Sulla morte dell’imperatore Giuliano l’Apostata, iniziato ai misteri teurgici e fautore di una contro-chiesa pagana fondata sui medesimi non si molto, a parte che perì nella mischia della battaglia contro i Persiani il 26 giugno 363 presso Ctesifonte. In questo vuoto si inserirono varie narrazioni: secondo alcuni bestemmiò il suo dio Elios, secondo altri inveì contro quel Galileo che tanto aveva combattuto ma che alla fine lo aveva vinto. Fra queste narrazioni vi è anche la seguente che ha come attori, oltre all’ultimo Cesare pagano, San Basilio Magno e San Mercurio “soldato, il quale, protetto dall’Angelo che lo custodiva, vinse i barbari, e superò la crudeltà di Decio, ed arricchito di molti trofei di tormenti, coronato col martirio volò al cielo” il 25 novembre del 250.
Andando Giuliano Imperatore, detto l’Apostata, perché aveva rinnegata la fede cristiana, alla guerra e spedizione con tra la Persia, e passando di Cesarea di Cappadocia, San Basilio che quivi era Vescovo lo andò ad incontrare con i suoi cittadini, e gli offrì per la benedizione, tre pani d’orzo. L’empio Imperatore sdegnatosi di tale offerta, per essere l’orzo cibo di giumenti, comandò che fosse loro in contraccambio reso fieno. E scusandosi il Vescovo coi suoi, con dire che gli avevano presentato di quello stesso pane che essi mangiavano, non ammise altrimenti la scusa, ma giurò, che al suo ritorno da quella impresa a cui ora era incamminato, voleva distruggere quella città, e farla tutta arare, acciocché producesse non più uomini, ma farro e altri frumenti. Ritornato San Basilio alla città, consolato che ebbe il popolo suo a ben sperare del divino aiuto, diede ordine che tutti, grandi e piccoli, uomini, e donne, dopo il clero salissero al monte Didimo, in cima al quale vi era un venerabile Tempio alla gloriosissima Madre di Dio dedicato, e quivi col digiuno di tre giorni perseverantemente orassero, che nostro Signore per sua pietà, e per i gloriosi meriti della sua santa genitrice volesse dissipare l’iniquo consiglio dell’Imperatore Giuliano. Ora egli avvenne che orante in detto luogo, e digiunante così gran moltitudine di servi di Dio, e figliuoli, San Basilio loro vigilante pastore, in visione vide tutto il detto monte di ogni intorno riempirsi di celeste milizia, e in mezzo a loro, sopra di un elevato trono, vide sedere la Regina del cielo Maria. La quale, fatto silenzio, comandò agli spiriti più vicini, che le facevano corona intorno, che le chiamassero San Mercurio martire, perché voleva mandarlo ad uccidere lo scellerato Imperatore Giuliano, il quale non cessava di bestemmiare il glorioso nome del suo Figliuolo, e di perseguitare la sua santa fede. Era San Mercurio un glorioſo cavaliere, il quale era stato martirizzato per la fede di Cristo, sotto Decio Imperatore cento dieci anni circa avanti Giuliano, e quivi in Cesarea era stato sepolto. Svegliatosi pertanto San Basilio, e presa grande speranza della visione fattagli, subito ritornò alla città vicina al detto monte, e andando al tempio, e rimirando il sepolcro di San Mercurio, vide che l’armi sue e la lancia n’erano state levate. E domandando al sagrestano e custode della chiesa, se sapevano chi avesse levate dette armi dal detto sepolcro, gli affermarono come la sera avanti le avevano lasciate. Conobbe allora il santo Vescovo la sua visione essere stata verace,e ne ringraziò la divina maestà, che non abbandona gli speranti in lei. E ritornando l’istessa notte al monte Didimo, diede la buona nuova al popolo, e raccontando la visione avuta, e dell’armi tolte dal sepolcro del Santo Martire, li eccitò al fervore delle orazioni. La mattina poi seguente ritornando alla città videro l’armi essere state riportate al detto sepolcro, con la lancia tinta di fresco sangue. Onde per rendimento di grazie, fattasi una generale comunione, perseverarono per sette altri giorni nelle comuni orazioni. Ed ecco che il quarto giorno, tutti ancora essendo congregati, arrivò a Cesarea Libanio Tesoriere di Giuliano, e narrò come appunto la tale notte, cioè quella stessa, in cui ebbe San Basilio la visione, ritrovandosi l’Imperatore lungo la riva del fiume Eufrate, dove in mezzo del campo, lo guardavano particolarmente sette soldati, venne un ſoldato tutto armato, e con impeto lo passò con la lancia, da banda a banda, e poi subito si partì, senza eſſere da veruno riconosciuto o perseguitato. E l’empio bestemmiando con alta voce, e dicendo “Tu m’hai pur vinto Galileo. Tu m’hai pur vinto“, spirò la maledetta sua anima nelle mani e potestà dei demonii.
(Giardino d’esempi, o vero Fiori delle vite dei santi scritti in lingua volgare da M. Serafino Razzi, Teologo Domenicano, e professo del Convento di San Marco di Firenze, Firenze, 1597, pp. 47-50. Il testo è stato leggermente riveduto per favorirne la comprensione)
L’autore potrebbe annotare doverosamente che il dipinto sei-settecentesco anonimo è conservato presso la Chiesa del Santissimo Salvatore a Toro (CB),
Un Santo della schiera celeste, comandato dalla Madre di Dio, sua Regina, di scendere in Terra e uccidervi, trapassandolo di spada, il nemico in capo della Vera Religione… ORRORE agli occhi del boldrinesco papa francesco, e ai sodali suoi nuovi cristiani!