Esclusiva di Radio Spada. Volentieri giriamo ai lettori le riflessioni di Iva Partita (nota anche come Partita Iva) su certa retorica facilona dell’#iorestoacasa.


di Iva Partita

Cara Radio Spada,

ho visto che hai trattato molto il tema dell’emergenza coronavirus e hai fatto bene. Hai pure proposto letture edificanti e contenuti formativi per investire al meglio il tempo in questo periodo di stop forzato.

Benissimo, d’accordo su tutto. D’accordo pure sul fatto che il contagio vada fermato, che sia necessario aver atteggiamenti responsabili e prudenti, che sia doveroso aderire alle linee guida dell’autorità pubblica.

Ci siamo su tutto, tranne su una cosa: la retorica.

Attenzione: non parlo di te! Parlo di certe uscite massmediatiche e facilone.

Ho visto in tv una rassegna di cantanti e attori milionari invitarci simpaticamente a stare sul divano, quasi dovessero convincerci, quasi fosse uno sforzo, quasi ci fosse bisogno di una strimpellata o una smorfia per farci decidere per l’opzione-comodità.

Eh sì, è tanto bello e facile stare sul divano. Ma non per noi.

Sì, è facile se sei uno studente che può rimandare gli esami foraggiato dalla paghetta di papà, se sei un lavoratore dipendente tutelato dalle leggi vigenti in materia di prestazioni, se sei un dipendente pubblico che risponde (più o meno diligentemente, dipende dai casi) a mamma-Stato, se sei un pensionato. Oppure se sei uno degli artisti milionari citati poco fa, che – divano o non divano – percepiscono diritti d’autore astronomici.

Ecco, per noi questa retorica facilona non vale. Il divano per noi è un sogno, non un incubo.

Perché? Te lo spiego subito:

Siamo tantissimi, un pezzo fondamentale dell’ossatura produttiva del Paese ma i nostri guadagni reali sono circa la metà di quello che fatturiamo. Il resto se lo prendono le varie tasse (con cui viene mantenuto in piedi il sistema pubblico).

Le tutele? Non sappiamo cosa siano: ferie pagate, giorni di malattia, maternità, ammortizzatori sociali… sostanzialmente non esistono. Quando non lavoriamo non portiamo a casa nulla. Si tratti del 15 di agosto, di Pasqua, di un giorno di lutto o di festa, di una settimana di malattia o di vacanza. Zero.

Chiaro? Bene, allora mettiti comoda perché ho appena iniziato.

I nostri diritti? Non abbiamo un sindacato, in senso stretto, che ci possa proteggere. Le tasse? Spesso ci troviamo a doverle anticipare allo Stato. E tutto in un sistema economico in crisi nel quale farsi pagare è una fortuna.

Il nostro lavoro non è garantito ma dobbiamo crearcelo: se siamo deboli, stanchi, malati, con problemi a casa, se chi ci deve soldi non ce li dà o se chi ci ha fatto promesse ci ha ingannato, sono SOLO (scusate il maisucolo) problemi nostri. E se anche tutto questo non accade, non è affatto scontato riuscire a stare a galla.

Siamo anche noi membri dell’esercito dei nuovi precari e lo siamo da una vita. Sul conto facciamo pure la parte dei paria, facilmente perseguibili dal fisco in quanto potenziali evasori.

Eccoci dunque pronti a restare a casa, con tutti i rischi (leggasi: “disastrose certezze”) del caso. Lo faremo, va bene.

Ma almeno risparmiateci il predicozzo.

Grazie,