Sintesi della 580° conferenza di formazione militante a cura della Comunità Antagonista Padana dell’Università Cattolica del Sacro Cuore in Milano, non tenuta in seguito alla chiusura dell’Ateneo causa epidemia di coronavirus.

Relatore: SIlvio Andreucci (testo raccolto a cura di Piergiorgio Seveso)

La misericordia verso colui che devia dalla via indicata da nostro signore Gesù non deve esimerci dal denunziare gli errori dottrinali.

Guida imperitura alla retta via, alla vita, alla verità sono gli imperituri insegnamenti della filosofia patristica, scolastica, del magistero ecclesiastico, almeno preconciliare,

La contingenza e la finitudine che gnosticismi vecchi e nuovi, esoterismi, spiritismi vari intendono censurare, costituiscono invece segno della grandezza e miseria al contempo dell’uomo. Della sua miseria nella misura in cui l’ essere nell’uomo non è autosufficiente ma partecipazione dell’ipsum esse divino; della sua grandezza nella misura in cui, a differenza del bruto, in quanto consapevole del limite, l’uomo si apre all’invocazione della grazia soprannaturale. Ben più misero è colui che censura la morte, che pronunzia il non serviam.

L’aporia di Severino è la medesima che si accompagna ai sistemi che negano il divenire, per non fare i conti con esso.

Secondo la sana dottrina tomista vi sono quattro modi dell’esse possibile (attualmente non è), contingente (potrebbe non essere), impossibile e necessario

Se nell’eraclitea intrascendibilita del divenire trionfa lo sradicamento e la non intelligibilità dell’ente, nell’identita astratta parmenidea o neoparmenidea di Severino si configura una pseudo intellegibilità.

Relegare il divenire nell’ambito della doxa o della conoscenza onirica non significa spiegarlo, bensì rinunziare a fare i conti con esso.

Ancor più grave è attribuire l’eternità al finito immanente, quando essa invece compete solo al Divino trascendente.

Se apparentemente Severino può”cavarsela” ancora identificando possibile e necessario, le contraddizioni del suo monismo esplodono allorché pretende di eludere il problema del contingente.

Severino fu allievo di Bontadini, sia l’uno che l’altro hanno contribuito alla deviazione del tomismo come “philosophia perennis”

Peraltro nel 1964 apparve sulla “Rivista di filosofia neoscolastica” un articolo di Severino “Ritornare a Parmenide”: esso è da intendersi un po’ come il completamento della “struttura originaria, manifesto vero e proprio della concezione neoparmenidea di Severino”.

Severino recepisce sì il principio metafisico di non contraddizione ma lo intende alla maniera parmenidea: l’essere è necessariamente,non può non essere.

Aristotele approfondisce, affermando che l’essere è nella misura in cui esiste,supera dunque l’astratta e monolitica ontologia parmenidea.

Parmenide identificando l’essere in una massa immobile eterna non aveva dato ragione dell'”alterità”, della “distinzione”, della”relazione”, del”divenire”. identificando l’essere con l’uno non aveva dato ragione del fatto che l’essente è uno, non altro-da-sè, ma altro comunque rispetto gli enti con cui si relaziona.

Si era generata in seguito all’articolo pubblicato dal Severino sulla “Rivista di filosofia neoscolastica” una falsa polemica con il suo maestro Bontadini.

Bontadini assegnava all’ente diveniente la definizione di “possibile metafisico” e Severino quella di “negativo fenomenologico” (non potendosi predicare con certezza il “provenire di qualcosa dal nulla” o il “suo andare nel nulla” visto che all’essente competerebbe l’eternità) , ma concordavano in effetti molto più di quanto discordassero.

Bontadini concordava con Severino molto più di quanto non sospettasse sulla natura dell’atto Divino: “creatore” in quanto “tappabuchi”, creando elimina i”buchi” che lo “stacco ontologico” tra non-essere precedente ed essere successivo comporta.

Innestando la concezione parmenidea sulla neoscolastica, viene persa di vista la “philosophia perennis”.

Travisato il lecito concetto peculiarmente tomista di “actus essendi (rimando alle profonde osservazioni che vi ha dedicato il compianto dottore Andrea Dalledonne in “Valenze etico-speculative del realismo metafisico, Edizioni Marzorati).

