Riprendiamo da Fsspx.news questo articolo originariamente intitolato “La fallimentare difesa del celibato sacerdotale di Benedetto XVI” che volentieri aggiungiamo alle altre pubblicazioni di Radio Spada sul tema:
- 8 punti: perché l’operazione ratzingeriana sul celibato è sostanzialmente inutile, se non dannosa
- Bagarre in Vaticano. Fonte: “Ratzinger non ha scritto libro a 4 mani con Sarah”. Ma il cardinale pubblica lettere
- Salvate il soldato Sarah. Operazione-celibato finisce male. Gaenswein: «No a Ratzinger coautore e a firma conclusioni»
- In estrema sintesi: come è finito il pasticcio del libro Ratzinger-Sarah e come sarà firmato
- Infine un post d’aggiornamento sulla pagina FB di RS sulla copertina dell’edizione italiana coi due nomi.
di Fsspx.news
Il 15 gennaio 2020 ha visto la pubblicazione – altamente pubblicizzata – del libro scritto da Benedetto XVI e dal cardinale Robert Sarah intitolato Des profondeurs de nos cœurs (ed. Fayard). La baraonda mediatica non è dipesa dagli autori, ma dall’intervento sospetto dell’arcivescovo Georg Gänswein, prefetto della casa pontificia e segretario personale del papa emerito.
Il libro, che si presenta come una difesa del celibato sacerdotale, consiste in un’introduzione e una conclusione firmata dai due autori e in un testo personale di ciascuno di essi. Questa recensione si concentra sul testo di Joseph Ratzinger.
Una grave deviazione nell’interpretazione della Bibbia
Il contributo dell’ex papa è diviso in due parti. Il primo vuole «mettere in luce la struttura esegetica fondamentale che consente una corretta teologia del sacerdozio». Si tratta di superare il «difetto metodologico nell’accoglienza della Scrittura come Parola di Dio», all’origine dell’attuale crisi del sacerdozio. La confessione è grave, provenendo da un ex prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede.
Denuncia al riguardo «l’abbandono dell’interpretazione cristologica dell’Antico Testamento» che «ha portato molti esegeti contemporanei a una teologia senza culto». Tanto che «alcuni sono giunti persino a rifiutare la necessità di un sacerdozio autenticamente cultuale nella Nuova Alleanza».
Anche l’ex Papa fa un mea culpa su questo punto, precisando che, in una conferenza sul sacerdozio tenuta nell’immediato post-Concilio, ha creduto «di dover presentare il presbitero neotestamentario come colui che medita la Parola e non come “artigiano del culto”». Per correggere questa grave deviazione, Benedetto XVI difende oggi un’esegesi dell’Antico Testamento incentrata su Cristo.
Un’esegesi prigioniera del suo tempo
L’analisi del Papa Emerito, piuttosto difficile da seguire, utilizza considerazioni storiche sulla relazione tra i dati del Nuovo Testamento e il sacerdozio dell’Antico Testamento. Usa la nozione di “ministeri” – designata dai termini di apostolo, vescovo e presbitero- che ha ricevuto molta attenzione tra i teologi moderni, al seguito dei protestanti, e da una presunta prospettiva ecumenica.
Joseph Ratzinger descrive la sostituzione del Tempio con il corpo di Gesù Cristo, l’istituzione di un nuovo culto durante l’Ultima Cena e la formazione della gerarchia della Nuova Alleanza, che sostituisce il sacerdozio dell’Antica Alleanza .
Ma, osserva, il vecchio sacerdozio era ereditario, il che non è più il caso del sacerdozio che Cristo ha trasmesso alla sua Chiesa. È una prima difficoltà che obbliga ogni generazione a pregare per ricevere da Dio le vocazioni di cui la Chiesa ha bisogno.
