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di Miguel

Cari Amici di Radio Spada,

Dopo oltre un anno che il mio nome non compariva sul vostro sito, rieccomi.

Il vostro pubblico non gradiva il mio modo un po’ irruento di descrivere il gialloverdismo. Ora che i fatti, e il Guelfo Rosa (forse meno brutale), hanno parlato… c’è più calma. Dunque son qui. Per discorrere di politica? No, per carità.

Il 15 settembre di un anno fa scrivevo su queste colonne l’articolo: Il bergoglismo è finito, andate in pace. Sì, a volte è inelegante autocitarsi ma permettetemi di farlo per portare a termine quel ragionamento, con tutte le conferme che ha avuto. Insomma, scrivevo:

Ci siamo arrivati, del resto oggi si guarda più al tempo che all’eternità. E il tempo di questo super spot è arrivato alla conclusione. Non importa se Jorge Mario regnerà ancora un anno, due o dieci. Il bergoglismo è finito per ciò che è stato: un fenomeno mediatico, uno story telling, chiamatelo come volete. Finisce qui a prescindere da Bergoglio, che ha rappresentato qualcosa che va oltre la sua stessa persona, insomma: un atteggiamento, un messaggio, “buonsera”, “vescovo di roma”, “buon pranso”, “chiesa della misercordia”, “chiesa in uscita”, “povera per i poveri”, e via discorrendo.

Dopo un anno, e alle soglie del Sinodo amazzonico, confermo: il bergoglismo è finito, non è più popolare, ha perso pubblico. Da un lato, in un’era di sogni sovranisti di massa, non c’è troppo spazio sociale per nuovi umanesimi di marca argentina, dall’altro c’è l’eterno problema della rivoluzione, che mangia i suoi figli. Francesco, sempre meno acclamato, è stretto in una morsa: non solo a destra ma pure a sinistra. Più che Francesco forse dovremmo dire “il Vaticano”, che ormai rischia non uno ma due scismi.

C’è il sempre paventato sgretolamento conservatore: quello degli inconcludenti dubia, delle lettere, delle suppliche, delle lagne, del non ci sono più le mezze stagioni ratzingeriane, dei treni polacchi che arrivavano in orario e chi più ne ha più ne metta. Bergoglio – a torto o a ragione – sembra aver poca paura di questa pattuglia. “Non temo lo scisma”, “un onore essere attaccato dagli americani”, assicura. In effetti ha notato che il cane conservatore ha abbaiato molto e morso poco. Del resto il guinzaglio conciliare è duro da spezzare e questi prelati lo portano più o meno tutti al collo.

C’è però qualcosa di cui si parla meno ma agita di più: il vero o presunto “scisma tedesco” o “scisma progressista”. A questo proposito si legga: Il “sinodo” antivaticano del Cardinale Marx.

Marx ha detto al Vaticano, nonostante i forti richiami, che il suo Sinodo tedesco non è in discussione. Aggiungo: costi pure la rottura con quella che oltre il Tevere continuano a considerare (?) “la Dottrina”. Si riferisce, nella traduzione della CNA fatta da Sabino Paciolla, che le bozze di statuto per la prevista “Assemblea sinodale” sono stati approvati in agosto dal comitato esecutivo della Conferenza episcopale tedesca, in vista di un’udienza finale in una riunione plenaria dei vescovi tedeschi, che si terrà dal 23 al 26 settembre. La CNA ha anche riferito che piccoli gruppi di lavoro legati al Sinodo hanno già iniziato a discutere una serie di temi controversi della Chiesa.

Questi la sinodalità conciliare l’hanno presa sul serio.

Ma attenzione: l’assemblea che si prepara in Germania non viaggia su binari troppo diversi da quelli amazzonici, anzi. E questo per tre ragioni: 1) i toni progressisti sono paragonabili; 2) ciò che sarà libero in Amazzonia difficilmente non lo sarà in Germania; 3) I tedeschi hanno antichi e solidi legami col Sud America.

Insomma: la coperta, tirata ora a destra ora a manca inizia ad esser corta, la popolarità scende e le opzioni per l’8xmille pure. Certo: la forza centripeta è pure tanta e nessuno ha voglia di rischiare troppo.

Il diario della fine del bergoglismo sarà ricco di puntate.

Cordiali Saluti,