di Massimo Micaletti

Miura, Espada, Islero, Jarama, Urraco, Jalpa, Diablo, Murcielago, Gallardo, Huracan, Aventador, Reventon… tutti i nomi delle Lamborghini hanno a che fare coi tori da combattimento o col mondo della corrida. Ma ci sono delle eccezioni: la prima Lamborghini in assoluto, ad esempio, si chiamava 350 GT (poi GTV e 400 GT); per non parlare della Countach, una delle automobili più iconiche di tutti i tempi.

Cosa significhi esattamente “countach” è discusso: è una esclamazione piemontese che esprime meraviglia ed impressione, per alcuni significa “contagio” (ehm…) per altri “devi averci a che fare, devi farci i conti“. Non si sa neppure chi l’abbia pronunciata in Lamborghini, dando così il nome a quello che nei primi anni ’70 era a tutti gli effetti un oggetto extraterrestre: secondo Paolo Stanzani, uno dei progettisti, fu il capo dei sorveglianti dello stabilimento ad esclamare “countach” quando la vide per la prima volta. Non c’è da dubitarne, dato che, quando fu presentata, al Salone di Ginevra del 1971, lasciò tutti a bocca aperta, tanto che il responsabile dello stand Porsche, a detta di un fotografo dell’epoca, chiese “Ma cos’è? Funziona?“.

Della Countach non si finirà mai di parlare: la linea tuttora mozzafiato, coronata dalle spettacolari porte a coltello, è un punto di riferimento per il design delle auto ad alte prestazioni, opera del sommo Marcello Gandini (il quale, giusto per dirne un paio, ha disegnato anche la Miura e la Lancia Strato’s).

Perché la Countach ha le portiere a coltello (o a forbice, o verticali…)? Solo per scena? Certo contribuiscono all’effetto astronave ma a suo tempo avevano una ragione ben precisa. In effetti, la struttura della macchina doveva essere irrigidita per sostenere le prestazioni del V12 da 440 cavalli di derivazione Miura, montato posteriormente in posizione longitudinale: questo comportava che una traversa passasse lungo le fiancate più o meno a mezza altezza, il che voleva dire ridurre drasticamente l’apertura per le portiere, tanto da non permettere la soluzione convenzionale “a libro” che vediamo in tutte le automobili. Si poteva optare per una portiera ad ali di gabbiano, come aveva fatto la Mercedes per la 300SL (proprio per questo nota come “gullwing”) o si era visto in alcune auto da corsa come la Porsche 917: tuttavia la struttura del tetto non lo avrebbe consentito sicché fu optato per lo schema a coltello, del tutto inedito. Le dimensioni estremamente ridotte delle porte comportarono anche che i finestrini non potessero esservi accolti completamente una volta abbassati: questo impose un’ennesima particolarità estetica della Countach, ossia i cristalli laterali in tre parti, una anteriore, una superiore ed una inferiore e solo quest’ultima può discendere, aprendo una feritoia che consente a malapena di prendere il biglietto al casello.

Già da questa caratteristica, potete comprendere che la Countach era immagine e prestazioni ma concedeva nulla alla praticità. Solo per dirne alcune: l’abitacolo si surriscaldava molto facilmente a causa del parabrezza enorme e molto inclinato e perché la paratia che lo separava dal motore non era isolata; per quest’ultima ragione, l’auto era anche molto rumorosa; la visibilità posteriore era quasi nulla, tanto che un primo lotto di 150 esemplari aveva sul tetto una feritoia per consentire allo specchietto retrovisore di funzionare decentemente (sono le cosiddette “periscopiche”, esemplari molto ricercati che hanno quotazioni vicine al milione di euro); lo sterzo era molto duro e la stabilità richiedeva una certa esperienza. Era un’auto pensata per l’estremo in tutto, per ribadire che Lamborghini era su un altro pianeta rispetto alle altre Case, anche a scapito della funzionalità e dell’uso concreto della macchina. Una Countach era fatta per prendersi la scena e ci riusciva benissimo e ci riesce ancor oggi: se avrete la possibilità di vederne una, mi comprenderete. La Countach numero tre, il terzo prototipo costruito, è a Sant’Agata Bolognese, nel Museo Lamborghini, e già lascia a bocca aperta: ma se vi imbattete in una di queste automobili in mezzo al traffico, vedrete l’effetto che fa. Nulla le somiglia.

Scomoda, poco pratica, con finiture così così, rumorosa: eppure la Countach è vissuta per vent’anni, fino al 1990. Aggiornata, affinata, persino smussata ma in fondo sempre lei, brutale e particolarissima, inavvicinata per carisma dalle supercar che l’hanno seguita. Forse, sulle sue stesse corde c’è solo la Ferrari F40, un’altra creatura alla quale è impossibile abituarsi.