Nota di Radio Spada: continua questa rubrica tenuta da un cattolico integrale veneto e dedicata a temi di dottrina ed attualità, affrontati con piglio fortemente polemico. Avrà cadenza (quando possibile) periodica e verrà pubblicata sempre durante il fine settimana. Buona lettura! (Piergiorgio Seveso, Presidente SQE di Radio Spada)

Cosa sta succedendo in Libano?

Sebbene la stampa italiana quasi non ne parli, da più di tre settimane il Libano è nel caos.

Divampa infatti una violenta ondata di proteste definita “rivoluzione” dai suoi attori ed estimatori, contro la corruzione della classe politica, contro l’impoverimento di larghe fasce della popolazione, l’austerità, il carovita e la disoccupazione.

Il tutto avrebbe avuto inizio intorno alla metà di ottobre, il giorno 17, a causa della volontà del governo di introdurre una serie d’imposte tra cui quella sull’utilizzo dei social media ed in particolare di whatsapp.

Da Beirut le prime proteste si sono estese a Tripoli, città del nord in maggioranza sunnita ed in altre zone includendo il sud del Libano mentre in diverse aree gli uffici di Hezbollah, Amal e Movimento Patriottico Libero1 sono stati presi d’assalto e in alcuni casi distrutti.

Di lì a pochi giorni, nonostante la non entrata in vigore delle misure fiscali che avevano scatenato le proteste e le dimissioni del corrottissimo quanto asservito ai sauditi Saad Hariri, primo ministro sunnita2, le proteste non si sono fermate ma sono proseguite con occupazioni di piazze e blocchi stradali che hanno di fatto paralizzato il paese.

Intanto, ad inizio ottobre, aveva avuto inizio una crisi finanziaria che ha visto ridursi notevolmente le riserve di dollari americani del paese, di fatto la seconda valuta ufficiale dopo la lira libanese che si preleva abitualmente presso gli ATM (bancomat) e con cui si pagano stipendi, affitti o anche la spesa al supermercato. Così, a causa della diminuzione dei dollari americani molti benzinai sono stati costretti a chiudere in quanto se i clienti pagano la benzina in lire libanesi, loro sono obbligati a pagare gli importatori in dollari.

In questa situazione, a nulla sono serviti gli appelli alla calma di Michel Aoun, il presidente libanese, e i blocchi stradali dei manifestanti hanno messo in ginocchio un paese già in difficoltà per la massiccia presenza di rifugiati siriani, le tensioni mai sopite tra diverse comunità religiose, acuite dal conflitto in Siria, le forti disuguaglianze sociali e la corruzione endemica in ambito politico ed economico.

Per una “strana” coincidenza, la “rivoluzione” ha luogo in un momento in cui la crisi economica è giunta al suo apice mentre il governo si appresta a dare inizio ad un processo di esplorazione dei giacimenti di petrolio e di gas, scoperti nel Mediterraneo al largo delle coste libanesi il cui sfruttamento potrebbe porre fine ai molti problemi energetici del Libano.3 Le proteste hanno luogo anche in un momento in cui le tensioni tra Stati Uniti, Israele e satelliti vari occidentali o arabi ed Iran sono alle stelle. Anzi proteste causate dall’aumento del prezzo del carburante avvengono anche nello stesso Iran.

L’osservatore più accorto e consapevole degli scenari mediorientali sa bene come il Libano, da diversi anni sia un tavolo al quale siedono più giocatori con agende spesso discordanti o anche diametralmente opposte, Iran, Stati Uniti, Francia, Arabia Saudita, Unione Europea solo per citare gli attori più importanti. Alcuni di questi giocano da anni sulla pelle dei libanesi mentre ormai è di dominio pubblico o meglio di dominio di chi ha un po’ di sale in zucca il fatto che a colpi di rivoluzioni arancioni o anche arcobaleno si possono gettare al tappeto paesi già fiaccati da sanzioni, embarghi, corruzione endemica e fratture sociali.

Perché va detto il Libano è un paese in cui la vita per molti non è facile mentre per altri è una festa continua tra yacht, ricevimenti, gallerie d’arte, chalets di montagna e via dicendo. La corruzione politica regna davvero sovrana e il costo della vita è altissimo, soprattutto a Beirut come può confermare anche lo scrivente che ci ha vissuto per alcuni anni. E’ un paese in cui dalla fine della guerra si paga l’elettricità due volte perché quella dell’agenzia statale Electricité du Liban non funziona per 3-6 ore al giorno o addirittura 12 in alcuni casi e allora bisogna affidarsi a dei privati chiamati da molti “la mafia dei generatori” che vendono elettricità prodotta da generatori privati. E’ un paese in cui i prodotti d’importazione costano fino a tre volte il prezzo corretto e in cui banche di ogni tipo prosperano come in Svizzera, in cui nel giro di 20 minuti di macchina passi da strade di una pulizia impensabile su cui si affacciano concessionarie Ferrari e Aston Martin a tuguri tirati su alla bell’e meglio tra smog e strade non asfaltate.

