da La Tradizione Cattolica, Anno XXIX – n°2 (107) – 2018
Testo raccolto da Aurelio Martino Sica.

Monsignor Leonardo Sapienza ha recentemente pubblicato (lo scorso 16 maggio) un libro su Paolo VI, intitolato “La barca di Paolo”. Reggente della Prefettura della Casa pontificia dal 2012 e Protonotario apostolico dall’anno successivo, mons. Sapienza è stato per 30 anni ufficiale addetto al protocollo. Alla fine del libro, a partire da pagina 148, viene narrata l’udienza concessa da Papa Montini a mons. Lefebvre a Castel Gandolfo l’11 Settembre 1976. Il pregio di questa pubblicazione è che presenta il resoconto ufficiale dell’udienza, che non era mai stato pubblicato finora. In esso si ritrovano gli elementi essenziali di una conversazione dolorosa tra i due protagonisti, che, fino ad ora, erano noti solo attraverso i racconti di mons. Lefebvre e ai suoi seminaristi. Per capire a fondo l’episodio, bisogna immergersi nel contesto di quel frangente storico.
PRIMA PARTE: LO SCONTRO
Il concistoro del 1976
L’incontro ebbe luogo alla fine della cosiddetta “estate calda” del 1976 che concludeva un periodo di forte tensione tra Ecône e il Vaticano. Il 6 maggio dell’anno precedente la fraternità era stata soppressa da mons. Pierre Mamie, vescovo di Friburgo e successore di mons. Francois Charrière, che 5 anni prima aveva dato la sua benedizione al nascente istituto. Monsignor Lefebvre si appellò al Santo Padre e depose un ricorso al Tribunale della segnatura Apostolica e, il 31 maggio 1975, scrisse una lettera al prefetto di questo tribunale (il Cardinal di Dino Raffa), per domandare un’udienza privata con il sommo Pontefice, ma Paolo VI non la accordò perché esigeva un atto di sottomissione previo e preferiva per il momento gli scambi epistolari.
Il 14 maggio 1976 davanti ai cardinali riuniti in un concistoro segreto, biasimò espressamente il comportamento del fondatore della Fraternità San Pio X: “si getta il discredito sull’autorità della Chiesa in nome di una tradizione, di cui solo materialmente e verbalmente si attesta rispetto; si allontanano i fedeli dai legami di obbedienza alla sede di Pietro come ai loro legittimi Vescovi; si rifiuta l’autorità di oggi, in nome di quella di ieri. E il fatto è tanto più grave, in quanto l’opposizione di cui parliamo non è soltanto incoraggiata da alcuni sacerdoti ma capeggiata da un vescovo, da noi tuttavia sempre venerato, Monsignor Lefebvre. E’ tanto doloroso il notarlo: ma come non vedere in tale atteggiamento – qualunque possono essere le intenzioni di queste persone – il porsi fuori dall’obbedienza e della comunione con il successore di Pietro e quindi della Chiesa?”.
All’origine di tale accusa nei confronti del vescovo francese, oltre alla questione giuridica dell’esistenza legale della sua opera, sta il suo rifiuto di applicare le riforme del Concilio Vaticano II, a cominciare dalla nuova messa entrata in vigore il 30 novembre 1969. E dunque Paolo VI intendeva trattare con estremo rigore quella che riteneva essere in primo luogo una questione di insubordinazione.
E’ per questa ragione che dichiara di fronte ai cardinali che il nuovo rito della messa “è stato promulgato perché si sostituisse all’antico, dopo matura deliberazione, in seguito alle istanze del Concilio Vaticano II. Non diversamente Il nostro Santo predecessore Pio V aveva reso obbligatorio il messale riformato sotto la sua autorità, in seguito al Concilio Tridentino. La stessa disponibilità noi esigiamo, con la stessa autorità suprema che ci viene da Cristo Gesù, a tutte le altre riforme liturgiche, disciplinari, pastorali, maturate in questi anni in applicazione ai decreti conciliari. Ogni iniziativa che miri a ostacolarli non può arrogarsi la prerogativa di rendere un servizio alla Chiesa: in effetti reca ad essa grave danno”. Nell’«affaire Ecône» è in gioco tutta l’opera del Concilio.
Visibilmente persuaso che il Vaticano II abbia la stessa autorità del Concilio di Trento e che la sua riforma liturgica valga tanto quanto quella di San Pio V, Paolo VI intima a Monsignor Lefebvre l’ordine di non procedere più a nessuna ordinazione. L’ingiunzione papale – firmata da mons. Giovanni Benelli, allora sostituto della Segreteria di Stato – giunge al prelato di Ecône il 21 giugno 1976, una settimana prima delle ordinazioni sacerdotali che hanno luogo nella festa dei Santi Pietro e Paolo, il 29 giugno.
Le ordinazioni sacerdotali avranno luogo?
