Müller qualche anno fa, foto da qui

Posto che le intenzioni non si giudicano, ciò che sfugge al card. Müller (il cui disastroso governo alla Congregazione per la Dottrina della Fede resterà negli annali) è che è proprio l’approccio generale dell’infame e anticristiana Dichiarazione di Abu Dhabi a dover essere disprezzata.

Il proporato, in un intervento di media lunghezza su Kath.net, alterna precisazioni che paiono corrette sulla permissione divina (e altri temi) con frasi chiaramente eterodosse, producendo il solito mix modernista in cui in mezzo bicchier d’acqua – senza giudicare le intenzioni! – viene sciolto mezzo bicchiere di veleno mortale.

Ecco alcuni estratti. Dice Müller, contraddicendo – tra l’altro – il Sillabo:

Le autorità statali devono rispettare e garantire la libertà di religione, poiché è un diritto fondamentale nella natura dell’uomo, che deriva dalla sua dignità di persona.

Poi peggio:

Oltre alla formulazione individuale che può essere chiarita e protetta da incomprensioni, l’intenzione generale della Dichiarazione di Abu Dhabi deve essere apprezzata. È in linea con la lezione di Ratisbona di Papa Benedetto XVI, il cui messaggio fondamentale è che nessuno può invocare Dio per giustificare la violenza contro altri credenti. A quel tempo, molti studiosi islamici lo adottarono anche per la loro comprensione di Dio secondo il Corano.

C’è una fraternità che collega originariamente le persone in Dio Creatore. Differisce fondamentalmente nel cristianesimo e nell’islam dal pathos della fraternità della massoneria, perché si basa su un assottigliamento del concetto di Dio in un semplice codice. Cristiani, ebrei e musulmani, d’altra parte, sono convinti che – con tutte le loro differenze fondamentali – Dio è la pienezza dell’essere, senza la quale il mondo non avrebbe origine e scopo, e che senza Dio l’uomo sprofonderebbe filosoficamente ed eticamente nella palude del nichilismo avrebbe fatto.