di Massimo Micaletti

Con la chiosa dell’intervista a Scalfari – non ad Avvenire, non all’Osservatore ma a Repubblica, anzi a Scalfari: messaggio chiarissimo per lasciare affogare nella schiuma eventuali perplessi – il Papa chiude l’incidente Sarah Ratzinger. Che però non è esattamente un incidente, e soprattutto non riguarda “solo” il Cardinal Sarah e il Papa emerito, se non per via mediata.
Non voglio accodarmi al coro della dietrologia e delle possibili ricostruzioni: ogni ipotesi presta il fianco a critiche ed è parimenti avvilente. Dal Ratzinger ostaggio di Mons. Ganswein che fa e disfa per lui al Ratzinger che alla fine, per evitare contrapposizioni, ritira una firma già messa, gli scenari sono comunque dolorosi. Posso solo osservare che è prassi che in editoria quando si pubblica qualcosa – a maggior ragione un testo di notevole impatto come può essere quello di cui parliamo – l’editore si assicura e riassicura sull’identità dell’autore, vieppiù quando chi firma il testo è un fattore di attenzione determinante per il buon successo di quella che, per l’editore, è comunque un’operazione commerciale. Apertis verbis: Fayard sapeva bene chi fosse autore e chi contributore del testo, tanto che l’editore inglese Ignatius Press ha fatto sapere che pubblicherà ugualmente il testo con la doppia firma. Ma qui mi fermo, ché per me, da fedele della Chiesa di Roma, è già più che abbastanza.
Voglio invece, per quel che conta il mio punto di vista, dare un’idea della posta in gioco: e la posta in gioco, c’è poco da fare, è davvero il celibato sacerdotale. Nell’intervista a Scalfari Francesco dice che “In un’organizzazione che abbraccia centinaia di milioni di persone in tutto il mondo c’è sempre qualcuno contrario”. Ora, al di là del fatto evidente che un cardinale e un Papa emerito non sono esattamente “qualcuno in un milione di persone” – sempre ammesso, peraltro, che avessero davvero intenzione di dissentire – viene da chiedersi a cosa sarebbero contrari. E dato che il tema del libro nefasto sarebbe proprio l’importanza del celibato per il sacerdozio, è logico pensare che il celibato sia davvero in pericolo e che la prossima area di intervento della chiesa d’oggi sarà quella. Questa è la posta in gioco, ancor più e molto più dell’affidabilità e del coraggio del Cardinal Sarah o del Papa emerito. E haivoglia a parlare di “confusione”: è ben più che evidente come è ben più che evidente dove stiamo e dove andremo.
Se questa è la posta in gioco, allora dovremmo chiederci: quo usque tandem? Abbiamo assistito in questi ultimi decenni e vieppiù, con fulminante apocalittica – nel senso di “rivelatrice” – accelerazione all’assimilazione e poi sovrapposizione tra il Dio dei cattolici e quello dei talmudici o degli islamici fino all’omologazione di tutte le fedi purché abbiano un unico dio (per ora); alla dispersione della liturgia in decine di pratiche, usanze, cenacoli, spiritualità, carismi e chi più ne ha più ne metta; all’Eucaristia nelle mani e dalle mani di soggetti più o meno legittimati; all’ammissione ai Sacramenti dei divorziati risposati o dei conviventi; e ogni volta s’era detto che s’era giunti al limite e ogni volta il limite è stato varcato. Ora io chiedo, e lo chiedo a me per primo: prenderemo dunque la Comunione consacrata da un ministro sposato? Siamo pronti a questo? Accetteremo anche questo? Andremo da un ministro sposato che celebra secondo il vetus ordo? Accetteremo di prendere l’Eucaristia consacrata da un ministro convivente o risposato (perché logicamente quello sarà il passo successivo)?
E se non lo accetteremo, cosa potremo fare? Cercheremo “la parrocchia giusta”, di fatto non accettando quel che la Chiesa imporrà, come del resto in molti facciamo ora? Cosa risponderemo ai nostri figli quando ci chiederanno il perché?
Questa è la vera posta in gioco: perché della nostra anima risponderemo noi per primi a Dio, noi per primi, non il tizio che ci avrà dato l’Eucaristia dopo aver portato i figli a calcetto.
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