate e come morte a tutti gli affetti di queste cose terrene; avendo ritrovato in Dio solo ogni loro bene, come l’aveva trovato S. Francesco d’Assisi che diceva: “Deus meus et omnia”[3]. Ma quale anima mai fu più distaccata dalle cose del mondo e più unita a Dio che la bell’anima di Maria? Fu ben ella tutta distaccata dai suoi parenti, poiché sin dall’età di tre anni, allorché le fanciulle sono più attaccate ai loro genitori e più bisognose del loro soccorso, con tanta intrepidezza Maria li lasciò e andò a rinserrarsi nel tempio per attendere solamente a Dio. Distaccata dalle robe, contentandosi di vivere sempre povera e sostenendosi colle fatiche delle sue mani. Distaccata dagli onori, amando la vita umile ed abbietta, benché le toccasse l’onor di regina, per ragion della discendenza ch’ella traeva dai re d’Israele. Rivelò la stessa Vergine a S. Elisabetta benedettina che quando ella fu lasciata dai suoi parenti, stabilì nel suo cuore di non avere altro padre e non amare altro bene che Dio. S. Giovanni vide Maria figurata in quella donna vestita di sole, che teneva la luna sotto i piedi: “Signum magnum apparuit in caelo: mulier amicta sole et luna sub pedibus eius” (Apoc. XII, 1)[4]. Per la luna spiegano gl’interpreti significarsi i beni di questa terra, che son caduchi e mancano come manca la luna. Tutti questi beni Maria non gli ebbe mai nel cuore, ma sempre li disprezzò e li tenne sotto i piedi; vivendo in questo mondo come solitaria tortorella in un deserto, senza metter affetto a cosa alcuna, sicché di lei fu detto: “Vox turturis audita est in terra nostra” (Cant. II, 12)[5]. E in altro luogo: Quae est ista quae ascendit per desertum, etc.?” (Cant. III, 6)[6]. Onde disse Ruperto: “Talis ascendisti per desertum, idest animam habens solitariam” [7]. Essendo dunque Maria vissuta sempre e tutta distaccata dalle cose della terra e solamente unita a Dio, non amara, ma troppo dolce e cara, l’era la morte, che più strettamente a Dio l’univa con vincolo eterno in paradiso.
Per secondo, rende preziosa la morte dei giusti la pace di coscienza. I peccati fatti nella vita sono quei vermi che maggiormente affliggono e rodono il cuore dei poveri peccatori moribondi, i quali dovendo allor tra breve presentarsi al divin tribunale, si vedono circondati in quel punto dai loro peccati che li spaventano e lor gridano intorno, al dir di S. Bernardo: “Opera tua sumus, non te deseremus”[8]. Non poté Maria certamente in morte essere afflitta da alcun rimorso di coscienza, poich’ella fu sempre santa, sempre pura e sempre libera da ogni ombra di colpa attuale ed originale, onde di lei fu detto: “Tota pulchra es, amica mea, et macula non est in te” (Cant. IV, 7)[9]. Dacché ella ebbe l’uso di ragione, cioè dal primo istante di sua immacolata Concezione nell’utero di S. Anna, sin d’allora cominciò con tutte le sue forze ad amare il suo Dio; e così seguì a fare sempre più avanzandosi nella perfezione e nell’amore in tutta la sua vita. Tutti i suoi pensieri, i desideri, gli affetti non furono che di Dio: non disse parola, non fece moto, non diede occhiata, non respiro, che non fosse per Dio e per la sua gloria, senza mai storcere un passo, senza mai distaccarsi un momento dall’amore divino. Ah che nell’ora felice della sua morte se le fecero intorno al suo beato letto tutte le sue belle virtù praticate in vita: quella sua fede così costante, quella sua confidenza in Dio così amorosa, quella pazienza così forte in mezzo a tante pene, quell’umiltà in mezzo a tanti privilegi, quella sua modestia, quella mansuetudine, quella pietà verso l’anime, quel zelo della divina gloria; sopra tutto quella perfetta carità verso Dio con quella totale uniformità alla volontà divina: tutte in somma le si fecero intorno e consolandola le dicevano: “Opera tua sumus, non te deseremus”: Signora e madre nostra, noi siamo tutte figlie del vostro bel cuore; or che voi lasciate questa misera vita noi non vogliamo lasciarvi, verremo ancora noi a farvi eterno corteggio ed onore in paradiso, dove voi per mezzo nostro avrete a seder regina di tutti gli uomini e di tutti gli angeli.