E, aggiunge con pertinenza, «un’ulteriore questione direttamente legata a questo problema. Ben presto (…) andò sviluppandosi come essenziale per la Chiesa la celebrazione regolare e addirittura quotidiana dell’Eucaristia. (…) Questo, però, ebbe una conseguenza importante che proprio oggi assilla la Chiesa». Riguarda la questione del celibato ecclesiastico.
Il Papa Emerito sottolinea giustamente che «i sacerdoti [della Vecchia Legge] e avrebbero dovuto attenersi all’astinenza sessuale nei periodi in cui esercitavano il culto e dunque stavano in contatto con il mistero divino. Il rapporto tra astinenza sessuale e culto divino era assolutamente chiaro nella coscienza comune di Israele». Cita il famoso passaggio del primo Libro di Samuele in cui il sommo sacerdote Achimelek, una volta assicuratosi che Davide e i suoi uomini soddisfino questa condizione, accetta di dare loro i pani consacrati come cibo.
Ma i sacerdoti dell’Antico Testamento esercitavano il loro sacerdozio solo per periodo. Di conseguenza, «matrimonio e sacerdozio risultavano senz’altro tra loro conciliabili». Tuttavia, per i sacerdoti del Nuovo Testamento, che assolvono quotidianamente il loro incarico, la cosa diventa impossibile: «Sulla base della celebrazione giornaliera dell’Eucaristia, e sulla base del servizio per Dio che essa includeva, scaturì da sé l’impossibilità di un legame matrimoniale».
Questa spiegazione, abbastanza corretta, è ben accetta. Ha una certa forza a favore del celibato sacerdotale. Joseph Ratzinger ha anche chiarito che il celibato è antico quanto la Chiesa, perché «i sacerdoti sposati potevano ricevere il sacramento dell’Ordine se si fossero impegnati all’astinenza sessuale». Ciò è stato dimostrato da numerosi studi.
Culto in spirito e in verità
La seconda parte dello studio di Benedetto XVI è dedicata all’analisi di tre testi scritturali che illustrano le esigenze del «culto in spirito e in verità» (cfr Gv 4, 23-24). L’autore presenta questa parte nel modo seguente: «L’atto cultuale passa ormai attraverso un’offerta della totalità della propria vita nell’amore. Il sacerdozio di Gesù Cristo ci fa entrare in una vita che consiste nel diventare uno con lui e nel rinunciare a tutto ciò che appartiene solo a noi. Per i sacerdoti questo è il fondamento della necessità del celibato (…)».
Il primo testo è tratto dal Salmo 15 (versetti 5 e 6) le cui parole, ricorda Joseph Ratzinger, «prima del Concilio Vaticano II erano utilizzate per l’accettazione nel clero». Ecco il testo: «Dominus pars hereditatis meae et calicis mei, tu es qui restitues hereditatem meam mihi», che ogni sacerdote tradizionale conosce a memoria. «Il Signore è la parte della mia eredità e del mio calice; sei tu che mi restituirai la mia eredità».
Nell’antica legge, questo salmo ricordava il fatto che la tribù di Levi, da cui provenivano i sacerdoti, non aveva possesso territoriale nella Terra Promessa, a differenza dei membri di altre tribù. Il motivo è che era consacrato a Dio, dedicato al servizio nel tempio e che Dio stesso era la sua eredità. Nella nuova legge, questo versetto esprime l’accettazione nella comunità sacerdotale.
Il secondo testo è tratto dalla Preghiera eucaristica II della Novus Ordo Missae, ma in realtà è una citazione del Deuteronomio, capitoli 10, 8 e 18, 5-8. Si tratta per la tribù di Levi di «stare davanti al Signore al suo servizio». Il Papa Emerito ne fa una lunga spiegazione e applicazione al sacerdozio cattolico.
Il terzo testo è tratto dalla preghiera sacerdotale di Cristo, riportata nel capitolo 17 del Vangelo di San Giovanni. Joseph Ratzinger commenta in particolare il versetto 17: «Consacrali [santificali] nella verità». Per il Papa Emerito, queste parole illustrano in modo particolare il risultato dell’ordinazione sacerdotale: poiché Cristo è la Verità, il sacerdote per la sua ordinazione è immerso in Gesù Cristo. Ciò significa che il sacerdote deve diventare un tutt’uno con Cristo, che deve essere purificato e invaso da Lui, «così che è Lui a parlare e agire» nel sacerdote.
