Continuiamo la pubblicazione a puntate dell’opera “Il dogma del Purgatorio” del Padre F. S. Schouppe della Compagnia di Gesù nella traduzione italiana del sacerdote Antonio Buzzetti, stampato a Torino nel 1932 con le debite approvazioni ecclesiastiche. Come nostro solito protestiamo che, in conformità ai decreti di Urbano VIII, salvo i dommi e le dottrine e tutto ciò che la Santa Apostolica Sede ha definito, in tutt’altro non intendiamo prestare né richiedere altra fede che l’umana.

Cappella delle Anime al Purgatorio – Castel Nuovo – Napoli

Capitolo V
Pene del Purgatorio: loro natura e rigore.

Pene del Purgatorio: loro natura e rigore. – Dottrina dei Teologi. – Bellarmino. – S. Francesco di Sales. ­ Timore e speranza.

Nel Purgatorio come nell’inferno v’è una doppia pena: la pena del danno e la pena del senso.
La pena del danno (damnum) consiste nell’essere privato per un tempo della vista di Dio, che è il bene supremo, l’oggetto beatifico, pel quale sono fatte le anime nostre, come per la luce gli occhi. È una sete morale, dalla quale è tormentata l’anima.
La pena del senso, o il dolore sensibile, è somigliante a quello che proviamo nella nostra carne. La fede non ne definì la natura, ma è comune sentimento dei Dottori, che consista nel fuoco ed in altri generi di sofferenze. – Il fuoco del Purgatorio è della natura, dicono i Padri, di quello dell’inferno di cui parla il ricco Epulone: Quia crucior in hac fiamma: soffro, dice egli, crudelmente in questa fiamma.
Quanto al rigore di queste pene, siccome sono inflitte dalla più equa giustizia, sono proporzionate alla natura, alla gravità ed al numero dei falli. Ognuno riceve secondo le sue opere, ognuno deve pagare i debiti che ha con Dio. Ora questi debiti sono inegualissimi. Ve ne sono di quelli che, accumulati durante una lunga vita, ascendono ai diecimila talenti del Vangelo, ossia a milioni ed a miliardi; mentre altri si restringono a qualche obolo, leggero avanzo di ciò che non fu espiato sulla terra. – Ne segue che le anime soffrono pene assai differenti, che nelle espiazioni del Purgatorio vi sono innumerevoli gradi e che le une sono incomparabilmente più rigorose delle altre.
Tuttavia, parlando in generale, i Dottori convengono nel dire che rigorosissime sono queste pene. È lo stesso fuoco, dice S. Gregorio, che tormenta i dannati e purifica gli eletti. Quasi tutti i Teologi, dice Bellarmino, insegnano che i reprobi e le anime del Purgatorio soffrono l’azione dello stesso fuoco.
Bisogna tener per certo, scrive lo stesso Bellarmino, che non vi è proporzione tra i patimenti di questa vita e quelli del Purgatorio. Sant’Agostino nettamente lo dichiara nel suo commentario sopra il salmo 31: «Signore, dice egli, non mi punite nel vostro furore, e non rigettatemi con quelli ai quali direte: Andate al fuoco eterno; ma non punitemi nemmeno nella vostra collera: piuttosto purificatemi talmente in questa vita, da non aver bisogno d’esser purificato dal fuoco nell’altra. Sì, io temo questo fuoco, acceso per quelli che saranno salvati, è vero, ma che non lo saranno che passando prima pel fuoco». Senza dubbio, saranno salvati dopo la prova del fuoco; ma terribile sarà questa prova, questo tormento sarà più insopportabile di tutto quanto di più doloroso si può soffrire in questo mondo. ­ Ecco ciò che dice S. Agostino, e ciò che dopo di lui dicono San Gregorio, il venerabile Beda, S. Anselmo e S. Bernardo. S. Tomaso va ancora, più innanzi, sostenendo che la menoma pena del Purgatorio sorpassa tutte le pene di questa vita, comunque possano essere. Il dolore, diceva il B. Pietro Lefèvre, è più profondo e molto più intenso quando direttamente investe l’anima e lo spirito, che non quando li assale per l’intermezzo del corpo. Il corpo mortale ed i sensi stessi assorbono e stornano una parte delle pene fisiche ed anche morali.
