Continuiamo la pubblicazione a puntate dell’opera “Il dogma del Purgatorio” del Padre F. S. Schouppe della Compagnia di Gesù nella traduzione italiana del sacerdote Antonio Buzzetti, stampato a Torino nel 1932 con le debite approvazioni ecclesiastiche. Come nostro solito protestiamo che, in conformità ai decreti di Urbano VIII, salvo i dommi e le dottrine e tutto ciò che la Santa Apostolica Sede ha definito, in tutt’altro non intendiamo prestare né richiedere altra fede che l’umana.

Capitolo XII
Pene del Purgatorio: loro durata.
Pene del Purgatorio: loro durata. – Sentimento dei Dottori in proposito: il ven. Bellarmino. – S. Ludgarda e un religioso cistercense. – Apparizione del papa Innocenzo III. – S. Vincenzo Ferreri.

La fede non ci fa conoscere la precisa durata delle pene del Purgatorio: in generale sappiamo che è misurata dalla divina giustizia e ad ognuno proporzionata secondo la gravità ed il numero dei suoi falli non ancora espiati. Dio tuttavia, senza pregiudicare alla sua giustizia, può abbreviare queste pene aumentandone l’intensità: anche la Chiesa militante può ottenere la remissione, totale o parziale, col santo sacrifizio della Messa e con altri suffragi offerti pei defunti.
Secondo il comune sentimento dei Dottori, le pene espiatrici sono di lunga durata. «È fuor di dubbio, dice Bellarmino, che le pene del Purgatorio non sono limitate né a dieci né a venti anni, e che talvolta durano secoli interi. Ma, dato anche che la loro durata non oltrepassi i dieci o vent’anni, si calcola per niente sostenere per dieci o vent’anni pene dolorosissime, pene inconcepibili, senza alcun sollievo? Se uno fosse assicurato che per vent’anni dovesse soffrire nei piedi od alla testa o ai denti un qualsiasi violento dolore, non bramerebbe forse di morire cento volte anziché vivere in quel modo? E se a lui fosse data la scelta o d’una vita tanto miserabile o della perdita di tutti i suoi beni, starebbe in forse a sacrificare la sua fortuna per liberarsi da quel tormento? Ecchè? per liberarci dalle fiamme del Purgatorio, avremo difficoltà d’abbracciare i rigori della penitenza? Non crederemo di praticare gli esercizi più penosi, le vigilie, i digiuni, le limosine, le lunghe preghiere, e sopra tutto la contrizione accompagnata da gemiti e da lacrime?»
Nella Vita di santa Ludgarda, scritta dal suo contemporaneo Tomaso di Cantimprè, si parla di un religioso, fervente assai, ma che per un eccesso di zelo fu condannato a quaranta giorni di Purgatorio. Era un abate dell’Ordine dei Cistercensi, per nome Simone, tenuto in grande venerazione da Ludgarda; la santa da parte sua volentieri seguiva i suoi avvisi, e le frequenti relazioni avevano formato fra essi una specie d’intimità spirituale.
Ma l’abate non era coi suoi soggetti tanto dolce come verso la santa. Severo per se stesso, lo era pure nella sua amministrazione, e spingeva l’esigenza della disciplina fino alla durezza, dimenticando la lezione del Maestro che insegna ad, essere dolci ed umili di cuore. Venuto a morte, siccome S. Ludgarda ardentemente pregava per lui e s’imponeva penitenze pel sollievo dell’anima sua, egli le apparve e confessò d’essere condannato a quaranta giorni di Purgatorio. Fortunatamente aveva in Ludgarda un’anima generosa e potente. Ella fu prodiga delle sue preghiere e delle sue austerità; indi, avendo ricevuto da Dio l’assicurazione che il defunto sarebbe in breve liberato, la santa caritatevole rispose: Signore, non cesserò di piangere, non cesserò d’importunare la vostra misericordia, finchè non lo vegga liberato dalle sue pene. Infatti lo vide ben presto apparirle pieno di riconoscenza, risplendente di gloria e nel colmo della felicità.
Giacché citai S. Ludgarda, parlerò della celebre apparizione di papa Innocenzo III. Confesso che questo fatto da principio non mi parve da narrarsi ed avrei voluto non parlarne. Mi ripugnava il pensare che un papa, ed un tal papa, era stato condannato ad un lungo e terribile purgatorio. Si sa infatti che Innocenzo III, che presiedette il celebre Concilio di Laterano nel 1215, fu uno dei più grandi pontefici che occuparono la Sede di S. Pietro: la sua pietà ed il suo zelo gli fecero compiere le più grandi cose per la Chiesa di Dio ce per la santa disciplina. Ora, come ammettere che un tal uomo fosse stato al supremo tribunale giudicato con tale severità? Come conciliare questa rivelazione di S. Ludgarda colla divina misericordia?
