Questa rubrica di Radio Spada, agile collezione di appunti sparsi, schegge e notarelle epigrammatiche, non nasce senza una pretesa che, nel suo piccolissimo – per non dire infimo –, ha del rivoluzionario. Per la prima volta, infatti, due laici, con toni volutamente leggeri, senza alcuna pretesa d’esaustività, consegnano ai lettori una sorta di autodiagnosi del cosiddetto mondo “sedevacantista” italiano. Lo fanno, si diceva, con quel poco di acume che Dio ha avuto la benevolenza di donare loro, consapevoli che in tempi ferrigni come quelli in cui stiamo vivendo, ormai privati di tutto, persino della dignità, l’autoironia è forse l’unica cosa che rimane: non ridarà la speranza, non risolleverà i cuori, ma almeno – si spera – strapperà un sorriso e, chissà, magari toglierà un po’ di polvere dalle menti appassite. A tal proposito è bene precisare che non è intenzione degli autori offendere nessuno. Saranno elencati numerosi limiti di un mondo marginale, angusto, a tratti persino fetido, ma un mondo a cui loro sentono irrevocabilmente d’appartenere. Ci potranno essere persino sferzate indelicate. Nel qual caso saranno date con la medesima asprezza di quelle che pure loro meriterebbero. Ogni difetto evidenziato è quindi anche e soprattutto loro, anzi, forse loro stessi sono il peggio che questo piccolo mondo antico abbia mai prodotto. Non è falsa modestia: in tempi di mediocrità diffusa come quelli in cui viviamo, essere pessimi è pur sempre un segno di distinzione [RS].

di Luca Fumagalli e Piergiorgio Seveso
Nel nostro piccolo mondo “sedevacantista” – ma, per certi versi, il discorso potrebbe applicarsi all’intera galassia “tradizionalista” – ci imbattiamo in figure che potremmo definire, a loro modo, antitetiche e complementari.
Il primo gruppo comprende quelli che vivono l’attuale crisi della Chiesa come un fatto di stretta attualità, legato più alla cronaca che alla storia. Sono spessi i figli dello “shock bergogliano”. Commentano con passione e legittima indignazione l’ultima uscita di Francesco, certamente in qualche modo sanno che la crisi della Chiesa ormai è giunta quasi all’età pensionabile; sessant’anni e più, ma sono continuamente ed emotivamente colpiti dall’oggi: gli eccessi di certe parrocchie, i disordini morali nel clero modernista, l’allineamento del Vaticano con le posizioni più progressiste, mondialiste, filantropiche o “di sinistra”,
Sono quelli più a rischio per una memoria storica a corto raggio: Ratzinger era certamente meglio, Wojtyla era contro il comunismo e contro l’aborto, Montini portava la tiara e Giovanni XXIII addirittura il camauro. Il passato prossimo rischia di essere subito idealizzato da costoro, edulcorato, impagliato oppure selezionato al ribasso. E ce ne vuole di controcultura e controstoria della Chiesa per raddrizzare qualche idea strampalata, qualche azzoppata ricostruzione benevola che rischia di trasformare i “carnefici del cattolicesimo” in moderati “limitatori di danni”.
In altri, più avvezzi alla buona stampa e alla lettura dei “nostri libri”, si forma invece un’idea più chiara, per quanto sommaria, della sovversione avvenuta col “Concilio Vaticano II”. Se in loro è abbastanza chiara è la visione del cosa è avvenuto, il come è spesso infiocchettato di visioni ipercomplottiste o crudamente criptopolemologiche. Si va da un unico e vastissimo complotto ebraico-massonico (sulla scorta beninteso di testi benemeriti e fondamentali come quelli, ad esempio, di Maurice Pinay o Leon de Poncins, ma magari anche di cose meno adamantine come la lista Pecorelli, giù giù sino alle astruse numerologie di qualche vecchia e grottesca rivista italiana), a visioni invece più parossistiche ed estreme che spaziano dal papato occulto di Siri a Paolo VI rapito da forze misteriose e sostituito da un sosia (come il “defunto” Paul McCartney del resto) sino ad arrivare alle eccentricità minutelliane dell’oggi.
E’ tipico di una cultura underground e de facto “clandestina” come quella del cattolicesimo romano integrale di oggi elaborare (anche) teorie storiche che, pur partendo da dati fattuali (ad esempio la mancanza di autorità), inseriscano elementi dubbi, non provati, visionari (o peggio “apparizionistici”) e fantastici nella ricostruzione dei fatti. É un aspetto inevitabile, contenibile, correggibile, ma pur sempre inevitabile.
A queste figure dalla visione più semplice e dopolavoristica della storia della Chiesa si accoppiano e si contrappongono quelle degli “storici”.
Ovviamente minoritarie, visto che lo studio (serio) richiede vastissima disponibilità di tempo e una (almeno parziale) libertà dalle occupazioni servili, queste figure si sforzano, in maniera più ponderata e articolata, di sfuggire alle insidie di una visione settoriale o parzializzata della crisi della Chiesa, portandosi ad analizzare la genesi storica della crisi modernista e il suo sviluppo “sotto traccia” nel Novecento, ma essenzialmente risalendo all’indietro, al giansenismo e al regalismo delle corti europee, al protestantesimo e ancora più su alle correnti eterodosse dell’epoca della “Rinascimento” sino alle antiche eresie medioevali o ancor prima all’eresie cristianoidi dei primi secoli dell’era cristiana. Non sono perciò mancati studi seri, dal Delassus al Meinvielle, dal Benigni all’Innocenti: sono testi che in un certo senso contraddistinguono la biblioteca di un cattolico integrale, ma in un pezzo come questo, ci occupiamo più della cornice che del quadro (come si dice, una buona cornice vale la metà del quadro).
