Nota di Radio Spada: sulle materie libere è naturale discutere, Nulla infatti è più libero della discussione politica e geopolitica in Radio Spada, specie in tempi come questi in cui la Regalità sociale di Cristo sembra essersi completamente eclissata nell’orizzonte della storia umana. Il nostro redattore Lorenzo Roselli interviene sul dibattuto cambio di regime in Bolivia. Ovviamente siamo aperti anche ad altri contributi di diversa coloritura. (Piergiorgio Seveso, Presidente SQE di Radio Spada)

di Lorenzo Roselli

A seguito della deposizione del legittimo presidente Juan Evo Morales Ayma per opera delle forze armate e con il consenso delle principali forze dell’opposizione, la Bolivia è in preda a forti tensioni per occupare i posti di potere precedentemente detenuti dal Movimiento al Socialismo (il partito di Morales).
Per il momento, sembra essersi aggiudicata l’agognato premio Jeanine Áñez Chávez, senatrice del partito liberale Movimiento Demócrata Social.
Costei si è auto-dichiarata da prima Presidente del Senato e, successivamente, presidente ad interim della Repubblica Boliviana con l’immediato appoggio di molte democrazie occidentali a cui si è recentemente aggiunta (non senza una certa reticenza) la Russia di Vladimir Putin.
Sposata con il politico colombiano Héctor Hernando Hincaplé Carvajal, la Áñez Chávez (la cui carriera politica è dieci anni fa nel partito democristiano Plan Progreso para Bolivia – Convergencia Nacional, per poi unirsi nel 2013 al Movimiento Demócrata Social rappresentando sempre una figura di secondo piano rispetto al carismatico leader del MDS Rubén Costas Aguilera, governatore della Regione di Santa Cruz) è stata identificata da molti media come ultracattolica.Tuttavia, nella maggior parte delle sue dichiarazioni (riprese dai media locali o attraverso Twitter), si identifica semplicemente come cristiana professa.
Una scelta che potrebbe essere guidata dalla volontà di rappresentare la crescente comunità evangelica del paese latino americano (ad oggi sfiorante il 18% della popolazione) che, nelle dure contestazioni a Morales così come nel plauso del golpe, si è particolarmente contraddistinta per enfasi.
Del resto, uno dei portavoce della rivolta contro il governo socialista di Morales è Luis Camacho, presidente del Comité pro Santa Cruz o Comitato civico per la città di Santa Cruz (il cui dipartimento regionale, come detto poc’anzi, è governato dal capo del partito di Áñez Chávez) è apertamente evangelico e insieme agli appartenenti alla sua chiesa il 10 novembre scorso ha fatto irruzione nello storico palazzo presidenziale boliviano, il Palacio Quemado, impugnando una Bibbia protestante e ripetendo più volte ai media presenti che <<Dio è tornato in questo palazzo!>> frase ripetuta nella stessa modalità da Áñez Chávez nel suo estemporaneo discorso d’insediamento  (https://www.radiospada.org/2019/11/video-dopo-caduta-morales-nuova-presidente-boliviana-contraria-a-riti-indigeni-porta-bibbia-nel-palazzo/ )
Che la Bibbia tenuta in mano dalla novella presidente fosse cattolica, non è dato saperlo; quello che invece sappiamo è che accanto a questi discorsi grondanti fede nell’Altissimo, nell’opposizione golpista siedono molte realtà tutt’altro che salde in una concezione cristiana dell’etica sociale.
Nonostante un tentativo di cambiare la posizione del partito sul tema da parte di un esponente del MAS durante un congresso dello stesso (nel 2005)  e una proposta di legge di provenienza parlamentare inizialmente accettata dal Ministro per la Salute Ariana Campero e poi rifiutata da Morales (nel 2017)  per legalizzarlo, l’aborto in Bolivia rimane reato (eccezion fatta per i casi in cui la vita della madre è a rischio) punito fino a tre anni di carcere per il soggetto richiedente e oltre sei per chi lo pratica.
La normativa è tra le più severe dell’America Latina e questo fa si che le pressioni straniere per modificare la legislazione boliviana sulla vita nascente siano continue.
Evo Morales si è più volte espresso sull’aborto definendolo senza mezzi termini un delitto offrendo però un ulteriore (e ghiotto) tema di attacco per l’ala più liberal della sua opposizione.
Felix Patzi, governatore della Regione di La Paz (una delle aree più popolate del paese) a capo del partito d’opposizione socialdemocratico Movimiento Tercer Sistema insieme al portavoce del Frente para la Victoria, partito azienda dell’economista liberal-conservatore Israel Rodrìguez, hanno affermato in passato di voler proporre una consulta nazionale per stabilire un referendum popolare sulla decriminalizzazione dell’aborto.
Dichiarazioni che del resto vanno nella stessa direzione delle diverse onlus statunitensi ed internazionali presenti sul territorio nazionale, da sempre strenue critiche del governo di Evo Morales.
Nel 2015 Amnesty International ha emanato un rapporto al CEDAW (Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna, organo dell’ONU costituito dopo l’approvazione degli stati membri dell’omonimo trattato) a dir poco sprezzante nei confronti della Bolivia di Morales, la quale viene dichiarata “un paese in cui mancano i più basilari diritti sessuali e riproduttivi[…] ed in cui non è consentito l’accesso ad un aborto legale e sicuro nel caso di stupro in una nazione in cui la maggior parte delle adolescenti viene iniziata alla sessualità [sic] in maniera non consensuale”.
In aggiunta a queste considerazioni diffamatore rispetto alle condizioni sociali del paese (i cui tassi di criminalità sono sensibilmente inferiori agli altri stati della regione), il rapporto di Amnesty si conclude affermando che “la legalizzazione dell’aborto in tutti i casi in cui sopraggiunge la gravidanza deve essere una priorità in Bolivia”.
Il CEDAW ha così prontamente sanzionato la Bolivia (che ha ratificato il trattato già nel 1980) sulla base delle stesse argomentazioni di Amnesty International, ribadendo il carattere prioritario di una legge sull’aborto da parte della classe politica boliviana.