Per terzo, rende dolce la morte la sicurezza dell’eterna salute. La morte si chiama transito, poiché per la morte si passa da una vita breve ad una vita eterna. Onde conforme è troppo grande lo spavento di coloro che muoiono con dubbio della loro salute, e si accostano al gran momento con giusto timore di passare ad una morte eterna; così all’incontro troppo grande è l’allegrezza dei santi in finire la vita, sperando con qualche sicurezza di andare a possedere Dio nel cielo. Una religiosa Teresiana, allorché il medico le diede la nuova della morte, ebbe tanta allegrezza che gli disse: E come, signor medico, mi date questa cara novella e non mi cercate la mancia?[10] S. Lorenzo Giustiniani, stando vicino alla morte e sentendo i suoi familiari che gli piangevano intorno: “Abite, loro disse, abite cum lacrimis vestris: non est tempus lacrima rum”.[11] Andate altrove a piangere; se volete star qui meco, avete da godere come godo io in vedermi aprire la porta del paradiso ad unirmi col mio Dio. E così parimente un S. Pietro d’Alcantara, un S. Luigi Gonzaga e tanti altri santi, al ricevere la notizia della morte diedero in voci di giubilo e di allegrezza. Eppure questi non aveano la certezza della divina grazia, né sicuri erano della propria santità come n’era sicura Maria. Ma qual giubilo dovette sentire la divina Madre in avere la nuova della sua morte, ella che aveva somma certezza di godere la divina grazia, specialmente dopo che l’arcangelo Gabriele l’assicurò ch’ella era piena di grazia e già posseditrice di Dio? “Ave, gratia plena, Dominus tecum … invenisti [enim] gratiam” (Luc. I, 28, 30). E ben ella stessa intendeva che il suo cuore ardeva già di continuo amor divino; in modo che, siccome dice Bernardino da Busto, Maria per privilegio singolare non conceduto ad alcun altro santo amava e stava amando sempre attualmente Dio in ogn’istante della sua vita; e con tanto ardore, che dice S. Bernardo esservi stato necessario un continuo miracolo, acciocché ella avesse potuto vivere in mezzo a tanta fiamma.
Di Maria già fu detto ne’ Sagri Cantici: “Quae est ista quae ascendit per desertum sicut virgula fumi ex aromatibus myrrhae et thuris et universi pulveris pigmentarii?” (Cant. III, 6)[12]. La sua total mortificazione figurata nella mirra, le sue ferventi orazioni significate nell’incenso e tutte le sue sante virtù unite alla sua perfetta carità verso Dio, accendevano in lei un incendio così grande, che la sua bell’anima, tutta sacrificata e consumata dal divino amore, s’alzava continuamente a Dio qual verghetta di fumo che da ogni parte spirava soavissimo odore. “Qualis fumi virgula, beata Maria, suavem odorem spirasti Altissimo”, scrisse Ruperto[13]. Ed Eustachio con maggior espressione: “Virgula fumi, quia concremata intus in holocaustum incendio divini amoris, ex ea flagrabat suavissimus odor”[14]. E qual visse l’amante Vergine, tale morì. Siccome l’amor divino le diede la vita, così le diede la morte, morendo ella, come comunemente dicono i Dottori e i SS. Padri, non di altra infermità che di puro amore, dicendo S. Idelfonso che Maria o non doveva morire o solo morire di amore.