Già l’indomani, Monsignor Lefebvre scrive al Santo Padre per manifestare il suo dolore e quello che inevitabilmente proveranno i seminaristi e le loro famiglie. Rinnova la sua profonda sottomissione al successore di Pietro e spiega “il turbamento e la confusione diffusi nella chiesa”, che sono “la ragione delle grandi riserve” da lui espresse riguardo al “pericoloso adattamento della chiesa al mondo moderno”. La lettera si conclude con una proposta: «Io dunque supplico sua Santità di permetterci un dialogo con dei delegati scelti da lei tra i cardinali che ci conoscono da tempo e, con l’aiuto della grazia di Dio, non c’è dubbio che le difficoltà si appianeranno».
La risposta di Monsignor Benelli, datata 25 giugno 1976, ratifica l’ingiunzione che gli è fatta di astenersi dal conferire ogni ordinazione. Riguardo al turbamento dei seminaristi, risponde con un’espressione che resterà nella storia:«non c’è nulla di disperato nel loro caso: se sono di buona volontà e seriamente preparati a un ministero presbiterale nella fedeltà vera alla Chiesa conciliare, ci si incaricherà successivamente di trovare per loro la migliore soluzione». Padre Eduardo Dhanis, inviato da Roma per recapitare la lettera, si reca da Monsignor Lefebvre a Flavigny la sera del 27 giugno e spiega al vescovo che tutto si risolverà se accetta di concelebrare la nuova messa con lui. La posta in gioco è tutta lì.
Monsignor Lefebvre non cede e decide di procedere alle ordinazioni sacerdotali. Nell’omelia del 29 giugno dichiara: «ci troviamo in una situazione davvero drammatica. dobbiamo scegliere tra un apparenza, direi, di obbedienza – perché Il Santo Padre non può domandarci di abbandonare la nostra fede, è impossibile – e la conservazione della nostra fede. Ebbene, noi scegliamo di non abbandonare la nostra fede, perché così facendo non possiamo sbagliarci. Scegliamo ciò che la Chiesa ha insegnato per 2000 anni; la Chiesa non può essere nell’errore. È assolutamente impossibile.È per questo che siamo attaccati a questa tradizione che si esprime in modo straordinario e definitivo nel Santo Sacrificio della messa, come ha detto con grande efficacia papa San Pio V». «Domani, probabilmente, nel giornale apparirà la nostra condanna. È possibile. A causa delle ordinazioni di oggi, forse sarò colpito io stesso da una sospensione. Questi giovani sacerdoti saranno oggetto di una sanzione che, in via di principio, dovrebbe impedire loro di dire la Santa Messa. È possibile. Ebbene, io faccio appello a San Pio V, che nella sua Bolla ha detto che nessun sacerdote potrà mai incorrere in una censura ecclesiastica – e questo con valore perenne – se celebra questa Messa. Di conseguenza questa scomunica, se dovesse essere comminata, e questa censura ecclesiastica sarebbero assolutamente invalide, contrarie a ciò che San Pio V ha solennemente affermato nella bolla promulgata con valore perenne» (cfr. bolla Quo Primum Tempore del 14 Luglio 1570).
L’estate calda del 1976
Poiché, dunque, si è rifiutato di abbandonare i suoi seminaristi e di mettere un termine alla sua opera di formazione sacerdotale, mons. Lefebvre si vede comminata, il 22 luglio, una sospensione a divinis. Questa severissima pena è la conseguenza delle ordinazioni sacerdotali conferite a Ecône. Durante l’estate la battaglia di mons. Lefebvre per conservare la Messa tradizionale e la fede nella sua integrità gli procura una fama mondiale.
Il 22 agosto, a Ecône, nella festa del Cuore Immacolato di Maria, cita la lettera di Monsignor Benelli nell’omelia: «Noi siamo con 2000 anni di chiesa e non con dodici anni di una nuova chiesa, una “chiesa conciliare”. Io non conosco questa “chiesa conciliare”. Io conosco solo la Chiesa Cattolica. Dunque dobbiamo restare fermi nelle nostre posizioni. In nome della nostra fede, dobbiamo accettare qualsiasi cosa, qualsiasi sopruso, anche se ci disprezzano, anche se ci scomunicano, anche se ci infliggono pene, anche se ci perseguitano.
La settimana successiva i media danno grande risonanza alla Messa di Lille, che attira, il 29 agosto, più di diecimila fedeli giunti per apportare il loro sostegno e la loro adesione al “vescovo di ferro”. La crisi sembra giunta al parossismo ed alcuni non esitano a parlare di scisma come se Monsignor Lefebvre si stesse preparando a fondare una piccola chiesa ed è invece proprio in questo momento che si prepara l’udienza con Paolo VI.