Spesso la tentazione di questi eruditi di oggi rimasti in piedi in mezzo alle rovine del cattolicesimo romano, a volte pesti, lievemente rintronati e coperti di polvere e calcinacci, è di iniziare a scrivere i “quaderni della Restaurazione”. Ovvero, come in quei telefim americani dedicati ai “cold case” o alla profilatura degli assassini seriali, si prende a tracciare, su una serie interminabile di lavagne in plastica, una fittissima rete di contatti, storici, ideologici, teologici che via via finisce per coprire intere pareti. Ecco perché siamo arrivati a tanto, esclamano gli eruditi, quella volta l’Inquisizione non fece il suo dovere, quell’altra volta il vescovo o il principe ignaro o complice protesse quel tal eretico, quella tal conventicola, quella tal altra congrega. Via via il tipo dell’erudito integrista scova l’eretico più nascosto nelle pieghe della storia, trova conniventi, compari, succedanei e mezzani: anche in lui monta una specie di spirito inquisitoriale retrospettivo, che a volte – questa è la peggior tentazione che si trova ad affrontare – assomiglia pericolosamente a quella supponenza del “modernista” che giudica, credendosi più “illuminato”, quanto è stato in precedenza.
Su quei “quadernetti” ingialliti e a volte bisunti per il continuativo compulsare, fitti di nomi, date, circostanze, si scrive la drammatica parabola del cattolicesimo romano attraverso i secoli, l’elenco dei suoi nemici interni ed esterni, la terze e financo le quarte forze che ci hanno portato direttamente o indirettamente all’abominio e all’apostasia dell’oggi. Con l’approfondimento e la progressiva composizione di questo mosaico di tradimento e di infedeltà, cresce anche l’insofferenza verso chi non comprende la portata dello schema, verso chi non vi si attiene (forse perché ne ha un altro o non ne ha affatto), verso chi non ne coglie l’assoluta centralità. L’erudito allora spesso si vede circondato da inadeguatezza, ignoranza, fors’anche tradimento e malizia. Se il “Vaticano II” è stato il coronamento di tutti questi errori, bisogna ripartire da capo, processare i responsabili antichi e moderni(sti), ci vogliono dieci, cento, mille processi cadaverici, almeno virtuali, per poter ripartire ad “ Instaurare omnia in Christo”, quasi per purificare storia e memoria.
Chi raccoglierà questi “quadernetti della Restaurazione”? E’ ovvio, il Papa nuovamente cattolico che verrà un giorno (non come gli attuali intrusi o occupanti), quello secondo il Cuore Immacolato di Maria (e qui Salvini però non c’entra), quello che in qualche modo farà ripartire la storia della Chiesa (che ovviamente non si è mai fermata del tutto ma semplicemente, riprendendo sine dolo l’apologo di Gnocchi e Palmaro, è caduta in un sonno letargico fatto di sortilegi e malie ereticali). Questo futuro Papa avrà sulla scrivania pontificia, sia essa in Vaticano o in qualche catacomba alle periferie del mondo, tutti i “quadernetti della Restaurazione” scritti e inviati dai vari fedeli studiosi integristi in questi lunghissimi anni di Vacanza (e qui non c’entrano i tormentoni estivi di Takegi e Ketra o Benji e Fede). Saranno quadernetti sgualciti, riviste patinate, conferenze blindate, presentazioni power point o diagrammi di flusso. Li leggerà il Papa? O come un novello Alessandro Magno, con un colpo di spada, libererà il tavolo?
Speriamo di poterci essere per poterlo vedere e potervelo raccontare.
Nella vigilia della festa di San Pio X
Elenco delle puntate precedenti
101 personalità sedevacantiste
Monsignor Joseph Selway un nuovo vescovo per la Sede vacante
In morte dell’abbè Jean Siegel
Non possumus arriva in Francia
Non possumus in Francia: una nuova puntata
In mortem di S.E.R. Mons. Francis Slupski CSSR
Policentrismo sedevacantista: una mappa
Roma senza Papa: un romanzo di Guido Morselli
Un nuovo vescovo sedevacantista James Carroll
Monsignor Paul Petko (1956-2018) In memoriam
La sindrome della trattoria semivuota
In memoria di Padre Joseph Collins
[At the foot of the vacant throne] “Fortresses, forts and bunkers”
[Au pied du trône vacant] “Forteresses, Fortalices et casemates”
[U podnóża pustego tronu] Twierdze, Forty i bunkry
[Al pie del trono vacante] “Fortalezas, fortalices y bunkers”
La Tesi di Cassiciacum spiegata in inglese
Puntate onorarie:
Orgogliosi di essere la vergogna della Tradizione
Radio Spada: cinque anni di battaglie
Una rivisitazione della Traviata
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