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Pubblichiamo di seguito la seconda ed ultima parte del Piccolo vademecum antiscientista (di A. Giacobazzi, qui la prima parte), uscito con il n° 111 de La Tradizione Cattolica [rivista del distretto italiano della FSSPX – 3, 2019].

[…]

5. Scienza e Fede: verità nascoste e falsità palesi

Secondo l’opinione più diffusa negli ambienti sedicenti colti, la Chiesa sarebbe un’avversaria storica della buona scienza e il caso più eclatante in grado di dimostrare questo assunto consisterebbe nella vicenda di Galileo Galilei. Una conclusione falsa quanto le premesse.

Paul Karl Feyerabend, filosofo «anarchico» della scienza, pur senza voler tessere alcun elogio dell’Inquisizione, riconobbe nel suo celebre saggio Contro il metodo, Abbozzo di una teoria anarchica della conoscenza che

«La Chiesa all’epoca di Galileo si attenne alla ragione più che lo stesso Galileo, e prese in considerazione anche le conseguenze etiche e sociali della dottrina galileiana. La sua sentenza contro Galileo fu razionale e giusta, e solo per motivi di opportunità politica se ne può legittimare la revisione»[i].

Feyerabend, animando un’accesa «polemica contro l’oggettività della conoscenza scientifica»[ii], sostenne che Galileo vinse la sua battaglia soprattutto «grazie al suo stile e alle sue capacità di persuasione», ricorrendo ai «mezzi della propaganda» e utilizzando anche «trucchi psicologici», perché in realtà non disponeva di prove sufficienti ad affermare la propria tesi[iii]

A confermare le parole dell’«anarchico» Feyerabend provvide, in tempi più recenti, lo “scienziato benedettino” Stanley Jaki[iv] che ribadì come Galilei non avesse la prova di ciò che sosteneva in merito al moto della terra «e neppure dimostrò che la Chiesa insegnasse il geocentrismo come qualcosa in cui era necessario credere»[v].

La famosa frase «eppur si muove»? Un falso storico. «Fu inventata a Londra, nel 1757, dal brillante e spesso inattendibile giornalista Giuseppe Baretti»[vi]. Meno noto della frase appena citata fu l’interesse di Galilei per l’astrologia e per gli oroscopi. William R. Shea, storico e filosofo della scienza della Cattedra Galileiana dell’Università di Padova, sostiene: «Galileo faceva l’oroscopo per se stesso, per sapere come comportarsi con le due bambine e un ragazzo che aveva in casa, figli della sua compagna Marina Gamba incontrata a Venezia»[vii].

Del resto lo scienziato pisano, una delle cui figlie divenne storicamente celebre col nome di suor Maria Celeste (al secolo: Virginia Galilei), «conservò la fede cattolica fino alla morte, fu amico per lungo tempo di Papi e di cardinali (il cardinale Maffeo Barberini, poi eletto Papa con il nome di Urbano VIII, fu suo grande ammiratore), e da molti religiosi fu protetto e incoraggiato nelle sue ricerche. Quando nel 1611 si recò a Roma fu molto ben accolto dal padre Cristoforo Klaus (Clavio) e dai gesuiti del Collegio Romano. Fu ricevuto persino da Papa Paolo V, con il quale ebbe un lungo e caloroso colloquio. […] Quando padre Cavini attaccherà Galileo a Firenze, nella chiesa di santa Novella, lo scienziato verrà difeso dal padre Benedetto Castelli, suo discepolo e professore di matematica a Pisa, e dal maestro Generale dei Domenicani, padre Luigi Maraffi. Sarà poi il cardinale Giustiniano ad ordinare al Cavini di ritrattare pubblicamente le sue accuse. Senza dimenticare che a Napoli, un altro religioso, il padre Foscarini, pubblicava un elogio di Galileo e del sistema copernicano (che molti gesuiti dotti approvavano) ottenendo l’approvazione ecclesiastica»[viii].

