dalla Relazione istorica del P. G. B. da Mondovì M. A. C. contenente il compendio della vita del Padre Tomaso da Calangiano Missionario Apostolico Cappuccino scritta da P. G. B. da Mondovì M. A. C.
Il Padre Tommaso trasse i suoi natali in Calangiano, paese situato nella Provincia di Gallura nell’Isola di Sardegna da onestissimi parenti; nel fonte battesimale venne chiamato col nome di Francesco Antonio; giunto all’età di circa dodici anni fu dai genitori applicato ad apprendere la professione di Farmacista, in cui fece in breve tempo gran progressi senza però aver dimenticato di praticar mai sempre quei santi sentimenti della Cattolica Religione istillatigli nella sua fanciullezza privatamente dai suoi genitori, e pubblicamente dai Sacri Ministri del Santuario: e siccome da altri imperscrutabili giudizj di Dio era chiamato ad altra più elevata professione, perciò giunto che fu all’età di diciotto anni, messi in non cale gli accarezzamenti dei suoi consanguinei, domandò, ed ottenne di essere ammesso nell’ordine dei Frati Minori Cappuccini.
Il Molto Reverendo Padre Provinciale dopo d’averlo esaminato intorno alla scienza e costumi, e conosciutolo il suo commendabile spirito, da cui veniva trasportato ad abbracciare un tant’austero Istituto, l’inviò ben tosto al Convento di Noviziato di Ploaghe con lettera commendatizia al Padre Maestro dei Novizj, il quale dopo qualche giorno lo vestì del Sacro Abito; e sebbene il nome di Francesco Antonio, che aveva sortito nel Santo Battesimo gli fosse stato cangiato nel ricevimento del Sacro Abito in quello di Tommaso, ciò non ostante mantenne mai sempre una particolare devozione verso questi due gran Santi ed in special modo verso la Gran Madre di Dio.
Compito l’Anno della probazione venne traslocato in un Convento di studio per ivi dar principio alla solita carriera letterale di sette anni, e per apprendere quelle necessarie scienze, che ancor non possedeva, e che sogliono formare uomini capaci nell’Apostolico Ministero.
Finito il corso dei suoi studj venne rigorosamente esaminato, ed approvato per la predicazione della divina parola nel Convento di Sassari: e siccome per esser iniziato Sacerdote non basta d’aver la capacità, ma richiedonsi bensì anco l’età dal Sacro Concilio di Trento stabilita, per il che non essendo egli ancor giuntò a tal età, i superiori gli ottennero la dispensa di tredici mesi.
Promosso quindi al Sacro Presbiterato, ognuno può immaginarsi di qual istraordinario giubilo andasse il di lui cuore ripieno, da cui trasse poi maggior campo onde più facilmente effettuare le sue ardenti brame che serbava di andare a dilatare la Cattolica Religione tra gli Infedeli, e di spargere il proprio sangue ad esempio dei Santi Martiri.
Ed infatti, dietro alla di lui richiesa, la Sacra Congregazione de Propaganda Fide, l’esaminò intorno alla sua capacità, lo ascrisse al numero dei Missionarj Apostolici, lo munì delle necessarie facoltà, e gli accreditò col pieno consenso del Reverendissimo Padre Procuratore Generale dell’Ordine la lettere ubbidienziale per recarsi alla Missione della Siria in un col Padre Francesco da Ploaghe e Padre Bonaventura da Sassari. E siccome la Francia godeva già sin d’allora lo specioso titolo di proteggitrice della Cristianità in Oriente, ed assai premevale che venissero inviati soggetti zelanti onde procurare l’aumento della Cattolica Religione in quelle barbare regioni, per il che lo stesso Governo sotto Napoleone gli somministrò una sufficiente somma per gli occorrenti del suo viaggio.
