La Francia della seconda metà del Cinquecento fu funestata dalle cosiddette guerre di religione, scatenate dalla tracotanza ugonotta e dalle mene “politiche” (politiques furono detti i favorevoli a una intesa fra cattolici e ugonotti) della corte, insensibile se non disobbediente rispetto ai saggi consigli della Sede Apostolica che nel difendere l’Altare approntava al contempo la difesa del Trono (vedi La politica anti-ugonotta di San Pio V). Al principio di questo sanguinoso periodo, si tennero per iniziativa della regina madre Caterina de Medici e del Cancelliere Michel de L’Hopital, uno dei principali politiques (“le plus grand homme de France” lo chiamò non a caso Voltaire) i colloqui di Poissy (9 settembre – 14 ottobre 1561). in cui si affrontarono i rappresentanti della Chiesa Cattolica e quelli delle nuove religioni. Tra i campioni della Chiesa vi fu Diego Laínez Gómez de León, compagno di Sant’Ignazio e suo successore alla guida della Compagnia di Gesù (evidentemente non i Gesuiti apostati di oggi!), che, arrivato a Poissy come consigliere del Cardinale d’Este Legato di Pio IV, represse a un tempo le bestemmie di Teodoro Beza e Pietro Martire e i pericoli del Gallicanesimo. Di seguito il discorso pronunziato dal Lainez.

Madama,
Non è certamente convenevole cosa che uno straniero si mescoli nelle faccende pubbliche d’un paese diverso dal proprio; niente però di meno, essendoché la Fede non è negozio di qualche regni soltanto, ma di tutti i luoghi, non sembrami fuor di proposito l’esporre a Vostra Maestà alquante considerazioni che qui mi si presentano al pensiero. Parlerò in generale sopra ciò che si agita in quest’assemblea, e risponderò in particolare ad alcune obiezioni di Fra’ Pietro Martire e del suo collega.
Quanto al primo punto, se ben ricordo quello che ho letto, se mi consiglio coi documenti dell’esperienza, parmi cosa assai pericolosa il negoziare con coloro che sono fuori della Chiesa. Neppur si avrebbe da ascoltarli: imperocché, come ottimamente dice il Savio, nel libro dell’Ecclesiastico: «Chi avrà compassione dell’incantatore morsicato dal serpente e di coloro, tutti che s’avvicinano alle feroci bestie? Quis miserebitur incantatori a serpente percusso, et omnibus qui appropinquant bestiis?» (Eccli. XII, 15).
Per insegnarne a tenerci in guardia da coloro che sonosi distaccati dalla Chiesa, la Scrittura li tratta da serpenti, e, certamente a cagione del perfidi loro artifici: chiamali anche lupi mascherati sotto la pelle di agnello, in vestimentis ovium (Matth. VII, 15), come volpi eziandio gli appella (Cant. II, 15, Luc. XIII, 15). Tale per verità è stata sempre l’ordinaria condotta degli eretici. I Pelagiani, per esempio, negavano la necessità della grazia di Dio, e riconoscevano nell’umana natura forze ch’essa non ha; ma, stretti da superiori ecclesiastici, confessavano in loro presenza la grazia essere necessaria alla salute. La qual cosa per altro non distoglievali dal dire segretamente a loro discepoli, la grazia altra cosa non essere che la natura, onde il Signore aveaci fatto un dono puramente gratuito. Altri settarii negavano la risurrezione de’corpi; e mantenevano sola l’anima risorgere quand’è giustificata. E domandati in pubblico di loro credenza in ordine alla risurrezione, e in più particolar modo in ordine alla risurrezione della carne, rispondevano ortodossi, ma in privato poi e al cospetto dei loro addetti affermavano aver voluto dire che sola l’anima risorge nella carne nel momento che è giustificata.
Così è avvenuto della maggior parte degli eretici. Nulladimeno tutte le sette sono d’accordo in generale in riconoscere una Chiesa Cattolica, ministri legittimi, l’autorità de’libri delle sante Scritture, o per lo meno alcuni di essi. Vero è che costituiscono sé medesimi in Chiesa Cattolica: i loro ministri ne sono i legittimi sacerdoti; la interpretazione ch’essi danno delle Scritture è la vera e l’ortodossa. Ma, se dobbiamo dire la verità, e non presentano che un’ombra, che un fantasma della Cattolica Chiesa, del sacro suo sacerdozio e dell’autorità infallibile che in essa risiede per dichiarare e proporre il vero senso delle divine Scritture.