Un’errata teologia del sacerdozio
Nelle circostanze attuali, Papa Ratzinger ha il merito e il coraggio di difendere il celibato ecclesiastico. Si oppone a tutti coloro che vorrebbero eliminare questa disciplina che fa parte della tradizione apostolica e che è profondamente radicata nel sacerdozio che Cristo ha trasmesso.
Tuttavia, nella presentazione della prima parte, l’ex Papa rimane dipendente da un approccio moderno, per non dire modernista.
In effetti, la teologia del sacerdozio fu mirabilmente portata alla luce durante il Concilio di Trento per sconfiggere il protestantesimo che lo attaccava. Ma i modernisti hanno rifiutato questa dottrina tridentina e, in nome dell’ecumenismo, hanno sviluppato una nuova teologia del sacerdozio e della messa che è stata sancita dal Concilio Vaticano II.
L’aspetto sacramentale e l’aspetto cultuale, che sono note costitutive del presbiterato, sono d’ora in poi affidati a tutto il Popolo di Dio, rivestito del sacerdozio “comune”. Tutta la Chiesa è responsabile dell’evangelizzazione, quindi il sacerdote deve essere considerato un ministro di questo Popolo e la sua funzione è quella di rappresentare il Cristo-Capo. Questa è la teologia della nuova messa.
Benedetto XVI dipende da questa teologia, che ha sviluppato e vissuto, il che lo porta a affermazioni completamente deplorevoli. Quindi rifiuta di considerare la Croce di Gesù come un vero sacrificio e quindi come un atto di culto. Il Papa Emerito scrive: «La crocifissione di Gesù in sé non è un atto di culto». La ragione che dà è assurda: «i soldati romani che la eseguono non sono dei sacerdoti. Essi compiono un’esecuzione, ma non pensano neanche lontanamente di porre un atto di culto».
Questo è precisamente dimenticare che è Cristo che pone – e solo lui – questo atto di culto: è sia il Sommo Sacerdote della Nuova Legge sia la Divina Vittima, l’unico degno di essere approvato da Dio. La proposta di Benedetto XVI rientra inoltre nella condanna del Concilio di Trento: «Se qualcuno dice che il sacrificio della messa è solo un sacrificio di lode e ringraziamento, o semplice commemorazione del sacrificio compiuto sulla croce (…): che sia anatema» (sessione XXII, 17 settembre 1562, Denzinger 1753). La morte di Gesù Cristo sulla Croce è stata un vero sacrificio. Il sacrificio è il principale atto di culto dovuto a Dio. Sulla croce, quindi, c’è un vero culto, compiuto solo da Cristo.
Un altro canone dice allo stesso modo: «Se qualcuno dice che, con il sacrificio della messa, si commette una bestemmia contro il sacro sacrificio di Cristo compiuto sulla croce (…): che sia anatema» (Dz 1754). Negare che la Croce sia un atto di culto è incomprensibile.
D’altra parte, i moderni affermano che il Nuovo Testamento attribuisce il sacerdozio solo a Cristo o al Popolo dei battezzati, ma mai ai suoi ministri. In questo modo, sostengono che questo sacerdozio deriva dal Popolo Sacerdotale, che è un ministero del Popolo di Dio.
L’ex papa aderisce a questa falsa concezione. Dopo aver descritto l’aspetto cultuale dell’ultima cena e aver negato quello della Croce, scrive: «In tutto ciò, non si tratta mai direttamente del sacerdozio». Va di nuovo contro il santo concilio di Trento che afferma: «Se qualcuno dice che con queste parole: “Fate questo in memoria di me” (1 Cor 11, 24-25) Cristo non istituì gli apostoli sacerdoti, o che non ordinò che loro e gli altri sacerdoti offrissero il suo Corpo e il suo Sangue: sia anatema» (Dz 1752).