Anche dopo il 1633,

«fu ospitato nella villa del cardinale di Siena, Ascanio Piccolomini, “uno dei tanti ecclesiastici che gli volevano bene” (Messori). Quindi, si trasferì nella sua villa di Arcetri, detta “il gioiello”, alla periferia di Firenze. Morì con la benedizione del Papa […], segno che la Chiesa non lo considerava certamente un avversario né lui considerava tale la Chiesa»[ix]

Se lo scienziato pisano[x] fu costretto a diventare post mortem una sorta di stendardo anticattolico usato in un’improbabile battaglia tra presunta ragione e fede malintesa, uno dei maggiori filosofi della scienza morti nel secolo scorso, Pierre Duhem[xi], dimostrò come la scienza dovesse molto al Credo cristiano, riferendosi «a quella stessa fede come alla culla che aveva accolto la nascita della scienza moderna del XIV secolo»[xii]:

 «ogni opposizione tra la scienza e la religione andava vista come un semplice malinteso tra un padre e il di lui figlio. Anche se il figlio sembrava voler sfidare il padre, egli faceva pur sempre parte della famiglia. Stabilendo questo punto, Duhem faceva mancare il terreno sotto i piedi a quel genere accademico di atei del villaggio che adorano la scienza per tenere lontano lo spettro della vera adorazione»[xiii]

La migliore scienza del resto pare essere nata ed essersi sviluppata, «dopo secoli di tentativi regolarmente abortiti – si pensi alle antiche civiltà cinese, indiana e greca -, solo all’interno di una cultura permeata dalla convinzione che la mente umana sia capace di cogliere, nelle cose e nelle persone, un segno del loro Creatore»[xiv]. Andrebbero così rovesciati «molti luoghi comuni e molte leggende, come quella che considera il Medioevo cristiano un’epoca di oscurantismo e di superstizione»[xv]: «i secoli della Cristianità medioevale sono quelli in cui l’inculturazione della fede in un Dio personale, trascendente, razionale e creatore di tutte le cose, ha posto le condizioni per lo sviluppo dell’indagine scientifica della natura»[xvi].

Non si tratta quindi solo di porre la scienza nel suo giusto ambito, e di valutarne i corretti limiti, ma di saper attribuire alla vera fonte l’origine dei suoi frutti più utili.

Un altro esempio dei molti che si potrebbero fare sui gravi fraintendimenti in campo storico-scientifico riguarda la teoria einsteiniana della relatività. Ad essa si è attribuito, ad esempio, il «merito» di «aver favorito e poi consolidato il relativismo come concezione filosofica tesa a negare l’esistenza di una verità stabile o di valori assoluti», non a caso ritroviamo questa motivazione fra le ragioni con cui «la rivista internazionale Time attribuiva ad Einstein il titolo di personaggio più importante del XX secolo»[xvii].

In realtà la “relatività” «nonostante il nome che può trarre in inganno, non aveva nulla a che vedere con il relativismo filosofico: al contrario essa era la teoria degli “invarianti”, delle leggi che si presentano nella “stessa forma” per tutti gli osservatori (covarianza): la formulazione nello spazio di Minkowski aveva consentito di evidenziare bene questo risultato già in relatività ristretta per gli osservatori inerziali, ma Einstein non accontentandosi di questo, volle estendere l’indipendenza delle leggi fisiche a “tutti” gli osservatori, mediante la relatività generale»[xviii], commenta Alberto Strumia.

Ancor più netto Stanley Jaki: «Lo stesso Einstein potrebbe essersi pentito per alcune sue affermazioni fuori luogo. Egli non ha fatto dichiarazioni sufficientemente forti e ripetute dopo che si era reso conto, nel 1922, che la teoria della relatività avrebbe dovuto essere invece chiamata la teoria dell’invarianza. Infatti tale teoria è la più assolutista mai proposta nella storia della fisica»[xix].

