Ritorniamo alla conversazione tra Bergoglio e i Gesuiti del Madagascar e del Mozambico (vedi qui), perché contiene anche questa “perla”:

Oggi ho sentito una certa amarezza quando ho concluso l’incontro con i giovani. Una signora mi ha avvicinato con un giovane e una giovane. Mi è stato detto che facevano parte di un movimento un po’ fondamentalista. Lei mi ha detto in perfetto spagnolo: «Santità, vengo dal Sud Africa. Questo ragazzo era indù e si è convertito al cattolicesimo. Questa ragazza era anglicana e si è convertita al cattolicesimo». Ma me lo ha detto in maniera trionfale, come se avesse fatto una battuta di caccia con il trofeo. Mi sono sentito a disagio e le ho detto: «Signora, evangelizzazione sì, proselitismo no».

Cosa pensare di un papa che prova “amarezza” perché gli vengono presentati due giovani convertiti dall’eresia e dalla idolatria?
Il buon Pastore del Vangelo fa festa quando trova la pecorella smarrita e come si può, da discepoli del buon Pastore (e più ancora da Suo Vicario) e da zelatori della salvezza delle anime, rimanere amareggiati e giudicare aspramente la gioia di chi è riuscito a portare alla Chiesa due pecorelle smarrite?
È tremendo, ma si può!
Si può nel contesto del dogma dell’irrevocabile ecumenismo e del imprescindibile dialogo interreligioso del Vaticano II, di Paolo VI, di Giovanni Paolo II, di Benedetto XVI e in ultimo dell’infelicemente regnante Francesco.
Al massimo è accettabile che uno si converta come i fondatori di Taizé Max Thurian (tra i creatori del Novus Ordo Missae, “prete” “cattolico” nel 1987) e Roger Schutz, ossia aderendo al “cattolicesimo” senza rinnegare, anzi rivendicando di non rinnegare, il calvinismo di provenienza. Del resto in un ottica modernista, non ha senso né l’una né l’altra religione, né nessuna religione.
Tutte alla fin fine si equivalgono e come diceva Madre Teresa di Calcutta: “Ti aiuto a convertirti e ad essere un migliore indù, un migliore musulmano o un migliore protestante. Una volta che trovi Dio, sei libero di decidere come adorarlo”.