“Non ho possibilità di andare alla messa tradizionale quindi per non peccare mortalmente contro il comandamento di santificare le feste e il precetto di udir messa nelle feste comandate vado alla messa nuova perchè comunque è una messa valida”. Questa è una situazione purtroppo frequentissima. Ma veramente si pecca a disertare quella messa nuova? Vediamo di dare una risposta.

Giovanni Paolo II celebra la “messa neocatecumenale” quella dove i fedeli si comunicano seduti …

da sì sì no no, Anno XXVIII, n. 11, 15 Giugno 2002

Cominciamo col chiarire alcune idee sull’obbligo della S. Messa, perché oggi è necessario più che mai avere idee chiarissime per non essere travolti dalla tempesta neomodernista che squassa la Chiesa.
“Il precetto di ascoltare la S. Messa – leggiamo nel Dizionario di Teologia morale del card. Roberti – […] richiede che […] la Messa si deve ascoltare nel rito cattolico, sia latino sia orientale […] Cause scusanti sono: l’impossibilità fisica o morale. Scusano quindi dall’osservanza del precetto […] il pericolo di subire un grave danno materiale e morale” (ed. Studium, voce santificazione delle feste). Parimenti E. Jone ofm cap.: “Dall’obbligo di ascoltare la Messa scusa ogni motivo mediocremente grave, quale esiste in caso […] di danno corporale o spirituale che dovesse derivare a noi o ad altri” (Compendio di Teologia morale, ed. Marietti, 1955, n. 200).
Può il nuovo rito della S. Messa dirsi ancora “cattolico”? Può esso dirsi tale che non ne possa derivare nessun “danno spirituale” a noi o ad altri? Sono queste le questioni oggettive che pone il Novus Ordo Missae e alle quali abbiamo già più volte ampiamente risposto, ma alle quali risponderemo qui brevemente ancora una volta.
Intanto notiamo:
1) che l’obbligo della S. Messa non è così assoluto da non ammettere cause scusanti;
2) che non si tratta di “problemi personali” del singolo fedele né dell’«indegnità» personale del celebrante, ma del rito qual esso è in sé, oggettivamente;
3) che non è affatto vero che “quando la Messa è valida (anche se, metti caso, illecita /me conscio o no) io devo assistere alla S. Messa”. La Chiesa, infatti, ha sempre vietato di assistere alle Messe valide, ma illecite, degli ortodossi scismatici (v. can. 1258 del Codice piano-benedettino). E il Sant’Uffizio con decreto del 7 agosto 1704 puntualizzò che “un cattolico non può assistere alla Messa [valida, ma illecita] di un sacerdote eretico o scismatico, anche se, urgendo il precetto festivo, dovesse altrimenti rimanere senza Messa” (v. Enciclopedia cattolica, voce comunicazione nelle cose sacre, col. 118).Dunque è vero esattamente il contrario: se io sono “conscio” che la Messa è valida, ma illecita, non devo assistere alla S. Messa.
Il motivo di questo divieto della Chiesa è che in tal caso il precetto festivo della S. Messa cessa di obbligare perché contrario ad una “virtù maggiormente obbligante” (Suarez, De Legibus, VI, VIII,1), che, nel caso, è la virtù della fede, la quale “tra gli obblighi gravi, … è, dal punto di vista oggettivo il più grave” (Enciclopedia cattolica, voce fede).

