
Eloquenza e scienza non raggiungeranno mai l’altezza e la potenza di supplica che regnano nell’Ufficio dei Morti. Solo la Chiesa conosce i segreti dell’altra vita e la via del cuore di Cristo, solo la Madre può avere il tatto supremo che le permette di consolare gli orfani, gli abbandonati, quelli che sono rimasti sulla terra in lacrime, alleggerendo la purificazione dolorosa ai figli che l’hanno lasciata.
Primo Salmo.
Dilexi: il primo canto del purgatorio è un canto di amore. Le angosce di quaggiù sono finite, sono lontani i pericoli dell’inferno e, confermata in grazia, l’anima non pecca più ed ha in sé soltanto riconoscenza per la misericordia che l’ha salvata, per la giustizia che la purifica e la rende degna di Dio. Il suo stato di quiete assoluta e di attesa fiduciosa è tale che la Chiesa lo chiama “un sonno di pace” (Canone della Messa). Piacere a Dio, un giorno, senza riserve! Separata dal corpo che l’appesantiva, la distraeva con mille futili preoccupazioni (Sap. 9, 15) l’anima si immerge in questa unica aspirazione e converge tutte le sue energie, tutti i tormenti, dei quali ringrazia il cielo, perché aiuta la sua debolezza a soddisfare tale aspirazione. O crogiolo benedetto nel quale si consumano i resti del peccato, in cui si paga ogni debito! Dalle sue fiamme soccorritrici, sparita ogni traccia dell’antica sozzura, l’anima piglierà il volo verso lo Sposo veramente felice, sicura che le compiacenze del Diletto non avranno per essa limitazioni.
Secondo Salmo.
Come però si prolunga il suo esilio doloroso! Se è in comunione con gli abitanti del cielo per mezzo della carità, il fuoco che la castiga non è materialmente diverso da quello dell’inferno. Il suo soggiorno confina con quello dei maledetti, deve sopportare la vicinanza del Cedar infernale, dei nemici di ogni pace, dei demoni, che perseguitarono la sua vita mortale con assalti, con insidie, che al tribunale di Dio ancora l’accusavano con bocche ingannatrici. La Chiesa si appresta a supplicare: Strappatela alle porte dell’inferno.
Terzo Salmo.
Tuttavia l’anima non vien meno e, levando i suoi occhi verso le montagne, sa che può contare sul Signore, che non è abbandonata dal cielo che l’attende, né dalla Chiesa della quale è figlia. Per quanto sia vicino alla regione del pianto eterno, il purgatorio, in cui giustizia e pace si abbracciano (Sal. 84, 11), non è inaccessibile agli Angeli. Questi augusti messaggeri portano il conforto di divine comunicazioni alle quali si aggiunge l’eco delle preghiere dei beati e dei suffragi della terra. L’anima è ormai sovrabbondantemente assicurata che il solo male, il peccato, non la può più toccare.
Quarto Salmo.
L’uso del popolo cristiano dedica alla preghiera per i morti il Salmo 129 in modo particolare: è un grido di angoscia e, nello stesso tempo, di speranza. La privazione cui sono sottoposte le anime nel purgatorio deve toccare profondamente il nostro cuore. Non hanno ancora raggiunto il cielo, ma ormai hanno cessato di appartenere alla terra e hanno con ciò perduto i favori con i quali Dio compensa i pericoli del viaggio in questo mondo di prove e, per quanto siano perfetti i loro atti di amore, di fede e di speranza, esse non meritano più. Delle sofferenze, che accettate come sono, varrebbero a noi la ricompensa di mille martiri, nulla rimane a queste anime, nulla fuorché il fatto del regolamento di un conto, che la sentenza del giudice ha appurato. Come non possono meritare, non possono neppure soddisfare come noi alla giustizia per mezzo di equivalenze da Dio accettate. La loro impotenza a giovare a se stesse è più radicale di quella del paralitico di Betsaida (Gv. 5) perché la piscina della salvezza la possiede la terra con l’augusto Sacrificio, i Sacramenti e l’uso delle chiavi onnipotenti affidate alla Chiesa. Ora la Chiesa, che non ha più giurisdizione su di esse, conserva però la sua tenerezza di Madre e la sua potenza presso lo Sposo non è diminuita e quindi fa sue le loro preghiere, apre tesori, che la sovrabbondante redenzione del Signore le ha procurati, paga con il suo fondo dotale Colui che le ha costituito il fondo stesso, perché liberi le anime o allevii le loro pene e in questo modo, senza ledere alcun diritto, la misericordia si apre il passo e raggiunge l’abisso in cui regnava soltanto la giustizia.
Quinto Salmo.
Ti loderò, perché mi hai esaudito. La Chiesa non prega mai invano e l’ultimo salmo dice la sua riconoscenza e la riconoscenza delle anime che l’Ufficio che sta per terminare ha liberate dall’abisso o per lo meno avvicinate al cielo. Grazie a quell’Ufficio e cioè alla Chiesa, più d’una delle anime ancora prigioniere è entrata nella luce. Seguiamo col pensiero e con il cuore i nuovi eletti, che sorridendo e ringraziando noi, loro fratelli o figli, si elevano radiosi dalla regione delle ombre e cantano: Ti glorificherò, o Signore, davanti agli Angeli, ti adorerò, finalmente, nel tuo santo tempio! No, il Signore non disprezza le opere delle sue mani.
Il Magnificat.
Ma, siccome ogni grazia di Gesù in questo mondo ci viene per mezzo di Maria, oltre la vita mortale ancora per Maria si compie ogni liberazione e si ottiene ogni beneficio. Dove si estende la redenzione del Figlio si esercita l’impero della Madre. Le visioni dei santi ce la mostrano veramente Regina nel purgatorio, sia che vi si faccia benignamente rappresentare dagli Angeli della sua corte o si degni penetrare lei stessa sotto le oscure volte (Eccli 24,8) come l’aurora del giorno che non ha fine, per spargervi abbondante la rugiada del mattino. Mancherà forse la neve del Libano, dice lo Spirito Santo, alla pietra del deserto? e chi impedirà alle fresche acque di scendere alla vallata? (Ger 18,14). Comprendiamo ora il perché del canto del Magnificat all’Ufficio dei defunti: è l’omaggio delle anime, che arrivano in cielo, è la dolce speranza di quelle che restano ancora nel luogo di espiazione.
Conclusione.
Ogni anima si raccoglie così nel culto delle persone più care e dei più nobili ricordi. È la festa dei nostri cari morti e prestiamo allora l’orecchio alle loro voci, che di campanile in campanile in tutto il mondo cristiano si fa supplichevole e dolce in queste prime notti di novembre. Per tutto l’ottavario facciamo la visita delle tombe in cui riposano in pace i loro resti mortali. Preghiamo per loro e preghiamoli: non abbiamo paura di parlare con essi degli interessi che davanti a Dio loro furono cari, perché Dio li ama e, per una specie di soddisfazione alla sua bontà, le ascolta meglio, se implorano per altri, mentre la sua giustizia li mantiene in una condizione di assoluta impotenza per se stessi.
(da: P. GUÉRANGER, L’anno liturgico. – II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. ROBERTI, P. GRAZIANI e P. SUFFIA, Alba, Edizioni Paoline, 1959, pp. 1234-1245)
