a cura Giuliano Zoroddu

In una puntata della fortunata rubrica Le glorie del Cardinalato abbiamo scritto: “La Chiesa di Cristo è un grande e bellissimo giardino nel quale convivono in armonia le più disparate varietà di fiori di carismi e di virtù. Allo stesso modo il Sacro Collegio Cardinalizio, il Senato della Chiesa Romana, lungo i secoli ha raccolto le personalità più disparate: dal pastore di anime al diplomatico, dallo statista al guerriero, fino alle vette della santità di un San Carlo Borromeo, gloria la più vera del Cardinalato Romano”. Ed oggi appunto del Borromeo vogliamo trattare e ci piace farlo riprendendone il ritratto e l’elogio che ne compone la santa memoria di un suo degnissimo successore sulla Cattedra Ambrosiana quale fu il Cardinale Alfredo Ildefonso Schuster.

Se Milano riguarda san Carlo siccome il più illustre dei suoi pastori dopo sant’Ambrogio, anche la Chiesa Madre di Roma stringe al suo seno il Borromeo, e lo saluta siccome uno dei più cari e benemeriti figli suoi.
L’opera infatti di san Carlo, può considerarsi in due tempi e su due campi distinti. Dapprima, la sua attività a fianco del zio Pio IV; attività che abbracciò, non pure Roma, ma la Chiesa stessa universale. Viene quindi l’azione pastorale che il Santo compiè a Milano, siccome apostolo e pastore speciale di quella vasta diocesi.
Come secretarlo di stato di Pio IV, san Carlo stette al fianco del Pontefice in una delle epoche più decisive per la storia del papato.
Si trattava di sapere, se la santa Sede si sarebbe finalmente impegnata in una maniera risoluta nella via della riforma ecclesiastica così lungamente e vastamente reclamata; ovvero, avrebbe differito ancora la difficile impresa, contentandosi, come purtroppo alcuni dei Pontefici di quel secolo, di mezze misure.
Fu sotto l’influenza personale di san Carlo, che Pio IV si decise per la riforma; e da quel giorno il Borromeo, a nome e coll’autorità dello zio, proseguì arditamente nella via iniziata, senza riguardi umani. Si può dire quindi che egli da Roma diresse l’ultima fase conciliare di Trento ; e quel che è più, approvato che fu il Concilio dal Papa, san Carlo si applicò con tutta l’energia a tradurne in atto il piano di riforma.
Qui comincia appunto la seconda fase della vita di san Carlo.
Morto Pio IV, egli si portò definitivamente alla sua chiesa di Milano, dove c’erano da riparare le rovine accumulate da lunghi anni di sgoverno, nell’assenza dei legittimi pastori.
San Carlo, per santificare il gregge cominciò col santificare se stesso; e siccome Gesù aveva voluto redimere il mondo, non tanto colla predicazione e coi miracoli, quanto colla propria passione, cosi anche il Borromeo, con una vita austerissima si offrì vittima a Dio pel suo popolo. Le anime – era solito dire – si guadagnano colle ginocchia, – ed alludeva alle sue prolisse preghiere inginocchiato avanti il Crocifisso o nella cripta della chiesa del Santo Sepolcro a Milano.
È incredibile l’operosità dispiegata da san Carlo in ogni genere d’attività pastorale. Il suo campo d’azione, siccome metropolita di Milano e legato della santa Sede, era estesissimo. Eppure, non vi fu paese alpestre od abbandonato, dove non si recasse san Carlo a compiervi la visita pastorale. Narrano i biografi, che in poco meno di tre settimane egli consacrasse ben quindici chiese.
Essere allora arcivescovo di Milano, importava la soluzione di problemi vasti e difficili. L’eresia che aveva infetto i cantoni svizzeri confinanti con la diocesi, minacciava d’incancrenire anche il milanese. Bisognava per lo meno paralizzarne l’influenza, e san Carlo lo fece. Di più: occorreva plasmare un episcopato ed un clero informato ad ideali più sublimi : ed ecco il Santo che erige collegi e seminari, raduna concilii, promulga canoni, favorisce l’apertura di case religiose per l’educazione della gioventù.
L’affievolimento dello spirito ecclesiastico nel clero è quasi sempre favorito dal potere civile, il quale avvilisce appunto il sacerdote, per poterselo quindi più facilmente assoggettare. San Carlo fu il vindice imperterrito dell’autorità episcopale; e si trovò perciò a dover lottare, non pur con canonici, monache e regolari che avevano deviato dalla loro prima strada, – insegnino tra gli altri gli Umiliati, che tentarono perfino d’assassinare il Santo – ma trovò avversari assai più pericolosi nei governatori di Milano, troppo gelosi delle pretese prerogative della corona di Spagna.
Cosi visse, questo fece, così pugnò il grande Borromeo, il quale si mostrò campione ben degno della sacra lotta per la quale egli s’immolò.
Logoro innanzi tempo delle aspre fatiche pastorali, egli morì sulla breccia il 3 novembre 1584, a soli 46 anni.
La Chiesa, nella colletta della Messa riassume il suo elogio in queste brevi, ma eloquenti parole: pastoralis sollicitudogloriosum reddidit.
Roma conserva di lui molti ricordi, a san Martino ai Monti, per esempio, e a santa Prassede, di cui fu prete titolare. Il suo cuore però si custodisce nel vasto tempio a lui dedicato presso la porta Flaminia, tempio che oggi rappresenta quasi il santuario particolare dei Lombardi nella Città Eterna. Oltre poi alla Chiesa sul Corso, due altri tempi dell’Urbe si fregiano del nome del Borromeo e sono, san Carlo a’ Catinari e san Carlo alle Quattro Fontane. Nel palazzo Altemps è ancora in venerazione la camera abitata dal Borromeo. La porpora poi del grande Cardinale, si conserva religiosamente nel titolo di santa Cecilia.
La messa è come il 4 febbraio, tranne la prima colletta: «Custodisci ognora, o Signore, la tua Chiesa sotto il patrocinio del tuo santo pontefice Carlo; e come la sollecitudine pastorale sollevò lui a tanta gloria, così la sua intercessione valga ad accendere anche noi di santo amore».


(Cardinale Alfredo Ildefonso Schuster OSB, Liber Sacrementorum. Note liturgiche e storiche sul Messale Romano. Vol. IX. I Santi nel Mistero della Redenzione (Le Feste dei Santi dalia Dedicazione di san Michele all’Avvento), Torino-Roma, 1932, pp. 117-119)