Nel dì 15 di gennajo dell’anno 1807 partì da Roma alla volta di Livorno unitamente ai precitati Padri, ove nel dì 26 di marzo s’imbarcò con essi loro in un bastimento Danimarchese diretto per Cirpo e Seida. Finalmente dopo un viaggio di giorni 25 giunse in Seida (Sidone) di dove partì alla volta di Damasco, ove giunse il dì 14 aprile del precitato anno. Appena colà giunto presentossi al Padre Roberto da Quimbert di nazione Francese allora Prefetto della Missione di Siria. Tosto che conobbe di potersi far intendere in lingua indigena si mise a predicare con gran zelo non solamente negli Avventi e nelle Quaresime, ma eziandio infra l’anno. Era attento nell’adempimento dei suoi doveri, celebrava ogni giorno la Santa Messa, attendeva per quanto possibile all’orazione, era assiduo nello ascoltare le confessioni, nel catechizzare ed istruire gli ignoranti non solo in Convento, ma anche nelle case dei secolari di varie nazioni ove giornalmente recavasi. e se gli veniva nota qualche dissensione in qualche famiglia, correva prestamente a mettervi la concordia: consolava gli afflitti, e per quanto fosse affabile con tutti, altrettanto era pronto, e severo per riprendere i viziosi: era liberale verso i poveri, ospitale, cortese, e chiunque a lui fossesi presentato per ottener qualche favore, s’adoprava con ogni studio onde compiacerlo; e tanto era acerrimo nel difendere le Ecclesiastiche Leggi che avrebbe piuttosto sacrificato la propria vita prima di cedere: in prova di ciò s’adduce un fatto memorando raccontato più volte da quei Padri Minori Osservanti di Terra Santa che allora dimoravano nel loro convento di Damasco, di cui ne sono stati testimonj oculari. Capitò un certo viandante soggetto Francese, il quale aveva la sua moglie vivente, ma per contendere certi suoi capricci usava ogni industria, tentava ogni mezzo per isposarne un’altra, ma tutti i suoi attentanti riuscivano indarno: quindi per potere più facilmente riuscire nel proprio intento, pensò alla fine di prevalersi, o per meglio dire d’abusarsi della rara bontà di Padre Tommaso, coll’obbligarlo per forza ad accondiscendere alle sue indegne domande. Ed infatti, a tal oggetto recossi un giorno al Convento del padre Tommaso mentre questi trovavasi sul terrazzo: gli si presentò con aria arrogante ed imponente, e dopo aver infastidito fortemente con sordidi sofismi, raggiri e minacce, onde piegarlo a congiungerlo in illecito matrimonio, e vedendo ogni vie più costante nello stato di negativa, montò in furia, diede di piglio, e sguainò la sciabola alzando il braccio per colpirlo: allora Padre Tommaso si mise in ginocchio, e con magnanino coraggio, e con intrepidezza, gli disse: “Se voi volete uccidermi pel motivo che difendo le Ecclesiastiche Leggi, uccidetemi pure che vi perdono”, ed apprestandogli il collo, “Eccovi, disse, eccovi il mio collo, tagliate, fate di me quel che volete, ma sappiate però, che a Dio non mancherà il mezzo per farvi pagare il fio della vostra colpa”.
Frequentava assai gli Ebrei, e dimostravasi affabile con essi loro, e molto confidava nella Divina Provvidenza per poterli guadagnare a Dio, come più volte s’era apertamente espresso.
Visitava amorevolmente gli ammalati, li consolava con le sue buone maniere, ed essendo poveri loro somministrava quelle limosine, che il proprio stavo gli permetteva: anzi, siccome s’intendeva d’arte medica, perciò moltissimi erano quelli, a cui dava gratuitamente i medicamenti.
Memorabile si era la gran fama che godeva appresso tutti gli abitanti di Damasco, specialmente dei Turchi degli Ebrei: non vi era famiglia Turca che non lo chiamasse a curare i proprj infermi, moltissime sono state le difficili guarigioni che degnossi Iddio di operare mediante l’opera del suo fedel servo Padre Tommaso. un gran numero di periclitanti bambini sono stati da lui battezzati, quelli poi nello stato di innocenza ebbero la felice sorte di andare a godere la Beata Eternità. Tanta era la stima che godeva appresso ai Turchi d’ogni condizione, che a suo riguardo veniva messo da banda ogni pregiudizio di gelosia da cui vanno ognor ingombri: gli davano una piena liberà d’introdursi perfino in quelle segrete camere a visitare, e parlare colle loro proprie donne, ove veniva, e viene onninamente inibito l’ingresso persino ai più stretti parenti. Che più? perfin quello stesso Pascià che ebbe poi a formare il Processo verbale contro i di lui uccisori, soleva dire ai suoi, che appena intesa la voce del padre Tommaso corressero a spalancargli le porte, dandogli senz’altro l’ingresso ovunque.
Quanto attendesse a richiamare alla retta strada gli erranti, varj sono stati i casi in cui si segnalò, ma per maggior brevità vien notato soltanto il seguente.