Il paradosso, se così si può definire, si presentò presto: il fascismo nascente (profondamente intriso di retorica rivoluzionaria) guardò con interesse ai fraintendimenti relativistici per consolidare le proprie posizioni. Il «22 novembre 1922 Mussolini intitolò l’editoriale su Il Popolo d’Italia “Nel solco delle grandi filosofie: relativismo e Fascismo”. Mussolini si propose come colui che aveva realizzato il relativismo politico, come massima espressione pratica di quello che sarebbe la relatività»[xx]

Delle confusioni prodotte in merito alla scienza, e delle stravaganze connesse, si potrebbe scrivere a lungo, in particolare quando, stravolgendo l’ordine della conoscenza, si è preteso di far giocare alla scienza un ruolo sbagliato. Basti pensare all’ossessivo Kant, il quale non mancò di sostenere che sarebbe stato capace di offrire la spiegazione dell’evoluzione del sistema solare con tutto l’apparato matematico[xxi], concludendo la sua carriera di filosofo con un libro, poi pubblicato come Opus Postumum, nel quale «ha coperto di ridicolo tutte le branche della scienza fisica applicando ad esse i precetti epistemologici della Critica della Ragion Pura. Così facendo, Kant ha dato libero sfogo alla sua smania di discettare su tutto»[xxii].  «Il risultato è stato così oscurantista che i neokantiani avrebbero desiderato che il manoscritto non fosse mai venuto alla luce. Ma esso esiste, ora anche in traduzione inglese»[xxiii].

6. Spunti finali per una riflessione su scienza e scientismo[xxiv]

Volgendo alla conclusione, non possiamo che tornare ad alcuni argomenti accennati nel primo capitolo. In cosa consiste il “sapere profondo” della scienza degli ultimi secoli? Quali sono le concezioni filosofiche che l’hanno influenzata?[xxv] 

Alla domanda su che cosa ci sveli il metodo scientifico, Giorgio Masiero risponde che «non svela le cose e neanche come funzionano, ma come possiamo simulare il loro funzionamento per replicarlo»[xxvi]. Cambiando angolazione, su un tema distinto ma connesso, Louis de Broglie non manca di affermare: «i risultati delle misure che costituiscono le conoscenze dello scienziato non descriveranno l’universo fisico qual è, ma qual è conosciuto dallo scienziato a seguito di esperienze che comportano perturbazioni sconosciute e incontrollabili»[xxvii].

Nel 1988, in occasione del Meeting di Rimini, tre studiosi di fama internazionale (Dipankar Home, Stanley Jaki e Franco Selleri) si riunirono per dibattere, a partire dalla meccanica quantistica, sul tema Cos’è la realtà?. Pur rimandando alla trascrizione completa per una comprensione più generale[xxviii] risulta curioso come in quell’occasione D. Home, ricercatore presso il Bose Institute di Calcutta, abbia voluto citare il celebre poeta americano Robert Frost:

We dance round in a ring and suppose,

But the Secret sits in the middle and knows.

Balliamo in cerchio e supponiamo, ma il Segreto si trova nel mezzo e sa”.

Del resto, Franco Selleri, docente di fisica teorica presso l’Università di Bari, aggiunse: «È probabile che ci siano nella fisica moderna anche molte idee create, cioè storicamente determinate, […] idee che avrebbero potuto essere diverse, e che avrebbero potuto portare a una scienza radicalmente diversa da quella che possediamo». Ed è proprio a proposito di queste “idee create” – o, potremmo dire, di una certa “filosofia” della scienza – che Marcel de Corte, autore del capolavoro L’intelligenza in pericolo di morte (già citato più volte), ci fornisce alcuni elementi interessanti, relativi al pensiero del celebre scienziato Werner Heisenberg, che riferisce:

«Le leggi naturali che formuliamo matematicamente nella teoria dei quanta non concernono più le particelle elementari propriamente dette, ma la conoscenza che ne abbiamo. La conoscenza della realtà oggettiva delle particelle elementari si è dunque stranamente dissolta, non nelle nebbie di una nuova concezione della realtà oscura o mal compresa, ma nella trasparente luce di una matematica che non rappresenta più il comportamento della particella elementare ma la conoscenza che ne abbiamo. Se è permesso parlare dell’immagine della natura secondo la fisica del nostro tempo, bisogna con questo intendere non tanto l’immagine della natura, quanto l’immagine dei nostri rapporti con la natura»[xxix].

Secondo il fisico Niels Bohr, poi, «non esiste alcun mondo quantistico. Esiste solo una descrizione fisico-quantistica astratta. É sbagliato pensare che il compito dei fisici

[sia]

di scoprire come è la natura. La fisica tratta di ciò che possiamo dire intorno alla natura»[xxx].

