
Ieri è uscita la notizia secondo cui il governo coreano (del Sud) avrebbe disposto il test per 200.000 membri della “chiesa Shincheonji”, che molti definiscono una setta.
Si tratta di un culto pseudocristiano con base in Corea, fondato nel 1984, i cui adepti credono che il loro capo (Lee Man-hee) rappresenti una seconda venuta di Cristo, sarebbe inoltre il solo a poter dare una corretta interpretazione delle metafore bibliche.
Questa “setta” è guardata con diffidenza anche in ambiente protestante, al punto che la Baptist Convention di Manipur ha messo sull’avviso i fedeli (‘Dangerous Korean cult’ Shincheonji sends Christians in Northeast into a tizzy).
Ma che è accaduto? In un tempo relativamente breve i casi di soggetti coreani positivi al coronavirus sono aumentati in maniera più che apprezzabile.
Scrive IlPost:
Secondo le informazioni al momento disponibili si pensa che più della metà dei casi sia legata alla congregazione Shincheonji di Gesù, un culto cristiano – qualcuno parla esplicitamente di una setta – con almeno 200mila seguaci. La Corea del Sud si trova quindi nella complicata posizione di dover gestire un focolaio sviluppatosi in un culto piuttosto particolare e riservato, senza sapere da quale rito o cerimonia sia partito il contagio e chi ci avesse partecipato.
Si aggiunge, citando il New York Times:
Sembra anche che i membri del culto considerino la malattia una debolezza, qualcosa che impedisce loro di praticare a pieno il loro culto, e che tendano quindi a nasconderla o quantomeno a provare a non considerarsi malati.
Non solo:
Al momento è certo che il culto ha fornito alle autorità la lista di 9.600 seguaci che si trovano a Daegu e che sono stati messi in quarantena nelle loro case, a prescindere dai sintomi. Non è invece chiaro se il culto abbia già effettivamente fornito la lista di tutti i suoi seguaci nell’intero paese. È anche possibile che il culto abbia fornito (o fornirà) solo una lista parziale (o quantomeno ritenuta tale dal governo): lo prova, per esempio, il recente sequestro di alcuni computer da una sede del culto. Si è anche saputo che uno dei funzionari di più alto grado che si stavano occupando della prevenzione del virus in Corea del Sud ha comunicato di essere membro del culto e di essere risultato positivo a un test per il coronavirus: è stato messo in quarantena domiciliare, così come altre decine di colleghi e funzionari con cui era entrato in contatto nei giorni precedenti. Casi simili hanno riguardato anche un poliziotto e una insegnante.
Su InsideOver si specifica:
Il super-diffusore del coronavirus è un membro della controversa setta religiosa citata: una donna di 61 anni che, a sua insaputa, avrebbe sparso l’agente patogeno a Daegu, una città che conta 2,5 milioni di persone, la quarta più grande del Paese per numero di abitanti. […] Ultimo particolare, forse il più agghiacciante: gli aderenti alla setta sono tenuti a rispettare vincoli di segretezza. In altre parole, i membri non rivelano di far parte della chiesa di Gesù Shincheonji. Il “Messia” Lee ha assicurato la massima cooperazione con il governo e ha pure fornito un elenco degli aderenti. Intanto, però, altri piccoli focolai connessi a gruppi religiosi sono emersi a Busan e Seul, capitale, quest’ultima, della Corea del Sud.
Se nessuno accusa i singoli di malafede, va però constatato che l’ambiente settario mal si concilia con la prevenzione delle epidemie.
“Shincheonji” e non solo, la Corea del sud é la nazione con una delle maggiori concentrazioni di creduloni del mondo.
Non per nulla é considerata la capitale mondiale del creazionismo.