Però proprio nel momento in cui tutto va male ma c’è la speranza che, se la faccenda del petrolio si concludesse in modo positivo, potrebbe andare meglio, ecco che scoppia la “rivoluzione”. Ovviamente il segretario di stato USA Mike Pompeo afferma: “I popoli iracheno e libanese vogliono indietro i loro paesi. Stanno scoprendo che ciò che il regime iraniano esporta più di ogni altra cosa è la corruzione, mal camuffata da rivoluzione. L’Iraq e il Libano meritano di determinare il loro destino, libero dalle ingerenze di Khamenei”4. In questa frase si riassume il copione di una bolsa produzione hollywoodiana ormai vista e rivista ma sempre rispolverata e riadattata al bisogno contingente.

Se volessimo andare a dare un occhio ai rivoluzionari che affollano le piazze troveremmo la consueta accozzaglia di studenti idealisti che manifestano per uno stato “non settario”5 in cui la partecipazione politica non si articoli più sulla base dell’appartenenza religiosa, di perdigiorno siriani e palestinesi attirati dalla presenza di studentesse della Beirut “bene” oltre che dal caos in generale da cui potrebbero trarre qualche vantaggio materiale, da rampolli liberal e annoiati di famiglie ricche, di artistoidi da strapazzo e di qualche persona sincera che spera che un governo post-rivoluzionario potrà mettere fine ai mali del Paese dei Cedri.

Nel frattempo, pubblicazioni come il quotidiano francofono L’Orient le Jour, hanno momentaneamente accantonato i report sulle feste dell’alta società beirutina, in cui foto di signore rifatte e plastificate da capo a piedi e magnati locali si alternano quelle di tavole imbandite, per diventare la grancassa della “thawra”, la rivoluzione.

Così giorno dopo giorno articoli scritto in un linguaggio saccente quanto supponente tessono le lodi dei “rivoluzionari” che tra un rave e l’altro occupano e bloccano strade non solo della “city” di Beirut ma anche di tranquille zone cristiane come Jal el Dib provocando reazioni stizzite da parte dei residenti.

Del resto i media asserviti ai padroni del discorso come d’abitudine raccontano panzane come quella di un attacco di un militante di Hezbollah, “controrivoluzionario” ça va sans dire, ai danni di una donna quando invece il militante in questione si stava difendendo semplicemente dagli attacchi dei manifestanti.

Una cara amica libanese, maronita, mi rivela alcuni retroscena su quello che sta avvenendo raccontandomi di come sia andata di persona a vedere come fossero le manifestazioni e di come loschi soggetti “rivoluzionari” abbiano preso di mira lei e altre donne puntando direttamente alle loro borse prima che la ragazza prendesse la saggia decisione di allontanarsi.

Mi parla anche di come i dimostranti bloccando le strade che portano all’aeroporto di Beirut abbiano iniziato a taglieggiare i viaggiatori chiedendo una sorta di pedaggio per poter passare e di come nelle piazze della rivolta i rifornimenti in vettovaglie, compreso il sushi (!) siano costanti mentre bagni chimici nuovi di zecca e altri servizi sono a disposizione dei rivoltosi. L’amica, che di mestiere fa l’organizzatrice di congressi e di eventi, sa bene qual è il costo di tutto quest’allestimento.

Tutti questi elementi ci lasciano pensare, che dietro al non settarismo e al rigetto di Hezbollah si nasconda qualcosa d’altro la cui regia è molto probabilmente fuori dal Libano stesso.

Possiamo inoltre concludere che un fenomeno di piazza che rende la vita ancor più difficile a migliaia di lavoratori e di famiglie già fiaccate dalla crisi economica non può essere votato al bene.

1 Amal è un partito sciita, filiazione dell’omonima milizia e tuttora guidato da Nabih Berri. Il Movimento Patriottico Libero è un partito cristiano maronita fondato dall’attuale presidente della repubblica Michel Aoun.

2 Per legge il presidente della repubblica è un cristiano maronita, il primo ministro è un musulmano sunnita e il presidente del parlamento è uno sciita.

3 http://www.xinhuanet.com/english/2019-11/09/c_138542597.htm

4 https://twitter.com/SecPompeo/status/1191844279674712064

5 Il “settarismo” dello stato libanese non è altro che un sistema di quote di rappresentanza politica suddivise tra le varie religioni presenti in Libano, senza il quale il paese potrebbe deflagrare con grande facilità.