Possiamo pensare ad una scienza forse capace di “raggiunge tutto”? Risulta più che legittimo dubitarne. Anche il grande matematico Kurt Gödel[xxxi] confermerebbe queste perplessità. Racconta Stanley Jaki:

«Non avremo mai una descrizione completa della realtà materiale in termini di scienza finché rimane valido il Teorema di incompletezza di Gödel. Vorrei raccontarvi un aneddoto: dodici anni fa ho fatto parte di un gruppo di discussione, con tre premi nobel e due professori dell’Università di Harward, e abbiamo discusso proprio di questo problema. Uno dei premi Nobel ha promesso a un pubblico numeroso come quello di oggi, che entro i sei mesi successivi, o al massimo nei tre anni successivi, avrebbe dato una descrizione finale, globale, completa dell’intero sistema delle particelle fondamentali. Quando è stato il mio turno ho risposto che gli auguravo buona fortuna, ma che non sarebbe riuscito in questo sforzo. Nel 1976 un premio Nobel della fisica poteva ancora permettersi di ignorare il Teorema di Gödel»[xxxii].

Ci sono, del resto, dati ancora più immediati e accessibili che chiariscono perché la scienza risulti spesso più impotente che onnipotente, sebbene avvolta da un’aurea di ieratica serietà. Si tratta del tema della quantità e dei limiti che essa implica, come già in parte accennato. Sempre Stanley Jaki ci ricorda:

«La realtà di uno strumento non può essere racchiusa in semplici numeri, proprio perché esso è molto più che non tutte le proprietà misurabili dello strumento stesso. Anche nella scienza più astratta, la matematica, le quantità da sole non bastano a spiegare le operazioni che con esse si fanno. Solo parole di tipo non-quantitativo possono spiegare cosa sia, per esempio, un segno di moltiplicazione»[xxxiii].

Parlando del “metodo quantitativo della scienza” – perdonerete la lunga, ma utile, citazione – lo scienziato benedettino aggiunge:

«Nonostante la sua potenza (predittiva e industriale), quel metodo non può raggiungere quello che si trova al di là dei fenomeni. Infatti la scienza, che non è la differenza tra le passioni e la loro assenza, non è neppure la differenza tra realtà e non-realtà. La scienza è semplicemente un approccio metodico in base al quale si restringe il proprio campo visivo a caratteristiche e differenze puramente quantitative. È questa la grandezza della scienza ma anche la sua miseria. Qui si trova il suo punto cruciale. Perché proprio in base a un tale approccio metodologico la scienza si riconosce incompetente a pronunciarsi su qualsiasi cosa che abbia un carattere non quantitativo, compreso le affermazioni, rigorosamente non quantitative, sull’esistenza stessa delle cose materiali. E la scienza non può neppure rivelare cosa sono le cose»[xxxiv].

«[…] Il teologo può affrontare fiduciosamente la domanda: “perché la Scienza?”. Per una risposta egli può guardare con sicurezza a quella mente umana che, proprio perché creata a immagine di Dio, è portata a trovare un’enorme soddisfazione nello scoprire le correlazioni e le caratteristiche quantitative delle cose. E se il successo con le quantità sembra portare la mente a perdersi, una riflessione sul suo stato di creatura – e solo una tale riflessione – può fornirle una limitazione un equilibrio»[xxxv].

Al termine di queste pagine forse si scorge quanto del comune sentire rispetto alla scienza e alla fiducia cieca che le andrebbe tributata sia in realtà un miraggio, se non una patologica allucinazione. La buona filosofia e la storia ci insegnano che in questo campo, forse ancor più che in altri, la virtù della prudenza è fondamentale. E l’antica saggezza ci conferma dal Cielo:

«Io sono il Signore che ho fatto tutte le cose, Io solo distendo i cieli, e rendo stabile la terra, e nessuno è con me. Io rendo vani i presagi degli indovini, e faccio impazzire gli astrologi, fo indietreggiare i sapienti, rendo stoltezza la loro scienza»[xxxvi].


[i] A. Carioti, Corriere della Sera, 16 gennaio 2008, Quella citazione di Feyerabend, l’epistemologo che smitizzò Galileo, http://www.corriere.it/cronache/08_gennaio_16/feyerabend_galileo_galilei_1f7f4b4c-c3ff-11dc-8fe5-0003ba99c667.shtml

[ii] Ibidem.

