Finis venit, venit finis
(Ezech 2,7)

Il 17 gennaio è morto il filofoso Emanuele Severino. Pur essendo professore di Filosofia all’Università Cattolica di Milano si palesò nel suo pensiero come grandemente lontano dalla dottrina della Chiesa. Tale distanza fu ufficialmente accertata e definita nel 1969 da una dichiarazione della Congregazione per la Dottrina della Fede (povero surrogato del più glorioso Sant’Offizio) fondata su uno studio condotto dal filosofo e teologo Cornelio Fabro, sacerdote stimmatino e tomista. Proprio con una tagliente citazione del Fabro, tratta da L’alienazione dell’Occidente (Genova, 1981), libro che contiene tre articoli indirizzati al Severino nel 1980 per rispondere alla richiesta di questi di discutere filosoficamente lo studio presentato alla CDF, che lo stesso Severino definì «[la] comprensione più penetrante e più “concreta”» del suo lavoro. Radio Spada, ribadisce anche in questa sede la sua fedeltà sostanziale al tomismo più intransigente e rigoroso (codificato dalle 24 tesi neotomiste approvate da Papa Benedetto XV), unica vera zattera di salvataggio del filosofia perenne nel grande mare del nulla contemporaneo.

«Posso ripetere, a distanza di quasi tre lustri e dopo la quasi raddoppiata produzione severiniana ch’è passata dalla temperata produzione milanese in casa dell’Univeristà Cattolica all’esplosione atea veneziana […], che il fondo del suo pensiero non è mutato perché il fondamento è rimasto il medesimo: antimetafisico sotto l’aspetto teoretico, anticristiano anzi amorale e ateo (come già avevo indicato nel 1969) sotto l’aspetto etico-religioso. […] Una volta che si riconosca come si deve, e lo riconosce a suo modo anche Severino, la deviazione essenzialistica in cui è finita non solo la metafisica occidentale ma la stessa filosofia moderna dell’immanenza, il compito del pensiero nel futuro deve essere quello di penetrare l’esigenza autentica di quella proclamata immanenza traendola dentro il problema essenziale del pensiero, ch’è la fondazione dell’ente nell’atto di essere (esse, actus essendi) e del finito nell’Infinito: chiarendo così i principi della «metafisica dell’Atto», non come una figura culturale isolata, ma come la sostanza perenne dell’umano filosofare in cui si dileguano le manchevolezze e le deviazioni dei sistemi».