L’autore del libro della Imitazione esprime questa dottrina con una sentenza pratica e viva. Parlando in generale delle pene dell’altra vita: Là, dice egli, un’ora di tormento sarà più terribile che qui cento anni della più rigorosa penitenza.
Per provare questa dottrina, è certo, aggiunge Bellarmino, che tutte le anime soffrono nel Purgatorio la pena del danno. Ora questa pena sorpassa ogni sensibile patimento. Ma per non parlare che della sola pena del senso, noi sappiamo quanto è terribile il fuoco, per debole che sia, che noi accendiamo nelle nostre case, e quanto dolore apporta la più leggera scottatura; ora ben altrimenti terribile è quel fuoco che non si nutre con legna, né con olio, e che nulla è capace di spegnere. Acceso dal soffio di Dio per essere istrumento della sua giustizia si attacca alle anime e le tormenta con un’incomparabile attività.
Quanto dicemmo e quanto ancora abbiamo a dire, inspira quel salutare timore che ci è raccomandato da Gesù Cristo. Ma temendo che certi lettori, dimenticando la confidenza cristiana che deve temperare i nostri timori, si diano in braccio ad un eccessivo spavento, alla dottrina precedente avviciniamo quella di un altro dottore della Chiesa, S. Francesco di Sales, il quale presenta le pene del Purgatorio temperate dalle consolazioni che le accompagnano.
«Dal pensiero del Purgatorio, diceva quel santo ed amabile direttore di anime, possiamo cavare più consolazione che timore. La maggior parte di quelli che tanto temono il Purgatorio, pensano piuttosto al loro proprio interesse che agli interessi della gloria di Dio: il che proviene dal riguardare unicamente le pene di quel luogo, senza considerare nel tempo stesso la felicità e la pace che alle anime Dio fa gustare. È vero che i tormenti sono tanto grandi che i dolori più atroci di questa vita non vi si possono paragonare, ma le interiori soddisfazioni altresì vi sono tali, da non esservi sulla terra prosperità o contentezza che le possa uguagliare.
«Le anime si trovano in una continua unione con Dio. Sono perfettamente sommesse alla sua volontà; o, per dir meglio, la loro volontà è talmente trasformata in quella di Dio, che non possono volere che ciò che Dio vuole: di maniera che, se loro fosse aperto il Paradiso, piuttosto si precipiterebbero nell’inferno, anziché comparire dinanzi a Dio colle sozzure che in sé veggono ancora. Volontariamente ed amorosamente vi si purificano, perché così piace a Dio. Esse vogliono essere come piace a Dio, e per tutto il tempo che a lui piacerà
«Esse sono impeccabili, e non possono avere il menomo moto d’impazienza, né commettere la menoma imperfezione. Amano Dio più di se stesse e più di ogni cosa: l’amano d’un amore pieno, puro, disinteressato. Esse sono consolate dagli angeli, sono assicurate della loro salute e ripiene di una speranza che nella sua aspettazione non può esser delusa. L’amarissima loro amarezza gode una profondissima pace. Se quanto al patire è una specie d’inferno, è un paradiso quanto alla dolcezza dalla carità sparsa nel loro cuore: carità più forte della morte e più potente dell’inferno; carità le cui lampade sono tutte di fuoco e di fiamma (Cant. VIII).
«Stato felice! continua il santo vescovo, felice stato, ben più da desiderarsi che da temersi, poiché quelle fiamme sono fiamme di amore e di carità».
Ecco gli insegnamenti dei Dottori; ne deriva che se rigorose sono le pene del Purgatorio, non sono senza consolazioni. Il buon Gesù, che senza alcun addolcimento bevette il suo calice tanto amaro, volle addolcire il nostro. Addossandoci la sua croce in questa vita, vi spande la sua unzione, e purificando le anime del Purgatorio come l’oro nella fornace, tempera i loro ardori con consolazioni ineffabili. Noi non possiamo perdere di vista questo elemento consolatore, questo lato luminoso, nei quadri talvolta ben tetri che avremo a contemplare.


fonte purgatorio.altervista.org