[iii] Ibidem.

[iv] Stanley László Jaki O.S.B., filosofo, saggista, professore universitario, teologo e fisico ungherese naturalizzato statunitense.

[v] S. L. Jaky, Bibbia e scienza, cit., p. 123.

[vi] V. Viccardi, Galileo Galilei: un po’ di verità, Il Timone, n. 1, maggio/giugno 1999.

[vii] G. Caprara, Corriere della Sera, 12 marzo 2009, Galileo, quel genio della fisica che faceva l’oroscopo, http://www.corriere.it/cultura/09_marzo_12/caprara_genio_fisica_e8178976-0edf-11de-97ba-00144f02aabc.shtml

[viii] V. Viccardi, Galileo Galilei: un po’ di verità, cit.

[ix] Ibidem.

[x] Più tagliente e colorito il giudizio che ne dà Rino Camilleri in La verità su Galileo, Fogli, n. 90, Anno XI, settembre 1984. Alcuni estratti:

«[…] Il famigerato processo? Dopo vent’anni di insistenze e certificati medici da parte dell’inquisito, fu celebrato con mille scuse per il grande Galileo, che intanto stava alloggiato in una villa sul Pincio con servitori, leccato e lisciato dal Papa e dai Cardinali. L’”eppur si muove!”? Mai detto. La condanna? Dire una volta alla settimana i sette salmi penitenziali per tre anni (subito commutata). A Galileo la trappola gliel’avevano “montata” i suoi colleghi, stufi della sua arroganza (Galileo li insultava apertamente tutte le volte che poteva) e gelosi delle sue entrature vaticane (furono gli astronomi gesuiti a difenderlo quando annunciò le sue scoperte). L’intolleranza ecclesiastica nella Controriforma? Ma Galileo convive more uxorio con una sguattera che non volle sposare mai (se ne vergognava) e che gli diede quattro figli, tra cui due suore, tutti registrati come N.N. E nessun ecclesiastico glielo rimproverò mai. Le scoperte di Galileo? Nel campo della fisica, non certo in quello dell’astronomia. Che la terra girasse attorno al sole l’aveva già detto Copernico. Il cannocchiale l’aveva scoperto un ottico olandese (e c’è chi sostiene che l’invenzione fosse addirittura di un domenicano pisano medievale). […] I colleghi fecero girare certe sue lettere in cui si sfidava la Chiesa a pronunciarsi e la cosa finì in tribunale. Tutto qui. La Chiesa si preoccupò subito delle implicazioni etiche della cosa. E aveva ragione, perché oggi conosciamo i guasti che può causare la Scienza quando sfugge di mano. Cambiava qualcosa nella nostra vita se era il sole a girare attorno alla terra? No. Ma sarebbe cambiato sì, ed è cambiato (tutto), da quando la Scienza ha preso il posto della Religione, cosa che a Galileo importava più della teoria copernicana. Ma la retorica si è impadronita dell’evento (ricomposto subito, peraltro, dai protagonisti, che non diedero alla cosa tutta l’importanza che oggi le si dà), facendo di Galileo il campione della Ragione. Ma il “razionalismo” stava invece tutto dalla parte della Chiesa, visto che Galileo e l’intera sua Accademia dei Lincei avevano più a cuore la magia, l’alchimia, l’ermetismo, l’esoterismo (una mostra parigina tutti questi panni sporchi li ha messi in piazza dal 12 dicembre all’8 gennaio), e i fantomatici Rosacroce. Così come tutto il gotha della cosiddetta Scienza dell’epoca: Bacone, Newton, Cartesio, Copernico, Boyle, Grozio, Keplero. E poi Campanella e Giordano Bruno, che per vivere, faceva anche la spia. Si è scoperto recentemente: grazie a lui Elisabetta “la grande” mandò a morte migliaia di cattolici inglesi. Ma credete che tutto ciò finirà nei libri di scuola? Scordatevelo».

[xi] Pierre Maurice Marie Duhem è stato un filosofo, storico della scienza, fisico e matematico francese.

