di Luca Fumagalli

Il gesuita Cyril Charles Martindale

Nella prima metà del Novecento il gesuita Cyril Charles Martindale (1879-1963) è stato uno dei sacerdoti più celebri e stimati della Chiesa cattolica inglese. Se ancora oggi, nelle Isole Britanniche, il suo nome è piuttosto noto, in Italia, al contrario, di lui si sa poco o nulla. Sorprenderà molti, perciò, scoprire che il gesuita è l’autore di Santi, un’antologia di brani agiografici che pure alla nostre latitudini ha riscosso un discreto successo. Alcune storie contenute nel libro, come quella di Ermanno lo storpio, sono diventate famose e non è raro sentirle citate in contesti pubblici.

Convertitosi dal protestantesimo in giovane età, dopo gli studi superiori ad Harrow, Martindale decise di abbracciare il sacerdozio diventando membro della Compagnia di Gesù. Il primo ingresso in una chiesa cattolica, quando era ancora un fanciullo, fu in tal senso un’esperienza decisiva: l’edificio, con i suoi giochi di luce e ombra, le sue statue e i suoi affreschi era diverso da qualsiasi altro luogo di culto che avesse mai visto, molto più suggestivo e affascinante, parendo ai suoi occhi un’oasi di vita in un mondo che già percepiva come morto. 

L’incontro con Dio fu per lui un’àncora di salvezza che lo trascinò via dagli abissi della disperazione e dall’ipotesi estrema del suicidio. Da adolescente si era infatti accorto, forse troppo prematuramente, che l’uomo portava in sé i segni di una drammatica fragilità. Se non fosse esistito qualcosa di superiore e di migliore, in grado di riscattarlo dalla sua condizione, nulla poteva avere senso. Ecco perché l’Annunciazione, dopo il suo ingresso nella Chiesa, divenne per lui una delle più importanti feste del calendario liturgico: il “Sì” di Maria aveva infatti spalancato le porte alla venuta di Cristo nel mondo, la più grande testimonianza del Suo amore per l’umanità.

Molto probabilmente è a queste considerazioni che si deve ricondurre la tenera devozione che nacque in lui, ancora studente, per la Madonna, una devozione che lo accompagnò per il resto della vita (nonostante a casa gli venisse insegnato che il culto “papista” dei santi era una volgare forma di idolatria). Ancor prima di farsi cattolico, a seguito di un viaggio in Francia, comprò pure un rosario e una statuetta del Sacro Cuore.

Più o meno nello stesso periodo fu affascinato dalla figura di San Luigi Gonzaga, il gesuita del XVI secolo che sacrificò la sua giovane vita pur di aiutare gli ammalati, un santo a cui Martindale rimase sempre legato e a cui dedicò più di uno scritto.

La spiritualità del sacerdote inglese, animata dal desiderio di abbracciare in toto la vita, anche nei suoi aspetti più rivoltanti, si reggeva su un unico assunto: abbandonarsi alla volontà di Dio e agire come un docile strumento nelle Sue mani. Provava un genuino orrore per quella modernità che pretendeva di sostituire l’uomo a Cristo, per quegli sciocchi che non comprendevano che proprio in un tale atteggiamento – che echeggiava da vicino il “Non serviam” satanico – risiedeva la radice di ogni male.

Martindale (al centro) con un gruppo di soldati convalescenti (1917 ca.)

Da qui la ben nota carità. L’esempio, a sua detta, era l’unica cosa in grado di procurare delle conversioni. Non a caso fu proprio durante la Grande guerra, impegnato presso gli ospedali di Oxford, che Martindale, per così dire, trovò se stesso e la conferma definitiva della sua vocazione sacerdotale.

Nonostante la salute cagionevole – per tutta la vita soffrì di violenti attacchi di emicrania – il suo fu un apostolato a dir poco frenetico: si fece in quattro per assistere i poveri e i lavoratori, viaggiò in ogni continente per presenziare ai vari congressi eucaristici, creò un movimento cattolico universitario, predicò numerosi ritiri e mai si dimenticò di sottolineare l’importanza della devozione nella vita del buon cristiano, organizzando eventi e promuovendo associazioni che incentivassero il culto e la preghiera.

