di Giuliano Zoroddu

In un precedente articolo Radio Spada ha voluto ricordare il V centenario della morte del “divino” Raffaello trattando degli Arazzi della Sistina realizzati su suo disegno. Oggi vogliamo parlare invece di quello che fu, per molti il suo capolavoro: il ritratto di Leone X. Realizzato per il matrimonio del nipote del Papa, Lorenzo di Piero de’ Medici, duca d’Urbino, con Madeleine de La Tour d’Auvergne, esso riuscì talmente bene all’Autore che alcuni, secondo un aneddoto tradito, gli si inginocchiarono davanti per presentare all’effigiato delle carte.
Papa Leone non poteva recarsi alle nozze: volle pertanto esservi presente in effigie.
Le figure dei due Cardinali – Giulio de’ Medici (futuro Clemente VII), figlio di Giuliano e cugino di Leone X, e Luigi de’ Rossi sempre cugino del Papa perchè figlio di sua zia Maria – furono secondo alcuni aggiunte in un secondo momento da Giulio Romano, ma ad ogni modo ben si situano nella composizione tutta tesa a sublimare, rimanendo tuttavia ancorato alla fisicità reale (la faccia ben rotonda ne è un esempio), la persona del Pontefice.
La mozzetta rossa bordata d’ermellino e il camauro esprimono inequivocabilmente la dignità papale del ritratto.
L’espressione facciale ed il sorriso vogliono trasmettere la proverbiale mitezza di Leone X, l’equilibrio sommo: la “calma dignità del sovrano che ha coscienza di sé e del diplomatico che fa con prudenza i suoi calcoli” come appropriatamente sintetizza Ludwing von Pastor.
Ai particolari, come la lente e la Bibbia preziosamente miniata aperta sull’inizio del Vangelo di San Giovanni, è demandata invece l’espressione e la magnificazione del mecenatismo del Papa mediceo ed il suo amore per il bello, per cui alla sua morte l’epigrafe sepolcrale recitava : “Deliciae humani generis Leo maxime tecum / Ut simul illuxere interiere simul” (Le delizie del genere umano con te, o Leone, e splendettero e perirono).
Tutta la scena pare rappresentare quasi un colloquio fra il Papa e i due porporati, uno scambio di idee sul codice miniato. L’effetto è quello di una estrema verisimiglianza che però non si dà come crudo realismo; di una rappresentazione fedele della persona di Leone, dei suoi modi, dei suoi interessi, del suo governo pontificio.
Vasari, nella Vita di Raffaello, così si esprime su questo capolavoro:
“[Raffaello] Fece in Roma un quadro di buona grandezza nel quale ritrasse papa Leone il cardinale Giulio dei Medici e il cardinale de’ Rossi nel quale si veggono non finte ma di rilievo tonde le figure: quivi è il velluto che ha il pelo, il domasco addosso a quel papa che suona e lustra, le pelli della fodera morbide e vive e gli ori e le sete contraffatti sì che non colori ma oro e seta paiono; vi è un libro di cartapecora miniato che più vivo si mostra che la vivacità e un campanello d’argento lavorato che non si può dire quanto è bello. Ma fra l’altre cose vi è una palla della seggiola brunita e d’oro nella quale a guisa di specchio si ribattono tanta è la sua chiarezza i lumi delle finestre, le spalle del papa ed il rigirare delle stanze; e sono tutte queste cose condotte con tanta diligenza credesi pure e sicuramente che maestro di questo meglio non faccia né abbia a fare”.
L’opera attualmente è conservata presso gli Uffizi, ma ne esistono anche altre copie, furono eseguite per il desiderio di possedere un’imitazione di quello che già i contemporanei consideravano una meraviglia impareggiabile.

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