Una citazione del Moroni per capire il più recondito e più vero significato delle sfarzose cerimonie della Corte Romana nelle Cappelle Papali (le funzioni cui assisteva il Sommo Pontefice), abbattute totalmente da Paolo VI nell’immediato post-concilio per dare un’immagine della Chiesa diversa e più gradita al mondo, da quella che ne dava l’antico cerimoniale, che al mondo – quel mondo che combatte il Cristo e la sua Chiesa – riusciva indigesta. Alla immagine di una Chiesa, societas gerarchicamente organizzata e trionfante, si sostituirono surrogati meramente umani: dal griogiore montiniano alla becera volgarità bergogliana, passando per la teatralità wojtyliana e la pseudo-restaurazione ratzingeriana.
Era ben giusto che le sagre funzioni celebrate dal supremo Gerarca, dai Cardinali della S. R. C., e dalla prelatura della sede apostolica, fossero accompagnate da ecclesiastica gravità, magnificenza, e corrispondenti cerimonie; acciocché ove ha sede il venerabile capo della Chiesa risplendesse vieppiù l’esterna espressione del culto religioso che si deve alla Divinità, e venisse meglio ravvivata la fede negli assistenti. Il complesso adunque dei riti e delle cerimonie piene dei più belli, e misteriosi significati, rende in certo modo visibile la santa religione di Cristo, riempiono l’animo di pietà, e religiosa commozione, e lo eleva soavemente al cielo: mentre il corteggio imponente del sovrano Pontefice, si fa distinguere per un misto di sacerdotale, di regio, di principesco, e di sacro, che ispira maestà, e insieme venerazione; tutto essendo augusto e grande, per l’intervento del sacro Collegio, della prelatura, e della curia, corte e famiglia pontificia, ricoperti delle insigne della loro dignità e grado; e però in riguardo alla meravigliosa graduazione ed ordine, sembra una vera immagine della celeste Gerarchia. Questo venerabile consesso, che nelle sagre funzioni circonda e fa omaggio al Sommo Pontefice, fece esclamare ad Enea Silvio Piccolomini, poi Pontefice Pio II: “Si videres aut celebrantem romanum Pontificem, aut divina audientem, fatereris profecto, non esse ordinem, non esse splendorem, ac magnificentiam, nisi apud Romanum Praesulem” [1]. Dappoiché si può dire più giustamente di Roma cristiana ciò, che di Roma pagana disse Cicerone: “Nec numero Hispanos, nec robore Gallos, nec calliditate Poenos, nec artibus Graecos; sed pietate ac religione … omnes gentes, nationesque superavimus” [2]. Né finalmente i più santi Pontefici stabilirono la celebrazione dei santi misteri, e sacre funzioni con tutta la magnificenza e splendidezza ecclesiastica, per far pompa della loro sublime dignità, ma solo per maggior esaltazione della gloria di Gesù Cristo, e della sua Chiesa.
(Gaetano Moroni, Le cappelle pontificie, cardinalizie e prelatizie, Venezia, 1841, pp. XIV-XV)
[1] “Se vedessi o il Romano Pontefice che celebra o che assiste ai divini misteri, riconoscerai senz’altro che non vi è ordine, né splendore, né magnificenza, se non presso il Romano Pontefice”.
[2] “Non abbiamo superato nel numero gli Ispani, né nella forza i Galli, né in scaltrezza i Punici, né nelle arti i Greci; ma per pietà e religione abbiamo superato tutte le genti e tutte le nazioni”.
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