[xii] S. L. Jaky, Bibbia e scienza, All’origine di un rapporto inscindibile, cit., p. 138.

[xiii] Ibidem.

[xiv] L. Benassi, Fede, scienza e falsi miti della cosmologia contemporanea, Cristianità, anno XXI, n. 224, dicembre 1993 [sull’opera Dio e i cosmologi, di S. L. Jaki]

[xv] Ibidem.

[xvi] Ibidem.

[xvii] A. Strumia, Teoria della relatività, 2002, http://disf.org/relativita. Alberto Strumia è matematico e teologo.

[xviii] Ibidem.

[xix] S. L. Jaky, Il miraggio del conflitto tra scienza e religione, IF Press – Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, 2014, p. 24

[xx] C. Tagliapietra, Albert Einstein e il relativismo: radici storiche di un fraintendimento, 2016, disf.org/einstein-relativismo

[xxi] S. L. Jaky, Il miraggio del conflitto tra scienza e religione, cit., p. 29.

[xxii] Ibidem.

[xxiii] Ivi, p. 43.

[xxiv] Quest’ultimo capitolo è inteso come una semplice raccolta di spunti e di citazioni: una carrellata, senza troppe pretese, tra voci autorevoli per proporre qualche riflessione sul ruolo e sulle prospettive della scienza.

[xxv] Scrive a questo proposito Marcel de Corte: «[…] La nuova concezione fisica non ha cessato, fino alla fisica contemporanea, di avanzare su questa strada dove le matematiche sono tenute ed adoperate come strumento destinato a scrutare le proprietà misurabili della materia. Il movente che lo guida è teorico solo in apparenza. Questo sapere non raggiunge in nulla la natura della materia, ma soltanto gli oggetti che in lei, rientrano nella categoria della quantità» (L’intelligenza in pericolo di morte, cit., p. 107-108).

[xxvi] G. Masiero, Il giorno del “feroce attacco” di Einstein alla scuola di Copenaghen, Critica Scientifica, 15 maggio 2017, https://www.enzopennetta.it/2017/05/il-giorno-del-feroce-attacco-di-einstein-alla-scuola-di-copenaghen/.

[xxvii] M. de Corte, L’intelligenza in pericolo di morte, cit., p. 108.

[xxviii] https://www.radiospada.org/2016/05/che-cose-la-realta/

[xxix] M. de Corte, L’intelligenza in pericolo di morte, cit., p. 109. Commenta poco oltre (p.110) il filosofo: «Nessuna fisica, nel senso moderno della parola, nessuna scienza positiva, per quanto miri alla statuto di regina presente delle scienze, può essere classificata nella divisione del sapere fra le conoscenze speculative […], né fra le scienze pratiche […]. La fisica e le sue emule sono scienze poetiche che risultano dall’attività intelligente e volontaria che si apre sul mondo a noi circostante, in maniera da modificarlo, trasformarlo e metamorfosarlo».

[xxx] S. L. Jaky, Il miraggio del conflitto tra scienza e religione, cit., p. 17.

[xxxi] «Uno dei più grandi logici matematici del XX secolo – proprio lui che aveva dimostrato nel 1931, con il suo teorema più famoso, che la matematica non è “completa” come invece sperava Hilbert» (Senza assoluto la scienza dove va?, Avvenire, 16 gennaio 2008, https://www.avvenire.it/agora/pagine/senza-assoluto-la-scienza-dove-va_200901161127330530000); «In altre parole ogni  sistema   assiomatico sufficientemente  espressivo è o inconsistente o incompleto» (F. Fabris,  E.  Omodeo, Le radici forti dell`informatica, Dipartimento di Matematica e Informatica Università degli Studi di Trieste, in: Nuova Secondaria, n.  5, 2008, https://studylibit.com/doc/7545919/le-radici-forti-dell-informatica—dipartimento-di-matema…)

[xxxii] Intervento di S. L. Jaki alla conferenza Che cos’è la realtà?, 22 agosto 1988, ore 17, Meeting di Rimini.

[xxxiii] S. L. Jaky, Bibbia e scienza, cit., p. 150.

[xxxiv] Ivi, p. 224-225.

[xxxv] Ivi, p. 226.

[xxxvi] Isaia 44, 24-25.