Dopo Sant’Agostino che ci ha illumina sul mistero dell’Epifania, sull’elezione dei Gentili e sull’accecamento del popolo ebraico, San Gregorio Magno (lezioni VII, VIII e IX del Mattutino del terzo giorno dell’Ottava dell’Epifania) ci spiega i significati dei doni dei Re Magi, applicati a Gesù Cristo e applicati a noi.

Or bene, i Magi portano oro, incenso e mirra. L’oro infatti conviene a un Re, l’incenso si offre a Dio nel sacrificio, colla mirra si profumano i corpi dei defunti. I Magi adunque anche con questi mistici doni fanno conoscere chi è colui che adorano: con l’oro, dichiarano ch’egli è Re, con l’incenso ch’è Dio, colla mirra ch’è mortale.
Ma ci sono degli eretici che credono alla sua Divinità, ma non ammettono che regni dappertutto. Questi per certo gli offrono l’incenso, ma non vogliono offrirgli anche l’oro. Degli altri riconoscono ch’egli è Re, ma negano che sia Dio. Questi tali gli offrono l’oro, ma non vogliono offrirgli l’incenso. E ci sono degli altri ancora che lo confessano Dio e Re, ma negano che abbia assunto un corpo mortale. Questi tali per certo gli offrono oro ed incenso, ma non vogliono offrirgli la mirra, emblema dell’assunta umanità.
Noi pertanto offriamo al neonato Signore l’oro, riconoscendo ch’egli regna dovunque: offriamogli l’incenso, credendo che colui ch’è apparso nel tempo, era Dio prima d’ogni tempo: offriamogli la mirra, credendo ch’egli impassibile nella sua divinità, fu mortale nella nostra carne.
Ma all’oro, incenso e mirra si può dare anche un’altra significazione. Dacché con l’oro viene indicata la sapienza, secondo attesta Salomone quando dice: «Un tesoro desiderabile riposa sulla bocca del saggio» (Pro. 21,20. Sept.). Coll’incenso, che si brucia in onore di Dio, si esprime la virtù della preghiera, secondo attesta il Salmista che dice: «Salga la mia preghiera come l’incenso al tuo cospetto» (Ps. 140,2). Nella mirra poi è figurata la mortificazione della nostra carne. Onde la santa Chiesa parlando dei suoi operai che combattono per Iddio fino alla morte, dice: «Le mie mani stillarono mirra» (Cant. 5,5).
Noi adunque offriamo oro al Re nato, se nel suo cospetto risplendiamo dello splendore della superna sapienza. Offriamo incenso, se per la santa applicazione nell’orazione bruciamo i pensieri carnali nell’altare del cuore, acciocché possiamo rendere a Dio quell’odore di soavità per mezzo di celestiali desideri. Offriamo mirra, se nell’astinenza mortifichiamo i vizi della carne. Perché, come è detto, la virtù della mirra è fare che la carne morta non imputridisca. Ed allora la carne morta imputridisce, quando questo corpo mortale serve al fracidume della lussuria, siccome dice di certuni il profeta: «Marciscono i giumenti nel loro sterco» (Joel 1, 17). Allora il marcire dei giumenti nel loro sterco è quando quando gli uomini carnali finiscono la vita nel puzzo della lussuria. Offriamo adunque a Dio la mirra, quando conserviamo questo corpo mortale immacolato dal fracidume della lussuria tramite il condimento della continenza.
(San Gregorio Magno, Omelia X nel giorno dell’Epifania, par. 6. Testo raccolto da Giuliano Zoroddu)
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