Molto è adunque necessario che chi gli ascolta, tengasi in guardia dalla seduzione. A tal fine io debbo, Madama, indicare a Vostra Maestà due espedienti, l’uno de quali sembrami ottimo, e l’altro non al tutto cattivo.
Il primo mezzo che propongo a fine di premunirci dalle seduzioni dell’eresia, è di ben intendere non appartenere né a Vostra Maestà né ad alcun altro principe temporale il trattare i negozii attinenti alla Fede, perch’essi non hanno la potestà di definire tal maniera controversie, e perché d’altra parte non sono esercitati a veder fondo in queste sottigliezze ed astrazioni. E se giusto è, come dice il proverbio, che ciascun artiere tratti le cose dell’arte sua (Tractent fabrilia fabri), conviene anche lasciare ai preti il diritto d’occuparsi del negozii della Religione: conviene precipuamente lasciare al Sommo Pontefice ed al Concilio Generale decidere le cose delle Fede, causae majores, che a loro unicamente competono.
Ora adunque una Sinodo Ecumenica è aperta, né legittimo sembrami né convenevole il tenere particolari assemblee. Per questa ragione i Padri del Concilio di Basilea vietarono che la loro unione durante ed anche sei mesi prima, non si convocasse verun Concilio provinciale.
Ecco adunque il primo mezzo che ho a proporre alla Maestà Vostra, mezzo di tutti il migliore e più concludente. Si dovrebbono mandare a Trento i Prelati, i Teologi, e tutti i religionari qui presenti. Quel Concilio è il convegno dei dotti di tutti i paesi. Egli ha per diritto certo l’infallibile assistenza dello Spirito Santo; la qual cosa non si può certamente sperare in queste particolari sessioni.
I dottori della nuova religione, se tuttavia, come ne menano vanto, hanno sincera voglia di conoscere la verità, possono recarvisi con perfetta sicurezza. Il Sommo Pontefice darà loro salvocondotti e tutte le necessarie guarentigie. Sebbene, a dir vero, io non penso che desiderino d’essere istruiti, ma sì più veramente d’istruire o d’indirizzare gli altri e di spander in ogni luogo il veleno delle loro dottrine. Infatti, invece d’ascoltare gli oracoli e i pastori della Chiesa, noi li vediamo premurosi di predicare essi medesimi e di proferire interminabili dicerie.
Riguardo al secondo mezzo, che, senz’essere buono, non è cattivo, eccolo: Poiché Vostra Maestà per indulgenza verso i moderni Settari, e per far prova di guadagnarli ha voluto permettere queste conferenze, domanderò ch’esse si tengane alla presenza di persone istruite soltanto; imperocché non sarebbevi per queste persone pericolo niuno di pervertimento; ché anzi esse sarebbono capaci di convincere e d’illuminare gli spiriti accecati piuttosto dall’errore che traviati per caparbietà di orgoglio. Di che anche questo vantaggio ne verrebbe che a Vostra Maestà ed a questi onorevoli signori risparmierebbesi il fastidio di lunghe e intricate discussioni.
Tuttoché abbia promesso in secondo luogo di rispondere ad alquante obiezioni, nulladimeno non lo credo necessario, poiché, grazie all’illustrissimo Cardinal di Lorena e alla dotta argomentazione di molti maestri, i fautori della nuova religione sono stati sufficientemente convinti di menzogna, principalmente in quello che concerne l’asserita loro missione e la professione da essi fatta di non riconoscere veruna verità, ove non sia contenuta in espresse parole nelle Divine Scritture. Assai poco adunque mi rimane da aggiungere.
Obiettano i nostri avversarii che i Vescovi assunti a prelatura per simonia non sono legittimi pastori:al che rispondo con quanto è stato definito e così ben definito sopra questo punto. Supponete pure che abbiavi realmente qualche prelato simoniaco, che non sia entrato per la vera porta nell’ovile di Gesù Cristo, e che, per conseguenza, divenga agli occhi di Dio riprensibile e colpevole: nulla dimeno finché non sarà stato convinto e dichiarato reo nel foro esteriore, egli è legittimo Vescovo agli occhi de Fedeli e della Chiesa, la quale degli interni segreti della coscienza non giudica. Iddio medesimo, per quello che riguarda l’amministrazione dei sacramenti e l’esposizione della vera dottrina, valerassi del ministero di prelato indegno come di quello degli altri Vescovi buoni e fedeli: imperocché il diritto di comandar nella Chiesa è una grazia concessa pel vantaggio altrui, ed il Signore non rende il mondo cristiano imputabile del peccati segreti di coloro che lo governano. 