Continua …
[1] “O morte, quant’è amara la tua ricordanza per un uomo che in pace vive tra le sue ricchezze!”.
[2] “Beati i morti che muoiono nel Signore”.
[3] “Mio Dio e mio tutto”.
[4] “Un gran segno apparve nel cielo: una donna rivestita di sole, con la luna sotto i piedi”.
[5] “La voce della tortorella s’è udita nella terra nostra”.
[6] “Chi è costei che sale per il deserto, come una piccola colonna di fumo dagli aromi di mirra e d’incenso, e di ogni polvere di profumiere?”.
[7] «Talis ascendisti per desertum (o beata Maria), id est animam habens valde solitariam» [Ascendesti per il deserto, o beata Maria, cioè avendo un’anima amante della solitudine] RUPERTUS, Abbas Tuitiensis, Comment. in Cantica Cantic., lib. 3. ML 168-877.
[8] «Tunc quasi loquentia simul, opera dicent: Tu non egisti; opera tua sumus, non te deseremus, sed tecum semper erimus, tecum pergemus ad iudicium» [Allora quasi parlando simultaneamente, le opere diranno: “Tu ci hai fatte; siamo opera tua, non ti abbandoneremo, ma sempre staremo con te, con te ci avvieremo al giudizio”] S. BERNARDUS, Meditationes piissimae de cognitione humanae conditionis, cap. 2, n. 5. ML 184-488.
[9] “Tutta bella sei, amica mia, nessuna macchia è in te”.
[10] Chi sia questa anonima suora Teresiana, se compagna di S. Teresa o contemporanea di S. Alfonso, non ci è dato saperlo.
[11] “Andate via, voi e le vostre lacrime: non è il momento delle lacrime questo!”.
[12] “Chi è costei che sale per il deserto, come una piccola colonna di fumo dagli aromi di mirra e d’incenso, e di ogni polvere di profumiere?”.
[13] “Quale colonna di fumo hai spirato un odore soave per l’Altissimo”
[14] Invece di: «Ed Eustachio», leggi: «E S. Girolamo (o Sofronio o altri) ad Eustochio» – «Ex persona supernorum civium in eius ascensione admirans Spiritus Sanctus ait in Canticis (III, 6): Quae est ista quae ascendit per desertum, sicut virgula fumi ex aromatibus? Et bene quasi virgula fumi, quia gracilis et delicata, quia divinis extenuata disciplinis, et concremata intus in holocaustum incendio pii amoris et desiderio caritatis. Ut virgula, inquit, fumi ex aromatibus: nimirum quia multis repleta est virtutum odoribus: manans ex ea fragrabat suavissimus odor etiam spiritibus angelicis.» [Lo Spirito Santo nella persona dei cittadini del cielo nella di lei ascensione dice nei Cantici: “Chi è costei che sale per il deserto, come una piccola colonna di fumo dagli aromi?”. E giustamente “come piccola colonna di fumo” perché fragile e delicata in quanto estenuata dalle divine discipline e arsa internamente in olocausto dall’incendio di un pio amore e dal desiderio della carità. “Come una piccola colonna di fumo dagli aromi” dice: poiché è ricolma di molti profumi di virtù, spirando da essa un odore soavissimo profumava anche gli spiriti angelici] Epistola (IX) ad Paulam et Eustochium, De Assumptione B. M. V., n. 8. Inter Opera S. Hieronymi, ML 30-129.
Ricordo di aver letto a suo tempo su “Sodalitium” che secondo l’eminente mariologo Gabriele Roschini, Maria non morì.
Certo è la famosa disputa tra mortalisti e immortalisti che è ancora presente nel residuale dibattito teologico tra cattolici. Tempo fa ho recensito con passione un libro immortalista. Piergiorgio Seveso
https://www.radiospada.org/2017/08/la-vergine-immortale-ovvero-il-cuore-che-ha-mai-smesso-di-battere/