Cari fratelli e sorelle,
la Curia romana non è un corpo staccato dalla realtà – anche se il rischio è sempre presente –, ma va concepita e vissuta nell’oggi del cammino percorso dagli uomini e dalle donne, nella logica del cambiamento d’epoca. La Curia romana non è un palazzo o un armadio pieno di vestiti da indossare per giustificare un cambiamento. La Curia romana è un corpo vivo, e lo è tanto più quanto più vive l’integralità del Vangelo.
Il Cardinale Martini, nell’ultima intervista a pochi giorni della sua morte, disse parole che devono farci interrogare: «La Chiesa è rimasta indietro di duecento anni. Come mai non si scuote? Abbiamo paura? Paura invece di coraggio? Comunque la fede è il fondamento della Chiesa. La fede, la fiducia, il coraggio. […] Solo l’amore vince la stanchezza».
Il Natale è la festa dell’amore di Dio per noi. L’amore divino che ispira, dirige e corregge il cambiamento e sconfigge la paura umana di lasciare il “sicuro” per rilanciarci nel “mistero”.

Così Bergoglio ha concluso il discorso alla Curia Romana per gli auguri di Natale.
Certamente non sentivamo la mancanza delle citazioni del Cardinale Laico (ricevette la porpora da Giovanni Paolo II) ma il fatto che il suo confratello gesuita lo abbia nominato in riferimento alla riforma della Curia – e della Chiesa, vero oggetto di riforma (rectius rivoluzione) – è notevole: l’idea di Bergoglio, di Martini, e di tutti i modernisti (compresi quelli vestiti di bianco che si sono avvicendati durante questi cinquantanni conciliari e postconciliari) è quella di una chiesa che deve costantemente adeguarsi al mondo che cambia, ora a piccoli passi ora con grandi fughe in avanti.
E per Martini – grande ecumenista, fautore tra i più convinti del dialogo interrelgioso (specialmente coi Giudei) e fondatore della Cattedra dei non credenti (ispiratagli, a suo dire, da Introduzione al Cristianesimo di Ratzinger) – tanti erano i punti su cui la Chiesa doveva mettersi al passo coi tempi.
Maggiore comprensione verso chi abortisce, verso chi sceglie l’eutanasia e verso gli omosessuali: tra “condanna” “teorica” – nel senso che in teorie sarebbero cose da condannare ma … – e approvazione pratica.
Sul problema gay riportiamo alcune sue dichiarazioni tratte da “Credere e conoscere” (2012) e pubblicate a suo tempo sul sito de L’Espresso:

«Tenendo conto di tutto questo vorrei esprimere anche una mia valutazione sul tema dell’omosessualità. È difficile parlarne con poche parole, perché oggi ha assunto soprattutto in alcuni paesi occidentali anche un rilievo pubblico e ha fatto sue quelle suscettibilità che sono proprie dei gruppi minoritari, o che si credono tali, e che aspirano a un riconoscimento sociale. Di qui si possono capire (non necessariamente approvare) certe insistenze che in un primo momento potrebbero parere esagerate, penso per esempio a manifestazioni come il gay pride, che riesco a giustificare solo per il fatto che in questo particolare momento storico esiste per questo gruppo di persone il bisogno di autoaffermazione, di mostrare a tutti la propria esistenza, anche a costo di apparire eccessivamente provocatori. Personalmente ritengo che Dio ci ha creato uomo e donna e che perciò la dottrina morale tradizionale conserva delle buone ragioni su questo punto. Naturalmente sono pronto ad ammettere che in alcuni casi la buona fede, le esperienze vissute, le abitudini contratte, l’inconscio e probabilmente anche una certa inclinazione nativa possono spingere a scegliere per sé un tipo di vita con un partner dello stesso sesso. Nel mondo attuale tale comportamento non può venire perciò né demonizzato né ostracizzato. Sono pronto anche ad ammettere il valore di una amicizia duratura e fedele tra due persone dello stesso sesso. L’amicizia è sempre stata tenuta in grande onore nel mondo antico, forse più di oggi, anche se essa era per lo più intesa nell’ambito di quel superamento della sfera puramente fisica di cui ho parlato sopra, per essere un’unione di menti e di cuori. Se viene intesa anche come donazione sessuale, non può allora, mi sembra, venire eretta a modello di vita come può esserlo una famiglia riuscita. Quest’ultima ha una grande e incontestata utilità sociale. Altri modelli di vita non lo possono essere alla stessa maniera e soprattutto non vanno esibiti in modo da offendere le convinzioni di molti»

«Io ritengo che la famiglia vada difesa perché è veramente quella che sostiene la società in maniera stabile e permanente e per il ruolo fondamentale che esercita nell’educazione dei figli. Però non è male, in luogo di rapporti omosessuali occasionali, che due persone abbiano una certa stabilità e quindi in questo senso lo Stato potrebbe anche favorirli. Non condivido le posizioni di chi, nella Chiesa, se la prende con le unioni civili. Io sostengo il matrimonio tradizionale con tutti i suoi valori e sono convinto che non vada messo in discussione. Se poi alcune persone, di sesso diverso oppure anche dello stesso sesso, ambiscono a firmare un patto per dare una certa stabilità alla loro coppia, perché vogliamo assolutamente che non sia? Io penso che la coppia omosessuale, in quanto tale, non potrà mai essere equiparata in tutto al matrimonio e d’altra parte non credo che la coppia eterosessuale e il matrimonio debbano essere difesi o puntellati con mezzi straordinari perché si basano su valori talmente forti che non mi pare si renda necessario un intervento a tutela. Anche per questo, se lo Stato concede qualche beneficio agli omosessuali, non me la prenderei troppo. La Chiesa cattolica, dal canto suo, promuove le unioni che sono favorevoli al proseguimento della specie umana e alla sua stabilità, e tuttavia non è giusto esprimere alcuna discriminazione per altri tipi di unioni».

Citazioni che ricordano quelle bergogliane: tra condanna della ideologia gender e omaggi ai più ferventi araldi della medesima; tra condanna dell’errore e comprensione (non correzione) dell’errante fino a confermarlo nell’errore (su cui tra l’altro ci si dichiara inabili al giudizio).
Errore che – nell’idea modernistica che ripudia una Chiesa che deve restar salda su una dottrina rivelata non 200 ma 2000 anni fa – non viene concepito come tale, ma come realtà che una Chiesa arretrata deve capire per adeguarvisi.
Affinché non le si rinfacci quello che paventava Paolo VI: “Sorge infatti spontaneo nella mente il confronto: tutto il mondo si cambia e la religione no? non si produce fra la realtà della vita e il cristianesimo, quello cattolico specialmente, una difformità, un distacco, un’incomprensione reciproca, una mutua ostilità, l’una corre, l’altro sta fermo: come possono andare d’accordo? come può pretendere il cristianesimo d’influire oggi sulla vita? Ed ecco la ragione delle riforme intraprese dalla Chiesa, specialmente dopo il Concilio” (Udienza generale del 2 luglio 1969) .