L’obbligo fondamentale della fede

È questa una verità che i fedeli oggi devono tenere massimamente presente. E, affinché sia chiaro che non esponiamo opinioni personali, ma la dottrina della Chiesa, citeremo ampiamente dall’Enciclopedia cattolica, voce fede. Che cosa si intende per obbligo grave? «Nel linguaggio della teologia si chiamano gravi quegli obblighi che costituiscono l’essenza dell’ordine morale, osservando o violando i quali l’uomo tende o rinuncia sostanzialmente al suo fine ultimo rendendosi reo di colpa mortale […]. Tra gli obblighi gravi, quello della fede è, dal punto di vista oggettivo, il più grave». Ciò vuol dire che perdere la fede è perdere il nostro Fine ultimo, mettere in pericolo la nostra fede è mettere in pericolo la nostra vita eterna e che ogni attentato contro la nostra fede è un attentato contro la vita della nostra anima. Quando San Pio X nella Pascendi scrive che il modernismo “pone la scure alla radice” intende appunto dire che esso è una mortale aggressione alla fede. La fede – insegna il Concilio di Trento (D. 801) – è “l’inizio della salvezza umana, il fondamento e la radice di ogni giustificazione”. Nostro Signore Gesù Cristo ha indicato nella fede l’obbligo fondamentale che gli uomini devono soddisfare per salvarsi: “Chi avrà creduto sarà salvo; chi, invece, non crederà, sarà condannato” (Mc. 16,16); lo Spirito Santo, per bocca di San Paolo afferma che “senza la fede è impossibile piacere a Dio” (Ebr.11,6) e per bocca di San Pietro e degli Apostoli conferma il primato dell’obbligo della fede su ogni altro obbligo (v. Atti 10,43 e 15,7). Dunque “il primo e più importante dovere del cattolicesimo è credere. La fede è la prima cosa che Dio domanda dall’uomo (Ebr. 11,6), è il primo passo dell’uomo verso Dio, e Dio non permette regresso. La fede è la radice della giustificazione, il principio e la fonte di tutta la vita spirituale, il fondamento indispensabile di ogni virtù, persino della speranza e della carità (Ebr. 11,1); dalla fede sgorga tutta la vita soprannaturale (Gal. 3,11). Dobbiamo dunque stimare la fede sopra ogni altra cosa” (P. M. Meschler S.J. ne La Civiltà Cattolica 1906, vol 2° p. 391).

Il “peccato che include tutti i peccati”

È un fatto che il solo affievolimento della fede comporta necessariamente l’indebolimento anche morale dell’uomo, privato così del motivo più valido per resistere al male ed operare il bene, e che la scomparsa della fede segna
la rovina spirituale (e forse eterna) dell’individuo nonché lo sfacelo morale dei popoli. Perciò Sant’Agostino, commentando Gv. 15,22, dice che l’assenza di fede“è un peccato che include tutti i peccati” e San Tommaso scrive che “la fede è la prima delle virtù” (S. Th. II II q. 4 a. 7) mentre “l’incredulità è il più grave di tutti i peccati nell’ordine delle virtù morali” (S. Th. II II q. 10 a.3). Ciò vuol dire che i peccati contro la fede sono “colpe più gravi del sacrilegio, dell’omicidio, dell’adulterio, del furto ecc.” e che “ogni zelo per la riforma cristiana dei costumi è cieco, vano, rovinoso, se non mira costantemente a salvaguardare o ricostruire la fede, che ha per sua natura la precedenza su tutte le virtù” (Enciclopedia Cattolica, voce fede).

Il dovere primario di custodirsi la fede

Dall’obbligo fondamentale della fede nasce, dunque, il dovere primario di ogni cristiano di salvaguardare la propria fede dai pericoli che potrebbero ucciderla o anche soltanto affievolirla nel proprio animo o nell’animo di coloro che gli sono affidati (figli, congiunti, fedeli ecc.). Perciò tra i peccati contro la fede – è necessario oggi tenerlo bene a mente – ci sono anche i “peccati contro l’obbligo di coltivare la fede e di preservarla dai pericoli” (Enciclopedia Cattolica, voce fede). Infatti “la perdita della fede è molto spesso il risultato più o meno diretto di passi imprudenti e temerari. Perciò il diritto [divino] naturale vieta al credente di mettere in pericolo la sua fede. Ora il pericolo massimo e più immediato per la fede è il contatto con l’errore opposto” (ivi). Di qui il divieto di partecipare ad un rito acattolico anche quando la Messa è valida; divieto stabilito dalla Chiesa “in stretta aderenza al diritto naturale e allo spirito delle norme apostoliche” (ivi), senza mai autorizzare nessuno – aggiungiamo noi – a presumere in sé o negli altri una capacità, che potrebbe non esserci e non c’è sicuramente nei più, di “saper essere forte nel discernimento delle verità della fede”. Dunque, per rimanere al paragone o analogia del nostro lettore, secondo la “mente” della Chiesa, se il pasto che mi viene servito è avvelenato in sé e/o negli inevitabili contorni, io ho il dovere di nutrirmi, sì, ma non con quel pasto.