Né va dimenticata la sua profonda stima nei confronti del papato romano, da cui derivò pure un certo scetticismo a proposito di una possibile riconciliazione tra la Chiesa cattolica e quella anglicana. 

Al netto del suo essere estremamente timido e taciturno, Martindale era comunque una persona dotata di grande empatia, capace di cogliere al volo i pensieri e gli umori dei suoi interlocutori (solo con i confratelli, anche con quelli di cui era amico, mantenne sempre una certa distanza, secondo lui prudenziale in un ambiente prettamente maschile). L’uomo, non il pensiero astratto, era ciò che lo appassionava veramente, e questo era pure il motivo per cui alla filosofia preferiva di gran lunga la storia.

Allo stesso modo, nelle sue opere agiografiche, compilate solo dopo lunghi studi e un’accurata verifica delle fonti, poneva l’accento sull’umanità dei protagonisti, credendo che questa fosse la miglior via per mostrarne chiaramente il carattere e la santità. Ciò che più lo affascinava erano le contraddizioni dell’animo, quelle tensioni opposte che si agitano invariabilmente nei cuori delle persone. Agendo secondo questo principio, Martindale si ritrovò a fondare un nuovo stile agiografico, lontano da quello mainstream degli Oratoriani e di altri ordini religiosi inglesi del XIX secolo, nei cui scritti prevalevano a volte le tinte pastello, gli aneddoti posticci e un’esagerata ostentazione dei fatti più eccezionali (sovente a scapito della verità). Questo nuovo modo di intendere l’agiografia fu forse il suo più grande e duraturo contributo alla cultura cattolica.

Nel 1916 pubblicò la biografia di Robert Hugh Benson, celebre autore del romanzo distopico Il padrone del mondo. Il lavoro, una vera miniera di informazioni, gli era stato ufficialmente commissionato dalla famiglia del monsignore – scomparso prematuramente due anni prima – e dal cardinale Bourne. Oltre a quella di Benson – che fu un vero e proprio successo commerciale – scrisse altre pregevoli biografie, libri di viaggio e diverse memorie di suoi confratelli gesuiti (alcune tra queste, pensate per amici e parenti, circolarono solo in forma privata).

Martindale ai microfoni della BBC (1935)

Diede alle stampe pure vari pamphlet apologetici, finalizzati a insegnare ai fedeli i principi della dottrina e della liturgia cattolica, tutti caratterizzati da un linguaggio chiaro, facilmente accessibile ai più. Di questo gruppo il suo libro più famoso fu senz’altro The Difficult Commandment (1934), dedicato al sesto comandamento. Inizialmente Martindale si rifiutò di far comparire il suo nome in copertina perché non voleva in nessun modo essere associato a un testo che trattava tematiche sessuali; dopo la rapida impennata delle vendite fu infine costretto a cedere alle insistenze dell’editore e dei sodali.

Tra i cattolici inglesi fu anche un pioniere degli studi comparativi tra le religioni e uno dei primi gesuiti a interessarsi di psicologia (sebbene non mancò di sottolinearne i limiti, in particolare la pretesa di considerare gli altri uomini dei “casi” da profanare con investigazioni dell’anima a volte francamente pretenziose).

Dal punto di vista letterario, la sua non fu certo una vocazione tardiva: già durante la scuola superiore Martindale iniziò a scrivere poesie, una passione che continuò fino alla fine dei suoi giorni e che ebbe una parentesi particolarmente ispirata durante gli anni dell’università, ad Oxford, quando le sue liriche presero ad allontanarsi poco a poco dal manierismo delle prime prove per virare verso temi capitali quali il destino dell’uomo e il suo tormentato rapporto con il divino. Le indiscusse abilità gli valsero la vittoria di diversi premi e lo convinsero a tentare di battere anche la strada della prosa.

Oltre ad essere stato un brillante scrittore, Martindale fu predicatore, giornalista e conferenziere di rara efficacia. Tenne varie trasmissioni dai microfoni della BBC, le più importanti delle quali furono quelle dedicate alla vita dei santi, andate in onda nei primi mesi del 1932. Come predicatore fu sempre chiaro e diretto, dimostrando di apprezzare poco gli orpelli della retorica. Diversi suoi sermoni vennero in seguito raccolti e pubblicati in agili volumi a uso e consumo dei fedeli.