L’Arcivescovo di Sucre (capitale della Bolivia), Sua Eccellenza Jesús Juárez Párraga, ha poco dopo denunciato questa sanzione come grave offesa alla sovranità della Bolivia, nazione che ha il dovere di continuare a contrastare l’aborto essendo “la vita dell’essere umano sacra in ogni situazione ed in ogni stadio del suo sviluppo”.
Appena un anno prima, l’organizzazione statunitense Catholics for Choice (condannata dalla Conferenza Episcopale Statunitense) e legata a doppio filo alla lobby abortista Religious Coalition for Abortion Rights aveva organizzato un’imponente campagna pubblicitaria a favore della decriminalizzazione dell’aborto attraverso un sito internet e cartelloni diffusi per le principali città boliviane, con lo scopo di modificare la costituzione (che prevede la difesa della vita sin dal concepimento) e “costruire un autentico stato laico”.
Particolarmente attiva in Bolivia è anche la RSFU (Associazione Svedese per l’Educazione Sessuale) onlus con sede in Svezia che da oltre 80 anni si impegna a promuovere la pratica dell’omicidio di feti ed embrioni in tutti i paesi dove questa non è prevista dall’ordinamento vigente.
Affiliata con la nordamericana Planned Parenthood, la RSFU si occupa anche della distribuzione gratuita di strumenti abortivi e “sex toys“.
Oltre a criticare in più occasioni il governo di Morales per la poca apertura sul tema, queste associazioni puntano a modificare la Costituzione del 2009 che, garantendo “il diritto alla vita ad ogni cittadino”, rappresenta una linea guida in senso pro-life della legislazione boliviana.
La situazione di caos in cui versa in questo momento la Boliva e l’intenzione (paventata da tutte le ali dell’opposizione) di modificare la Costituzione redatta da Morales, potrebbero costituire una pericolosa occasione di introdurre una normativa all’anglosassone sull’aborto.

Uno dei manifesti diffusi da Catholics for Choice
e dalla RSFU in Bolivia per promuovere una legge sull’aborto.

L’apparente impianto conservatore di molti dei partiti d’opposizione che si contendono il potere non deve trarre in inganno: istanze abortiste in Sudamerica sono comuni tra le destre liberali come dimostra il Venezuela, la Colombia e la più europea Argentina, dove nel giugno del 2018 il governo di Mauricio Macri aveva dato via libera alla legge sulla legalizzazione all’aborto non opponendosi alla sua approvazione alla Camera (fortunatamente poi respinta in Senato).

Non vogliamo certo dare per scontato che la sostituzione del crocifisso a forma di falce e martello di Evo Morales con le Bibbie protestanti di Luis Camacho, porterà ad un compromesso sull’aborto per ingraziarsi il padre protettore di un tempo (Washington D.C.).

Ci limitiamo ad avanzare ipotesi.
Ma si sa che a pensar male…