Romano Guardini fu uno dei grandi ispiratori di Benedetto XVI (e prima di J. Ratzinger). Ma in cosa consisteva la sua teologia? Che idee aveva in ambito liturgico? A rispondere, almeno in parte, a queste domande è un articolo pubblicato dal sito Fsspx.news (titolo: I 50 anni della nuova messa: Romano Guardini) che volentieri offriamo ai nostri lettori.
Padre Romano Guardini è giustamente considerato come uno dei padri della nuova liturgia. Attraverso i suoi scritti, le sue esperienze liturgiche e la sua influenza, ha segnato il movimento liturgico e ha partecipato alla sua deviazione modernista.
Romano Guardini nacque a Verona nel 1885, una città che divenne di nuovo italiana nel 1866. Sua madre era originaria del Sud Tirolo o Alto Adige, territorio di lingua tedesca, che non era annesso all’Italia fino alla fine della Prima Guerra mondiale. La famiglia si trasferì a Magonza l’anno successivo. Dopo aver studiato chimica ed economia, Guardini si volse alla teologia. Fu ordinato sacerdote nel 1910. Conseguì il dottorato in teologia nel 1915.
Nominato cappellano di Magonza, divenne amico di Ildefons Herwegen, abate dell’abbazia di Maria Laach. Nel 1918, pubblicò L’esprit de la liturgie, il volume inaugurale della serie Ecclesia orans lanciata da Dom Herwegen, un’opera che sarebbe diventata ampiamente nota. Dopo la guerra, fu coinvolto in movimenti giovanili, dove si dedicò a delle “esperienze” liturgiche.
Dal 1923 insegnò a Berlino dove ricoprì la cattedra di Filosofia della religione e la visione del mondo cristiano, di cui fu privato nel 1939. Dopo la Seconda Guerra mondiale, riprese la stessa cattedra a Tubinga e poi a Monaco. Durante il Concilio Vaticano II, gli fu data la possibilità di partecipare alla commissione liturgica, ma il suo stato di depressione gli impedì di prenderne parte. Morì a Monaco di Baviera il 1° ottobre 1968. Lasciò numerose opere, in particolare sulla liturgia.
Una teoria rivoluzionaria sulla messa
Romano Guardini è uno dei primi liturgisti a considerare la messa prima di tutto come un banchetto. Nel suo lavoro Saggi sulla struttura della Messa 1, scrive: “Il principio esplicativo – nella concezione della messa – è (…) il pasto. Ma (la messa) ha perso la sua prima forma. Non c’è una tavola attorno alla quale siedono i fedeli, ma un altare che si è allontanato dalla comunità. Il prete è lì da solo di fronte alla chiesa, ai credenti. Non ci sono ciotole, brocche, piatti o tazze sull’altare. Tutto è raccolto nella patena e nel calice che hanno una forma che li distingue chiaramente dagli oggetti di tutti i giorni. Il cibo santo viene offerto ai fedeli in modo chiaramente diverso dal pasto quotidiano. E il cibo sacro è così diverso da quello quotidiano, che si potrebbe quasi parlare del pericolo che la forma del cibo, del pane, sia troppo ridotta”.
Per questo aggiunge: “Il credente ha un compito importante: deve vedere la tavola nell’altare, il Signore nel sacerdote, il pane nell’ostia, la coppa nel calice. Deve vedere la realtà, cosa si è svolto”.
È giunto a questa conclusione: “Allora, qual è l’essenza della messa? La risposta non è in dubbio: è quella di un banchetto. Proviene direttamente dalla sua istituzione. Gesù disse: Fate questo in memoria di me. Ma quello che ha fatto è stato realizzato durante un pasto commemorativo!”.
Guardini ne trae una conseguenza: “L’essenza della messa non è quindi il sacrificio. Questo non significa che non ci sia sacrificio. In esso risiede l’atto redentore, la morte espiatoria del Salvatore, e non è necessario sottolineare che è il cuore di tutta l’esistenza cristiana. Ma l’importanza di questo sacrificio divino ha, per così dire, subordinato tutto il resto. Il sacrificio è diventato il concetto da cui è stata compresa l’intera messa. (…) L’azione, per sua stessa natura di preparazione del pasto, è stata completamente assorbita dall’idea del sacrificio”.