Pietro Martire ha messo innanzi che sarebbe meglio che il popolo nominasse, come in antico, i propri pastori, di che si pare esser egli venuto qui piuttosto a dettare che a ricevere la legge. Vi sono state diverse maniere di elezione, non lo nego, ma in tutte vi ha avuto abusi; e ciò è verità irrepugnabile. Così i Papi erano eletti, un tempo, dal clero e dal popolo Romano: poscia dal solo clero. Questo modo di elezione si pratica anche in oggi non solamente a Roma pel Papa, ma anche pei Vescovi in tutta l’estensione della Germania. In altri tempi, gl’imperatori designavano i Papi, come a nostri di i re di Francia e di Spagna nominano i Vescovi. Ora, in tutte queste guise di elezione, sonosi insinuati o poterono insinuarsi abusi. Infatti è per lo meno tanto facile il corrompere molti fra il popolo, come il guadagnare per vie illecite gli elettori ecclesiastici o i principi temporali. Ammessi questi fatti, sussiste egualmente il peccato di simonia.
Così, l’argomento che vuolsi dedurre dal pericolo di simonia nell’elezione del Vescovi, può essere anche adoperato contro l’elezione popolare e contro quella fatta dal principe, in nome del popolo ch’ei rappresenta, e di cui ha il presunto consenso.
Seguitano poscia i sofismi di Fra Pietro Martire per provare il mandato degli apostoli del nuovo Vangelo. Gli Apostoli, dic’egli, i Profeti hanno predicato senza aver ricevuto l’imposizione delle mani; e, nella guisa che la donna della legge Mosaica circoncide ella medesima il proprio figliuolo in caso di necessità, e come un Turco può, in egual caso, battezzare chi desidera di rendersi Cristiano; similmente, conclude egli, i nuovi dottori esercitano per necessità e legittimamente i ministeri della Chiesa, benché non sieno stati mandati dai superiori ecclesiastici, né sieno stati consacrati per l’imposizione delle mani. Innanzi tutto ho ben di che stupirmi che i nostri avversari si mettano a paro degli Apostoli e dei Profeti! I Profeti e gli Apostoli, lasciando stare la santità della vita, avevano mandato immediate da Dio. Ora il Signore non è obbligato d’ imporre le mani a suoi ministri. Egli può senza adoperare né materia né forma sacramentale, produrre l’effetto annesso a sacramenti. Oltracciò i profeti e gli apostoli niente predicarono che fosse opposto alle verità già rivelate: con gran numero di prodigi e di opere soprannaturali la loro missione confermarono, come degli Apostoli e di molti de Profeti vediamo scritto. Se alcuni di questi non operano miracoli, la profezia stessa, la quale è un effetto soprannaturale, era la prova del loro mandato. Quanto poi ai nostri predicatori, dov’è la santità della vita? e la dottrina ch’insegnano non è formalmente contraria alle verità come sono definite dalla Chiesa Universale?
Finalmente, poiché fra’ Pietro Martire ha esortato i suoi uditori a confessare la propria fede; anch’io, Madama, confesso tutto quello che ho detto della presenza reale di Gesù Cristo nell’Eucaristia in memoria della sua Passione. Confesso ciò essere una verità della fede cattolica per la quale, con la grazia del Signore, sono pronto a morire. Supplico adunque Vostra Maestà di difendere e di professar sempre la cattolica verità, come fa e di temere più Dio degli uomini. Allora questo supremo Signore proteggerà voi e il figliuol vostro, il Re Cristianissimo, conserveravvi il regno vostro temporale e daravvi l’eterno.
Se, per lo contrario, faceste minor conto del timore di Dio, dell’amor suo, e della fede in Lui, che del timore e dell’ amor degli uomini, non vi porreste forse a pericolo di perdere il regno spirituale insieme col terrestre? Spero da Dio Nostro Signore che non incoglieravvi tanta sventura. Aspetto anzi dalla sua Bontà che conceda a voi ed al figliuol vostro la grazia di perserverare. Non permetterà egli che una nobiltà come questa qui congregata, che un regno cristianissimo che fu esemplare e norma agli altri, abbandoni la Cattolica Religione. Non conviene che questo reame e questa nobiltà si lascino contaminare dalla contagione delle nuove sette e degli errori moderni».

(Jacques Augustin Marie Crétineau-Joly, Storia religiosa politica e letteraria della Compagnia di Gesù. Traduzione italaina del prof. G. Buttafuoco, Vol. I, Parma, 1845, 458-466)