Un pasto avvelenato

È molto triste, ma questi princìpi noi siamo obbligati oggi ad applicarli al nuovo rito della Messa. Che il nuovo rito della Messa è, per lo più, un pasto avvelenato nei suoi contorni non dovrebbe essere necessario dimostrarlo: comunione nella mano, omelie aberranti, canti e musiche più profane che sacre, “ministri straordinari dell’Eucarestia”, (ovvero laici, uomini e donne, che, contrariamente alla tradizione costante della Chiesa, distribuiscono la comunione, magari mentre il sacerdote se ne sta seduto), dissacranti “animazioni liturgiche”, iniziative ecumeniche e persino “scambi di pulpito” con eretici e scismatici ecc. costituiscono oggettivamente un pericolo per la fede. A lungo andare anche il cattolico più provveduto si trova “protestantizzato” senza avvedersene, perché, come dice Sant’Agostino, vedendo tutto ci si abitua a tutto e si finisce col giustificare tutto. Che poi il nuovo rito della Messa sia anche un pasto avvelenato in sé non siamo noi a dirlo. Lo confessò su L’Osservatore Romano del 19 marzo 1965 mons. Bugnini allorché, illustrando lo spirito della “riforma liturgica” allora in allestimento, scrisse: “La preghiera della Chiesa non dev’essere un motivo di disagio per nessuno”; di qui il proposito dichiarato di “scartare ogni pietra che potrebbe costituire anche l’ombra di un rischio d’ inciampo e [oh, delicatezza!] di dispiacere per i nostri fratelli separati”. E, a tal fine, furono chiamati a cooperare all’elaborazione del nuovo rito cattolico sei eretici e scismatici, che la copertina de La Documentation Catholique del 3 maggio 1970 presenterà in posa con Paolo VI a conclusione dei lavori del Consilium per la riforma liturgica. Il padre Antonelli ofm (poi cardinale), che aveva lavorato alla riforma liturgica della settimana santa sotto Pio XII, atterrito dalla piega “aberrante” che andavano prendendo sotto i suoi occhi i lavori di detto Consilium, annotava nel suo diario: “Ho l’impressione che si sia concesso molto, soprattutto in materia di sacramenti, alla mentalità protestante” (v. Nicola Giampietro ofm cap., Il card. Ferdinando Antonelli e gli sviluppi della riforma liturgica dal 1948 al 1970, ed. Studia Anselmiana, Roma, p. 264 e sì sì no no 30 nov. 1999, pp. 3ss. Un prezioso contributo alla storia della “riforma liturgica” di Paolo VI).

Una “tragica necessità d’opzione”