Parmenide e Severino mummificano e rendono monolitico l'”actus essendi” che conferisce l’atto primo fondamentale; l’actus essendi è a fondamento dell’esistenza ma non può essere empiricamente e riduzionisticamente identificato con l’esistenza né tantomeno con l’esperienza sensibile.  

Ma è altrettanto vero che l”actus essendi” non può essere concettualizzato, esso non viene portato a presenza attraverso il “giudizio predicativo” e la sua prensione avviene solo tramite il giudizio di esistenza.

Nella metafisica dell’identità tutto avviene come se esistessero solo atti eterni, sostanziali e immobili.

Invece l'”actus essendi” fonda tutti gli”atti secondi” e accidentali (agire, pensare, provar emozioni, etc).

Fra gli atti eterni di cui parla Severino non può esservi correlazione, non si configura mescolanza di potenza ed atto, nè nozione della potenzialità di un ente a tradursi in altro-da-sè.

Dunque il blocchetto di legno non è in potenza la cenere né un ingrediente del tavolo, come vuole la fisica aristotelica tomista che danno del divenire una spiegazione per analogia.

Per Severino non si può accogliere la spiegazione analogica, dunque il divenire va relegato nell’ambito del negativo fenomenologico, perché di esso non si avrebbe esperienza diretta; nella prospettiva del nostro non sperimentiamo il passaggio dalla potenza (blocchetto di legno) all’atto (cenere), ma solo due atti distinti, monadici, senza correlazione, quello del blocchetto e quello della cenere.

Dopo Parmenide non vi sarebbe che la barbarie e così Severino spazza via ben due millenni di storia, cultura e civiltà

L’ Occidente si è ammalato, obliando Parmenide e il pensiero eterno immutabile coestensivo all’essere.

Con la pretesa di “concepire il divenire” sono sorte guerre, sopraffazioni, tutto ciò che rientra in una esasperata volontà di potenza.

E’ bensì vero che il nichilismo e i pantecnicismo hanno manifestato i loro effetti conclamati solo nel ventesimo secolo con ben due guerre mondiali; ma è altresì vero che quivi il morbo di è manifestato allo stadio terminale dopo aver infettato l’occidente a seguito del tramonto di Parmenide (ben due millenni gli avevano dunque resistito).

Per Severino si tratta o di riscoprire la tradizione parmenidea oppure di rassegnarsi alla barbarie e al tramonto dell’Occidente .

L’esito della posizione di Severino richiama anche (così prospetta Marcello Veneziani nel suo “Antinovecento”) “l’atto eterno gentiliano ma si traduce in un’eresia ben più pesante di quella di Giovanni Gentile.

Infatti, Gentile era ancora convinto di essere cattolico, nonostante la sua improbabile riforma del cattolicesimo in senso immanentista (cattolicesimo ridotto a “religione civile”, riforma antiprotestante ma al contempo non accettabile dal magistero cattolico).

Severino invece fa esplicita apostasia dal cattolicesimo, destinato al tramonto: così per il filosofo bresciano il tramonto del cristianesimo non sarebbe che un capitolo del tramonto dell’Occidente.

Il “tutto è eterno” di Severino è veramente un assunto megalomane,ma al tempo stesso granitico: esso poggia su un atto di fede. soltanto la metafisica razionale della “philosophia perennis” può confutarlo, le altre forme filosofiche devono limitarsi al sarcasmo, non possono addivenire ad una confutazione della posizione di Severino.

Nonostante la sua apparente robustezza, questa posizione poggia però su un atto fideistico.

In termini di sana metafisica razionale tomista argomentiamo che l’immanente diviene, si genera, si corrompe (purtroppo la morte non è mai una fake news, come sostiene l’amico dottor Martino Mora), insomma non ha in sé la ragione d’essere, partecipa dell’eterno ma non è esso stesso eterno.

L’ eterno compete solo al Divino trascendente ma finitudine e contingenza nondimeno non devono offrire il destro a professioni di nichilismo, sono cifra e segno della miseria e grandezza dell’uomo come mirabilmente asserì Blaise Pascal.