Il suo amore per la Chiesa non gli impedì tuttavia di scorgere diversi limiti che la attraversavano e che rischiavano di renderla incapace di affrontare al meglio le sfide offerte da un’epoca di scetticismo dilagante.

Ad esempio, durante un soggiorno di tre mesi in Italia – il suo paese preferito dopo la Francia –Martindale ebbe modo di trascorrere parecchio tempo fianco a fianco con il clero della Penisola. Fu un’esperienza molto significativa che lo aiutò a maturare la convinzione di come fosse fondamentale per il cattolicesimo evitare la tentazione di chiudersi in se stesso, incurante di tutto il resto. Nel 1925 mise le sue riflessioni su carta, offrendo una sintesi di quelle che secondo lui erano le “cinque piaghe” che affliggevano la Chiesa: l’identificazione dei fedeli con la politica partigiana, l’ignoranza dei cattolici nei confronti del dogma, una diffusa confusione su cosa sia o non sia il socialismo, la troppa distanza di pensiero, parola e comportamento tra il sacerdote e l’uomo ordinario e, dulcis in fundo, la riduzione della religione a una serie di regole di comportamento, mettendo così in ombra l’amore di Dio, la cosa in assoluto più importante.  

Martindale il giorno del suo ottantesimo compleanno

Dato che alcuni suoi articoli suscitarono qualche polemica sia in Inghilterra che in America, Martindale venne persino sospettato di modernismo. Secondo gli ordini di Roma, per un lungo periodo i suoi scritti, anche quelli più domestici, vennero controllati da ben quattro censori (anziché i due solitamente previsti dalla Compagnia di Gesù). L’amara ironia della situazione sta nel fatto che Martindale aveva sempre dimostrato una vigorosa avversione per le nuove idee, soprattutto per quelle del confratello Tyrrell (meno severo fu invece il suo giudizio nei confronti di Teilhard de Chardin). Dopo qualche tempo i malintesi con le autorità vennero chiariti e Martindale – che, come tipico del suo carattere, non fece mai nulla per scagionarsi dalle accuse – poté riprendere la propria attività senza alcun problema.

In verità, più che modernista, quello del sacerdote inglese fu uno spirito moderno: Martindale si rendeva conto di come, col passare del tempo, fosse necessario trovare nuove strategie per convincere gli uomini – ormai vittima dello sconforto e della disillusione – di come il messaggio evangelico continuasse a essere una proposta seducente e allettante, l’unica ancora in grado di dare un senso all’esistenza. 

Anche nei confronti delle conversioni, memore della propria esperienza, il suo atteggiamento fu sempre cauto, evitando i facili entusiasmi tipici di una certa mentalità inglese d’inizio Novecento. Lo dimostra il suo incontro con Ronald Knox, avvenuto nel 1914 presso la dimora di Lord Halifax. Al tempo Knox era un prelato della Chiesa d’Inghilterra che stava attraversando una grave crisi spirituale. Fu così che una sera espresse a Martindale i suoi dubbi, chiedendo di essere ammesso nella Chiesa di Roma. Con sua grande sorpresa il gesuita non assecondò la richiesta, invitandolo piuttosto a meditare ulteriormente e a trovare anche delle ragioni positive per fare il grande passo. Dopo qualche tempo Knox gli scrisse una lettera per informarlo che aveva fatto quanto gli era stato detto e che si sentiva finalmente pronto a diventare cattolico.

Pur con tutti i limiti umani del caso, la parabola sacerdotale di Martindale fu a dir poco eccezionale. A suo modo fu un genio, capace di cogliere in anticipo rispetto alla maggior parte dei confratelli i cambiamenti della società e di sfruttarli per meglio diffondere il messaggio di Cristo e della Sua Chiesa. Al pari di Edmund Campion, il celebre gesuita martire del XVI secolo, rinunciò a una sicura carriera accademica per dedicarsi anima e corpo a un apostolato d’amore, rivolto a un mondo sofferente che aveva scioccamente volto le spalle a Dio.


Fonte: P. CARAMAN, C. C. Matindale. A Biography, Longmans, Londra, 1967.