Il sacerdozio cattolico
La nozione di sacerdozio “comune” che è stata sviluppata nel Concilio Vaticano II non ci permette più di comprendere la profondità del sacerdozio cattolico. Facendo affidamento su un testo di Pio XII distolto dal suo significato (Lumen gentium, 21 novembre 1964, n ° 10), il Concilio afferma l’esistenza di due autentici sacerdozi: il sacerdozio ordinato e il sacerdozio dei fedeli, che dipenderebbero ciascuno a modo suo del sacerdozio unico di Cristo, rappresentandoli entrambi.
Tale dottrina spiega da un lato le sempre crescenti esigenze dei laici nella partecipazione alla liturgia, di cui documenti di lavoro del “cammino sinodale” tedesco offrono attualmente un esempio. Spiega anche la crisi del sacerdozio e la sua tendenza al secolarismo. Non sorprende quindi che il celibato sacerdotale non sia più compreso, neppure dai sacerdoti.
Il contributo di Benedetto XVI al libro del cardinale Sarah fornisce indubbiamente giuste spiegazioni cercando di mostrare il legame intrinseco esistente tra sacerdozio e celibato. Ma non raggiunge pienamente il suo obiettivo, a causa del suo attaccamento a un’errata dottrina sul sacrificio, e quindi sul sacerdote, vero sacrificatore che segue Cristo: sacerdos alter Christus.
perché, la difesa del celibato sacerdotale pensavate che potesse venire da coloro che hanno voluto ‘questa’ chiesa, nella quale si rinnega il sacerdozio cattolico, per sostituirvi quello di ‘presidente’ dell’assemblea? Ripeto, ‘questa’ chiesa – di Bergoglio , Ratzinger o di
Sarah…non importa – sarebbe quella per la quale si compie la scelta del celibato in vista del regno dei Cieli???
B.XVI sembra vedere il sacerdozio cristiano come una continuazione di quello ebraico, con le note differenza del caso (es. ereditarietà e periodicità funzionale).. Cosa che mi giunge nuova. D’altro canto è chiaramente legato all’innovazione del Vaticano II (anche circa la celebrazione eucaristica).. Cosa che invece mi appare ovvia. Sembra discostarsi quindi da alcune teorie controriformiste del (vecchio) concilio di Trento (rivalutando peraltro il sacerdozio universale).
Ma si tratta solo di interpretazioni, più personali che ufficiali.. E, basata su tali premesse, è ovvio che la difesa del celibato risulti “fallimentare”.. ma solo perchè avrebbe dovuto esser basata su altri presupposti. Sui quali non mi soffermo, ma che sono comunque contingenti.. Che cioè dimostrano l’utilità del celibato dei preti, ma non certo l’indispensabilità.
I VERI MOTIVI IN PRO DEL CELIBATO ECCLESIASTICO, (Motivi che, in genere, sfuggono anche ai suoi APOLOGETI più ferrati-TESTO RIELABORATO A PARTIRE DA STUDI DI MONS.LEFEBRVE E DEL Cardinale Stickler- quest’ultimo ci scrisse a suo tempo un libro-).
I VERI MOTIVI IN PRO DEL CELIBATO ECCLESIASTICO:
1) Motivo di ordine METAFISICO (il più importante). Il prete è L’ALTER CHRISTUS. Gesù è Vergine, pertanto si conviene che il prete sia vergine, se proprio non anche di corpo (AUSPICABILE) almeno di spirito. Tale verginità di spirito è compatibile con il matrimonio?
La Chiesa che, da buona madre, conosce bene, anche grazie a Lumi Superni, la mentalità umana ha concluso per il NO, tranne situazioni particolari (che confermano la regola);
2)Motivo di ordine PRATICO: in tempo di persecuzione, il celibe è meno ricattabile.