Di fatto dal nuovo rito della Messa sono state rimosse, con falsa carità per i protestanti e con palese mancanza di giustizia per i cattolici, anzitutto le “pietre d’inciampo” più grosse e cioè tutto ciò che potesse suonare chiara professione di fede nei dogmi cattolici rigettati dall’eresia luterana: transustanziazione, Presenza Reale, carattere sacrificale e propiziatorio della S. Messa, distinzione tra sacerdote e fedeli, e poi quanto altro potesse anche solo “dispiacere” ai protestanti. Risultato? Lo denunziò tempestivamente, anche se inutilmente, a Paolo VI nella Pentecoste del 1969, insieme con il card. Bacci, il card. Ottaviani, che solo pochi mesi prima aveva dato le dimissioni da Prefetto del Sant’Uffizio: «Beatissimo Padre, esaminato e fatto esaminare il Novus Ordo Missae preparato dagli esperti del Consilium ad exequendam Constitutionem de Sacra Liturgia, dopo lunga riflessione e preghiera sentiamo il dovere, dinanzi a Dio ed alla Santità Vostra, di esprimere le considerazioni seguenti: 1. Come dimostra sufficientemente il pur breve esame critico allegato – opera di uno scelto gruppo di vescovi, teologi, liturgisti e pastori d’anime – il Novus Ordo Missae […] rappresenta, sia nel suo insieme come nei particolari un impressionante allontanamento dalla teologia cattolica della Santa Messa quale fu formulata nella Sessione XXII del Concilio Tridentino, il quale, fissando definitivamente i “canoni”del rito eresse una barriera invalicabile contro qualunque eresia che intaccasse l’integrità del Mistero». E a conclusione del “breve esame critico”: «È evidente che il Novus Ordo Missae non vuole più rappresentare la “fede tridentina”. A questa fede, nondimeno, la coscienza cattolica è vincolata in eterno. Il vero cattolico, qualunque sia la sua condizione e funzione, è dunque posto, dalla promulgazione del “Novus Ordo” in una tragica necessità di opzione» (e quanto “tragica” sia questa “necessità di opzione” stanno a dimostrarlo anche le lettere dei nostri due lettori).
Per quanto tragica, però, l’opzione s’impone
a) per il fatto che il nuovo rito, non essendo più cattolico, ma “protestantizzato” (al segno che alcune comunità luterane lo hanno stimato utilizzabile per le loro “cene”), costituisce un reale pericolo per la fede;
b) perché “gli errori contro la fede non solo s’insinuano, ma s’impongono attraverso abusi ed aberrazioni liturgiche” (Breve esame critico cit.).
Infine, le iniziative ecumeniche, sempre più spinte e capillarmente oggi attuate, non hanno fatto che avvalorare ciò che scrivemmo fin dal lontano numero 12 dell’anno VII di sì sì no no:
«1) Il precetto festivo obbliga a partecipare alla S. Messa quale atto supremo del culto pubblico della Chiesa; non obbliga a partecipare alla sua profanazione.
2) Il precetto della Chiesa obbliga ad ascoltare la S. Messa nel ritto cattolico e “da un sacerdote cattolico”; non obbliga a partecipare ad una “cena” protestante magari “presieduta” da qualche ripetitore degli eretici teologi d’oltralpe, negatori della Divinità di Cristo, della Presenza Reale e di tutte le Verità cattoliche sul Sacrificio della Messa.
3) I precetti della Chiesa mirano principalmente al bene dei singoli fedeli: quindi obbligano sempre a vantaggio, mai a detrimento delle anime. Se non obbligano con grave incomodo, ancor meno obbligano con danno spirituale».

Il piano “soggettivo”

Abbiamo finora esposto i princìpi oggettivi che regolano l’obbligo della S.Messa nei giorni festivi e li abbiamo applicati, sempre oggettivamente, al nuovo rito della Messa. Ci resta ora da toccare il piano soggettivo, personale, che il nostro primo lettore, il quale pur ci rimprovera di aver trascurato la distinzione oggettivo- soggettivo, annulla nel piano oggettivo allorché scrive: “me conscio/o no”. Il piano soggettivo è il piano della responsabilità personale, la quale è legata proprio alla coscienza; perciò, applicando al nostro caso la dottrina cattolica sulla coscienza, il problema va posto e risolto così:
1) chi ha coscienza certa ed informata che il nuovo rito della Messa non è più cattolico, ma protestantizzato e che per ciò stesso costituisce un pericolo di affievolimento o di perdita della fede, ha il dovere di frequentare, anche se con sacrificio, i centri di Messa tradizionale e, nell’impossibilità, ha in ogni caso il dovere di santificare la festa in quei modi che abbiamo indicato al lettore che ci interrogava sull’ argomento;
2) chi ha dubbi o perplessità sulla bontà del nuovo rito della Messa ha il dovere di informarsi, perché non è mai lecito agire in stato di coscienza dubbia;
3) chi ha una coscienza vincibilmente erronea sull’argomento ha il dovere di correggerla e quindi chi può istruirlo ed illuminarlo ha il dovere di farlo;
4) di chi ha una coscienza invincibilmente erronea non parliamo perché è incorreggibile e quindi bisogna lasciarne la cura alla divina Provvidenza.
Dopo di che dovrebbe essere chiaro perché noi non potremo mai consigliare di frequentare il nuovo rito della Messa a chi ha il minimo dubbio sulla sua bontà: l’obbligo della S. Messa festiva è importante e, in condizioni normali, anche basilare, ma l’ obbligo della fede lo precede e questo dev’essere tenuto ben fermo nelle attuali condizioni anormali. Tutto sta ad agire non in spirito di ribellione, ma in spirito di fedeltà a Nostro Signore Gesù Cristo e alla Sua Chiesa, che oggi più che mai sarebbe un errore fatale identificare con infedeli uomini di Chiesa.