E si lamenta di questa invasione: “Per dirla senza mezzi termini: nella coscienza dei fedeli, la messa non ha una forma chiara. Perché la forma del pasto è costantemente contrastata da quella del sacrificio e viene creato qualcosa di indeterminato”.
Spiega quindi la partecipazione alla messa: “Va detto: il principio esplicativo è quello del pasto. Questo spiega l’importanza della comunione. Come partecipare a un pasto? Mangiando e Bevendo. La comunione non è qualcosa che si fa da sola, ma semplicemente il modo in cui viene celebrata la memoria del Signore. Non disse: ‘Guardate questo e accadrà’, ma: ‘Prendete e mangiate … Bevetene tutti … Fate questo in memoria di me’. Senza comunione, la partecipazione alla messa, in effetti e nel suo senso più profondo, non raggiunge il suo scopo fondamentale. (…) La comunione non è un sacramento della stessa natura del battesimo o della cresima, ma è il compimento della memoria”.
Pratica liturgica d’avanguardia
Nell’ambito del suo apostolato con i giovani, Guardini mette in pratica la sua nuova concezione della liturgia. Altri innovatori della stessa epoca agiscono allo stesso modo, in particolare in Francia. I giovani, con il loro entusiasmo e la relativa mancanza di critiche, forniscono un terreno di prova ideale.
Padre Guardini ha così creato dei modelli di celebrazione, usando la linga volgare, celebrando rivolto ai fedeli o offrendo una grandissima ostia che ha distribuito a tutti. Questa pratica aveva lo scopo di mostrare la strada per il rito rinnovato del futuro. Guardini ha giustificato le sue innovazioni in questo modo:
“La celebrazione deve mettere in evidenza i grandi momenti dell’evento sacro, evidenziare le caratteristiche della sua struttura interna, incoraggiare una partecipazione più diretta da parte dei fedeli, ecc. Non fissiamo l’obiettivo di tale lavoro per il momento. Piuttosto, sarebbe una specie di ordine ideale, per il quale, tra l’altro, i lavori preparatori sono già molto avanzati”.
Una deviazione protestante
Questa concezione dell’Eucaristia ha una tendenza fortemente protestante: abbandona la dottrina cattolica sul sacrificio della messa. Guardini trasferisce l’essenza della messa al banchetto, alla Santa Comunione, le parti della liturgia che precedono sono solo preparatorie. Durante il pasto, ha luogo il ricordo degli eventi salvifici di Cristo.
Condanna di Pio XII
Il 20 novembre 1947, il Sommo Pontefice pubblica la sua enciclica sulla liturgia, Mediator Dei. Pio XII chiama la tesi secondo cui “la messa è sia sacrificio che banchetto” pericolosa. L’intero passaggio merita di essere citato:
“L’augusto Sacrificio dell’altare si conclude con la Comunione del divino convito. Ma, come tutti sanno, per avere l’integrità dello stesso Sacrificio, si richiede soltanto che il sacerdote si nutra del cibo celeste, non che anche il popolo – cosa, del resto, sommamente desiderabile – acceda alla santa Comunione.
Ci piace, a questo proposito, ripetere le considerazioni del Nostro Predecessore Benedetto XIV sulle definizioni del Concilio di Trento: in primo luogo […] dobbiamo dire che a nessun fedele può venire in mente che le Messe private, nelle quali il solo sacerdote prende l’Eucaristia, perdano perciò il valore del vero, perfetto ed integro Sacrificio istituito da Cristo Signore e siano, quindi, da considerarsi illecite. Né i fedeli ignorano – almeno possono facilmente essere istruiti – che il Sacrosanto Concilio di Trento, fondandosi sulla dottrina custodita nella ininterrotta Tradizione della Chiesa, condannò la nuova e falsa dottrina di Lutero ad essa contraria (enciclica Certiores effecti, del 13 novembre 1742, § 1). Chi dice che le Messe nelle quali il solo sacerdote comunica sacramentalmente sono illecite e perciò da abrogarsi, sia anatema” (Concilio di Trento, sessione XXII, canone 8, Dz 1758).