Avrei dunque voluto non vedervi che un’illusione, e cercava ragioni in appoggio a questa idea. Ma, tutto all’opposto, trovai che l’autenticità dell’apparizione è ammessa dai più gravi autori e che nessuno la rigetta. Del resto, lo storico Tomaso di Cantimprè è assai affermativo e nel tempo stesso assai riservato: «Notate, lettore, scrive terminando il suo racconto, che dalla bocca stessa della pia Ludgarda appresi i falli rivelati dal defunto, e che qui non li sopprimo che per rispetto a un sì grande Papa».
D’altra parte, considerando il fallo in se stesso, vi si trova forse una vera ragione che obbliga a metterlo in dubbio? Non si sa forse che Dio non è accettatore di persone? che dinanzi al suo tribunale i papi sono come gli ultimi fedeli? che tutti, grandi e piccoli, dinanzi a lui sono uguali e che ognuno riceve secondo le sue opere? Non si sa forse che quelli che governano gli altri hanno una grande responsabilità e dovranno rendere un conto severo? Judicium durissimum his qui praesunt fiet: un giudizio di tutto rigore è riservato ai superiori (Sap., VI, 6): è lo Spirito Santo che lo dichiara. Ora, Innocenzo III regnò diciott’anni, in tempi assai difficili. E, aggiungono i Bollandisti, non è forse scritto che imperscrutabili sono i giudizi di Dio e spesso ben differenti dai giudizi degli uomini? Judicia tua abyssus multa (Ps. 35).
Dunque non si potrebbe con ragione mettere in dubbio la realtà dell’apparizione. D’altronde non veggo alcuna ragione di sopprimerla, poiché Dio non rivela questa sorta di misteri se non perché si facciano conoscere ad edificazione della sua Chiesa.
Ora, il papa Innocenzo III morì il 16 luglio 1216. Lo stesso giorno apparve a S. Ludgarda nel suo monastero di Aywieres nel Brabante. Sorpresa al vedere un fantasma circondato di fiamme, gli domandò chi era e ciò che voleva. «Sono, le rispose, il papa Innocenzo. – possibile che voi, nostro padre comune, siate in tale stato? ­ Non è che troppo vero: pago la pena di tre falli che ho commesso e che poco mancò non mi cagionassero l’eterna mia rovina. Grazie alla santa Vergine Maria, ne ottenni il perdono, ma mi rimane a scontarne la espiazione. Ohimè! quanto è terribile! e durerà per secoli, a meno che voi non mi soccorriate. In nome di Maria, che mi ottenne il favore di venire a pregarvi, aiutatemi!» Disse e sparve. Ludgarda annunziò la morte del papa alle sue sorelle, e con esse si diede a pregare e a far esercizi di penitenza in favore dell’augusto e venerato defunto, il cui trapasso fu loro annunziato alcune settimane dopo dalla pubblica voce.
S. Vincenzo Ferreri, il celebre taumaturgo dell’Ordine di S. Domenico, che con tanta forza predicò la grande verità del giudizio di Dio, aveva una sorella che in niun modo era commossa, né dalle parole, né dagli esempi del santo suo fratello. Era ripiena dello spirito del mondo, abbacinata dalle sue vanità, inebriata dei suoi piaceri, ed a grandi passi correva all’eterna sua rovina. Intanto per la sua conversione pregava il santo, e finalmente la sua preghiera fu esaudita. L’infelice peccatrice cadde mortalmente inferma; e nel momento di morire, rientrando in se stessa, si confessò con un sincero pentimento.
Alcuni giorni dopo la sua morte, mentre il fratello per lei celebrava il divin sacrifizio, gli apparve in mezzo alle fiamme, in preda a due mali intollerabili. «Ohimè! fratello mio, diss’ella, io sono condannata a questi supplizi fino al giorno dell’ultimo giudizio. Però, voi potete aiutarmi. Sì potente è la virtù del santo sacrifizio! Per me offrirete una trentina di messe: ne spero il più felice effetto». Il santo si diede premura d’assecondare quella domanda, celebrò le trenta messe, ed il trentesimo giorno, la sua sorella gli apparve circondata dagli Angeli e in atto di salire al Cielo. Grazie alla virtù del divino sacrifizio, una espiazione di parecchi secoli si trovò ridotta a trenta giorni.
Questo fatto ci dimostra al tempo stesso la durata delle pene in cui un’anima può incorrere, ed il potente effetto della santa Messa, quando Dio degnasi applicarla ad un’anima. Ma questa applicazione, come quella di altri suffragi, non si effettua sempre, almeno non sempre con la stessa pienezza.


fonte purgatorio.altervista.org