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a cura di Ilaria Pisa

Dopo aver espresso qualche dubbio estremamente fondato riguardo alla “selezione” operata tra malati da curare a causa del sovraccarico delle terapie intensive in certi ospedali lombardi, torniamo sulla scarsità di risorse sanitarie per fronteggiare l’epidemia, o meglio: sulla narrazione di tale scarsità. La criticità è indubbia, se così riporta ancora stamattina Adnkronos:

“Siamo vicini all’esaurimento delle nostre risorse. Stiamo facendo miracoli nell’aver recuperato più di 200 posti in terapia intensiva in una settimana e mezza. Dovremmo mettere a disposizione altri 100 posti in terapia intensiva nei prossimi giorni. Abbiamo un progetto per creare 400 posti di terapia intensiva presso la fiera di Milano”. Lo dice Attilio Fontana, presidente Regione Lombardia questa mattina a Rai Radio1.
“Speriamo che la protezione civile ci mandi il personale e i macchinari che ci mancano. Però se non interveniamo invertendo la crescita non ce la faremo mai ad essere veloci quanto il virus”, afferma. 

Avevamo poi lamentato l’anonimato delle più apocalittiche testimonianze e sembra che abbiamo ricevuto risposta: da Bergamo appaiono un nome e cognome, Christian Salaroli, anestesista, che al Corriere della Sera rilascia dichiarazioni del seguente tenore (fonte mediata HuffPost):

“Si decide per età, e per condizioni di salute. Come in tutte le situazioni di guerra”. È la testimonianza, agghiacciante, di un medico in prima linea contro il coronavirus. Christian Salaroli, 48 anni, è anestesista rianimatore dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo. Al Corriere della Sera racconta la battaglia sua e dei suoi colleghi contro il virus. 
La situazione è tale che il personale sanitario è costretto a scegliere chi salvare: “Siamo obbligati a farlo. Nel giro di un paio di giorni, al massimo. La ventilazione non invasiva è solo una fase di passaggio. Siccome purtroppo c’è sproporzione tra le risorse ospedaliere, i posti letto in terapia intensiva, e gli ammalati critici, non tutti vengono intubati.”

Nel fare queste valutazioni i medici devono stabilire chi ha più possibilità di salvarsi. Non esiste una regola scritta, spiega il dottore: “Al momento, nonostante quel che leggo, no. Per consuetudine, anche se mi rendo conto che è una brutta parola, si valutano con molta attenzione i pazienti con gravi patologie cardiorespiratorie, e le persone con problemi gravi alle coronarie, perché tollerano male l’ipossia acuta e hanno poche probabilità di sopravvivere alla fase critica”. Anche l’età è un elemento di valutazione: “Se una persona tra gli 80 e i 95 anni ha una grave insufficienza respiratoria, verosimilmente non procedi. Se ha una insufficienza multi organica di più di tre organi vitali, significa che ha un tasso di mortalità del cento per cento. Ormai è andato. Lo lasciate andare? Anche questa è una frase terribile. Ma purtroppo è vera. Non siamo in condizione di tentare quelli che si chiamano miracoli. È la realtà”.

La “scelta” su chi curare fa accapponare la pelle anche ai non cattolici, ma se fossimo “in guerra” e avessero bombardato i nostri ospedali, sarebbe comprensibile prendere atto che la volontà di curare tutti si scontri con la limitatezza della risorse. In presenza simultanea (attenzione) di più malati critici da intubare, potrebbe essere inevitabile allora salvarne solo alcuni.

Il problema però è proprio questo: 1) ci si riferisce ad un sovraffollamento simultaneo? O non, piuttosto, al mellifluo accantonamento del criterio “first come, first served“, cui faceva riferimento il già citato documento SIAARTI? 2) siamo veramente di fronte alla “catastrofe”, come si esprime anche il SIAARTI, ossia allo stato di guerra evocato dall’intervista (ad un anestesista, guarda caso)?

Ancora una volta, ci permettiamo di avanzare dei dubbi:

“Nel mio ospedale San Raffaele e credo in tutti gli ospedali che io conosco, tutti vengono curati nel modo migliore: gli anestesisti e i rianimatori italiani fanno i medici e curano tutti fino all’ultimo senza fare alcuna selezione ex ante. Diverso è dire che una persona anziana, probabilmente, ha meno chance a parità di terapia che viene erogata. Parlo da una terapia intensiva dove sono ricoverati pazienti gravi che stiamo curando”. Lo dice al Giornale Radio Rai Alberto Zangrillo, primario al San Raffaele di Milano, professore ordinario di anestesia e rianimazione, nei giorni scorsi in supporto anche all’ospedale di Lodi, commentando l’intervista al Corriere della Sera di Christian Salaroli, anestesista rianimatore a Bergamo, dove, secondo il medico “si decide in base all’età e alle condizioni di salute chi curare e chi no”.

Zangrillo, già medico di Silvio Berlusconi, aggiunge: “Se c’è un signore che fa l’anestesista a Bergamo che interpreta il suo ruolo come quello del rambo che si cura in base all’età e che lui fa la selezione di chi deve vivere e di chi deve morire sta descrivendo uno scenario di guerra, non risponde alla verità, se ne dovrà assumere le responsabilità non solo di fronte alla propria coscienza. Queste cose, se succedono nel suo ospedale, sono estremamente gravi”.

  • in secondo luogo, di fronte alla scarsità di posti letto in T. I. la prima opzione morale non è ovviamente “buttare i vecchi dalla finestra”, ma cercare di trasferire altrove chi è possibile. Come, infatti, si sta facendo (screenshot di questi giorni):
fonte: La Stampa
  • in queste ore troviamo su Twitter la seguente conversazione:
  • “i pazienti che non possono essere trattati sono lasciati morire”, afferma il sindaco di Bergamo. Beh, non essendo Bergamo un atollo nel Pacifico, sembrerebbe più logico e umano che chi non può essere trattato lì sia trasferito altrove. Oppure – la frase è oracolare – si deve intendere che ci sono pazienti che arrivano al PS già troppo compromessi, e non si può fare altro che accompagnarne l’agonia? (Così la testimonianza del dott. Daniele Macchini, che opera nella medesima zona) O forse piuttosto è “buona la prima”, e Gori intende proprio dire che nella sua città si sceglie chi lasciar crepare, ponendo in essere un’autentica eutanasia passiva (non si sa nemmeno quanto “eu”)?…

Sapete? Ci sembra che, in mezzo a tante testimonianze tragiche e credibili rese in questi giorni da chi lotta in prima linea per curare gli ammalati, con un certo gusto qualcuno instilli piccole fake, mezze verità, ibis redibis, dati ingigantiti o distorti, rendendo la narrazione dell’epidemia un “codice di disinformazione” che offre al lettore sullo stesso piano verità e fuffa.

Cui prodest? I dubbi che questa narrazione sia funzionale a rendere accettabile a tutti la soppressione dell’anziano con la scusa di (o in vista di…) un’epidemia, si fanno sempre più corposi. Speriamo di sbagliarci.

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