da provitaefamiglia.it

Come ogni storia che si conclude con l’eutanasia, anche quella che stiamo per raccontare ha dell’assurdo e conferma la tesi di Pro Vita e Famiglia, secondo cui, aperto anche solo uno spiraglio al fine vita, rapidamente cadranno tutti gli altri paletti che ne delimitano l’estensione della legalità. E ciascuno di noi sarà fortemente in pericolo.

Nel 2010, la 38enne belga Tine Nys riceve l’iniezione letale. Aveva chiesto di morire dopo la rottura del fidanzamento con il suo ex, come leggiamo in un articolo di Tempi. Pensò, dunque, di rivolgersi allo psichiatra che l’aveva seguita 18 anni prima, ma questo, considerandola «perfettamente sana», non trovò in lei alcuna psicopatologia «cronica e incurabile», al punto da rendere possibile nel suo caso la morte assistita.

Fu così che Tine decise di affidarsi alla dottoressa Lieve Thienpont, «che secondo i media belgi è coinvolta in un terzo di tutti i casi di eutanasia per problemi psichiatrici in Belgio», nella speranza che questa assecondasse la sua richiesta. E così fu. La famiglia spiega che bastò poco perché la dottoressa arrivasse a diagnosticare a Tine «la Sindrome di Asperger, la stessa forma lieve di autismo di cui è affetta Greta Thunberg, e in base a questa diagnosi autorizzò l’eutanasia».

Insomma, basta avere una lieve forma di autismo per essere ritenuti non più degni di vivere. Ma che medicina è questa? Che cura è stata fornita a Tine per ridurle la sofferenza o, quanto meno, per aiutarla a vivere? Nessuna. In compenso, è stata tranquillamente autorizzata a morire, come se la morte fosse la cura al suo male o il suo migliore interesse.

Come se non bastasse, dopo il decesso, pare che la dottoressa abbia voluto ostacolare l’accesso dei parenti di Tine alla documentazione medica di quest’ultima. Ma al danno, che, nel caso della morte di una persona, è estremamente grave, sembra essersi aggiunta anche la beffa, come spesso avviene.

«Il medico che arrivò il 27 aprile 2010 a casa Nys per praticare l’eutanasia alla donna si dimostrò incompetente e irrispettoso: dopo essersi dimenticato di portare con sé bende e cerotti, chiese al padre della donna di tenere l’ago in posizione conficcato nel braccio di Tine, mentre lui amministrava l’iniezione. Poi, a morte avvenuta, chiese a un membro della famiglia di verificare con lo stetoscopio che il cuore di Tine non battesse più. Prima di uscire di casa, arrivò a paragonare la morte della donna alla “iniezione letale che si amministra al proprio animale domestico per alleviare le sue sofferenze”».

Un evento così tragico e assurdo deve farci riflettere su cosa rischia l’Italia se commettesse il grave errore di legalizzare l’eutanasia. Ogni sofferente merita che i medici e la società tutta lottino per la sua vita e gli diano il sostegno necessario ad attraversare dignitosamente il tempo del dolore, invece di dargli il via libera per togliersi di mezzo.

di Luca Scalise