Abitava in quel tempo nella Città di Damasco un certo Europeo di Trieste con la moglie, figli e figlie. Avene a questi un dì di dover litigare per non so qual motivo con uno Scek Turco, e durante la lite, si lasciò sfuggire dalla bocca qualche incauta parola contro lo Scek: tanto bastò per essere accusato al Cadi come bestemmiatore di Maometto; un pretesto si è questo di cui servonsi ordinariamente per aggravar la pretesa colpa dell’accusato. Il Triestino temendo fortemente d’essere ammazzato, presentossi spontaneamente al Tribunale detto Makhame, rinunciò alla Cattolica Religione e si fece Turco: ma non bastando questo trattavasi di più di far passare al Maomettismo tutta la famiglia; di ciò appena informato il Padre Tommaso, poco mancò di cadere svenuto pel gran crepacuore da cui sentissi ingombrato: quindi a forza di fervide ammonizioni ed esortazioni lo ridusse a nuovamente abiurare l’Islamismo e ritornare nel grembo della Santa Madre Chiesa; che però se prima poteva aver una qualche ombra di temere d’essere ucciso per aver soltanto pronunziata qualche incauta parola, a fortiori poteva fondatamente aspettarsi d’essere irremissibilmente massacrato per essere ritornato al Cristianesimo. Per la qual cosa, il padre Tommaso compassionando il di lui misero stato, e della sua famiglia, di perfetto accordo col padre Francesco da Ploaghe, cercò il mezzo di mettere in salvò lui colla sua famiglia. Che fece? trovò un fedele e sicuro Muccaro (Vetturale) lo pagò bene affinché fosse maggiormente puntuale in eseguir i suoi ordini: donò altro a ciò anche il bisognevole pel viaggio a tutta la famiglia: insomma tutto a proprie spese lo fece segretamente partire e condurre in un colla famiglia in un Villaggio detto Zahle situato nel Monte Libano in allora sicuro asilo pei Cristiani stante che era sotto la giurisdizione di Sua Eccellenza l’Emir (Principe) Biscir nella sua origine Turco, ma per mezzo dei Padri Cappuccini Missionarj era passato alla Cattolica Religione tra la nazione Maronita; questi lo tenne perfettamente salvo da ogni persecuzione siccome aveva già tenuto molti altri colà mandati pel medesimo fine dai Padri Missionarj Cappuccini. In una parola: quanto fosse grande la sua carità di cui ardeva verso il prossimo, ne diede chiare prove di fatto in varie circostante, fra le altre d’essersi esposto ad assistere gli appestati nei varj anni in cui tanto infieriva, che riduceva la Città di Damasco quasi affatto spopolata.
Inoltre il Padre Tommaso stante la sua particolare perizia era tenuto qual principale Professore nella propagazione del vaccino, e non solamente tutti gli abitanti di Damasco, Cristiani, Turchi, Ebrei e d’altre Sette, ma eziandio quei dei circonvicini villaggi ricorrevano a lui solo. I poveri a lui ricorrevano per motivo d’interesse. I ricchi per la particolar fiducia che in lui avevano.
Finalmente, quel Dio profondissimo scrutinator dei cuori, che non lascia mai infruttuosi i voti di chi in lui vivamente confida, permise, che quegli stessi perfidi individui, che quali amati agnellini erano dal Padre Tommaso accarezzati a fine di tirarli all’eletto gregge, vestissero sotto il mentito sembiante d’agnelli, la pelle dei rabbiosi lupi affiorandosi sopra di lui per pascersi del suo proprio sangue, come vedrassi di fatti in seguito nel Processo Verbale.
La sera del 5 di febbraio 1840 il Padre Tommaso fu inviato da un certo Daud Arari di nazione Ebrea sotto mentito pretesto d’andargli a vaccinare in casa sua un ragazzo: vi andò il buon Padre: ma che! quasi appena entrato nella casa videsi avventare addosso sette o otto masnadieri come tanti arrabbiati lupi impazienti di portargli le zanne addosso: appena impossessatisene gli legarono la bocca con un fazzoletto, ed egualmente le mani dietro il dorso, lo gettarono a terra, e lo scannarono impossessandosi del suo sangue per quindi servirsene nelle Feste degli Azzimi, secondo si è saputo dalle loro proprie confessioni.
fonte: sardegnadigitallibrary.it
Vedi anche The Damascus Affair: una nuova ipotesi