Si allontanano dunque dal cammino della verità coloro i quali si rifiutano di celebrare se il popolo cristiano non si accosta alla mensa divina; e ancora di più si allontanano quelli che, per sostenere l’assoluta necessità che i fedeli si nutrano del convito Eucaristico insieme col sacerdote, asseriscono, capziosamente, che non si tratta soltanto di un Sacrificio, ma di un Sacrificio e di un convito di fraterna comunanza, e fanno della santa Comunione compiuta in comune quasi il culmine di tutta la celebrazione.
Si deve, difatti, ancora una volta notare che il Sacrificio Eucaristico consiste essenzialmente nella immolazione incruenta della Vittima divina, immolazione che è misticamente manifestata dalla separazione delle sacre specie e dalla loro oblazione fatta all’Eterno Padre. La santa Comunione appartiene alla integrità del sacrificio, e alla partecipazione ad esso per mezzo della comunione dell’Augusto Sacramento; e mentre è assolutamente necessaria al ministro sacrificatore, ai fedeli è soltanto da raccomandarsi vivamente”.
Il Papa condanna qui la spiegazione che verrà ripetuta innumerevoli volte dopo il Concilio Vaticano II per difendere la riforma liturgica: la messa tridentina ha posto maggiormente l’accento sul carattere sacrificale, mentre la nuova messa pone maggiormente l’accento sul carattere del pasto; entrambi sono importanti perché la messa è sia un sacrificio che un pasto. In realtà, la tradizione non ha mai posto il pasto come principio. Quando l’Eucaristia è chiamata “pasto” o “banchetto sacrificale”, si riferisce alla comunione. Ma questa è solo il frutto del sacrificio.
Pertanto, la Chiesa ha reso obbligatoria la partecipazione al sacrificio della messa di domenica, ma mai la comunione della domenica. Se la messa fosse stata essenzialmente un pasto, i fedeli presenti avrebbero dovuto necessariamente ricevere la comunione, perché chi non mangia non partecipa! Se, contrariamente a tutte le regole della tradizione, la nuova legge canonica consente ai fedeli di comunicare una seconda volta quando partecipano a un’altra messa nello stesso giorno, ciò è certamente legato al presunto carattere di pasto della messa1.
Interpretazione di Guardini del giovedì di Pasqua Pasto di Pasqua
Guardini spiega: Dall’istituzione della messa, nell’ambito del banchetto pasquale, non risulta chiaramente che si tratta di un pasto? Il teologo Walter Lang risponde: “La Cena dell’Antico Testamento è chiamata banchetto, ma in realtà si tratta di una celebrazione sacrificale, che si svolge in memoria di questo primo sacrificio, dopo il quale Dio ha liberato il popolo dalla schiavitù di Egitto”2.
Nelle Scritture, il pasto della Pasqua ebraica è espressamente chiamato sacrificio. Il pasto faceva parte del sacrificio, proprio come molte offerte dell’Antico Testamento (tranne l’olocausto) erano seguite da un pasto dell’offerta sacrificale.
Cristo quindi scelse il contesto della celebrazione della Pasqua ebraica perché il sacrificio dell’agnello pasquale era la figura più chiara del suo stesso sacrificio. Dopo aver preparato il vecchio pasto pasquale per l’ultima volta, ha creato quello nuovo.
Robert d´Harcourt scrive giustamente: “Guardini è più un collaboratore che un insegnante. Non c’è mai qualcosa di definitivo, decisivo, dottrinale nel suo tono; non c’è mai nulla di fisso, definitivo … Teme classificazioni sistematiche, regolamenti, irrigidimenti. Ovunque si confermano i suoi sforzi per lasciare intatta la flessibilità del suo pensiero, l’esitazione che fa parte della natura del suo atteggiamento, la paura del concreto … “3
Ma questa vaghezza e questa esitazione non impedirono al pensiero centrale di Guardini sulla messa di generare una posterità disastrosa e di partecipare alla distruzione della liturgia romana, nonché alla deviazione della teologia del sacrificio della messa.
(Fonte: FSSPX – FSSPX.Actualités – 29/02/2020)
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