L’incontro dell’ 11 settembre 1976
Mons. Tissier de Mallerais, nella sua biografia di mons. Lefebvre scritta nel 2012, riporta che questo incontro fu organizzato grazie alla mediazione dell’arcivescovo di Chieti, amico personale del Papa. Il giorno prima il prelato di Ecône aveva redatto una domanda di udienza che fece portare da Albano Laziale, vicino a Castel Gandolfo, dove si trova la sede italiana della Fraternità San Pio X. In sostanza, come ricorderà in seguito, disse a Paolo VI ciò che ripeteva ormai senza sosta da quando era stato sospeso: «Non ho mai avuto l’intenzione di agire contro la chiesa tanto meno ti offendere sua Santità; sono rammaricato per il dispiacere che hanno potuto causare a sua Santità alcune delle mie parole o dei miei scritti» (B. Tissier De Mallerais, Marcel Lefebvre. Une vie, Clovis, Etampes 2012, p. 518).
Mons. Sapienza pubblica, a pag. 162 della sua opera, una fotocopia del messaggio scritto il 10 settembre da mons. Lefebvre: «Tengo ad esprimere, ben volentieri e in tutta sincerità, a Sua Santità il mio profondo spirito filiale e a dirLe che, se alcune espressioni nel mio discorso hanno fatto soffrire Sua Santità, me ne pento. Nella speranza di essere accolto paternamente da Sua Santità, Le ribadisco tutta la mia filiale affezione in Xto et Maria».
Il libro di mons. Sapienza contiene anche, e per la prima volta, il resoconto ufficiale della conversazione tra i due protagonisti dell’incontro, quale esso è stato redatto da mons. Benelli, che assistette all’incontro col segretario del Papa, don Pasquale Macchi. Stando al libro Pablo VI di Peter Hebblethwaite, la presenza del Sostituto sarebbe stata imposta dal Segretario di Stato della Santa Sede, il Cardinale Jean-Marie Villot.
SECONDA PARTE: L’UDIENZA
Le fonti e la loro autorità
Con la pubblicazione del libro di mons. Sapienza del 16 maggio 2018, abbiamo ormai a disposizione due fonti che ricostruiscono il famoso incontro tra Paolo VI e mons. Lefebvre dell’11 settembre 1976 a Castel Gandolfo.
La prima fonte che riporta l’avvenimento è mons. Lefebvre stesso, che raccontò subito l’episodio ai seminaristi di Ecône in due conferenze registrate (il 12 e il 18 settembre 1976). Su di esse si basa la ricostruzione dell’avvenimento di mons. Tissier de Mallerais nella sua biografia di mons. Lefebvre.
La seconda fonte, che finora era segreta, è la trascrizione dell’udienza che il Papa richiese di redigere «quanto più fedelmente possibile». Le parole dell’udienza, trascritte dunque da mons. Benelli, il sostituto della Segreteria di Stato, occupano otto pagine dattiloscritte.
Le due conferenze di mons. Lefebvre rappresentano una reazione viva, “a caldo”, subito dopo l’udienza e destinata ai suoi seminaristi, e dunque non aspirano a riportare tutti i dettagli, minuto per minuto, dell’udienza. Il verbale redatto da mons. Benelli, invece, è una trascrizione di quanto fu detto nell’udienza privata, destinata in un primo tempo al Papa e ai suoi collaboratori. L’autore ha annotato con precisione l’inizio e la fine della conversazione: dalle 10:27 alle 11:05.
La requisitoria introduttiva di Paolo VI
L’inizio della conversazione, secondo quanto riportato da entrambe le fonti, è una vera requisitoria contro il fondatore della Fraternità, «una tempesta», come egli stesso commenterà riportando ai seminaristi i rimproveri che il Papa gli muoveva: «Lei mi condanna, io sono modernista, protestante, E inammissibile! Lei si comporta male».
Il verbale di mons. Benelli consente di precisare la portata delle accuse:<<Spero di avere davantí a me un fratello, un figlio, un amico», dichiara Paolo VI. «Purtroppo», prosegue, «la posizione da Lei presa è quella di un antipapa. […] Ella non ha consentito alcuna misura nelle sue parole,nei suoi atti, nel suo comportamento». Ciò che è in gioco, continua il Papa, «non é la persona: è il Papa. E Lei ha giudicato il Papa come infedele alla Fede di cui è supremo garante. Forse è questa la prima volta nella storia che ciò accade. Lei ha detto al mondo intero che il Papa non ha la fede, che non crede, che è modernista, e cosi via. Debbo, si, essere umile. Ma Lei si trova in una posizione terribile. Compie atti, davanti al mondo, di un’estrema gravità».
Risposta di mons. Lefebvre: un Vescovo straziato dal dolore per la situazione della Chiesa
Mons. Lefebvre risponde riconoscendo che, se è vero che alcune delle sue parole o dei suoi scritti sono stati inopportuni, non ha mai avuto l’intenzione di colpire la persona del Papa. Ma la sostanza del problema risiede altrove: «Non sono io che voglio creare un movimento; sono le persone fedeli che sono straziate dal dolore e non accettano certe situazioni, Io non sono il capo dei tradizionalisti. Io sono un vescovo che, straziato dal dolore per ciò che accade, ha cercato di formare dei sacerdoti come faceva prima del Concilio. Mi comporto esattamente come prima del Concilio. Perciò non riesco a capire come sia possibile che all’improvviso mi si condanni per il fatto di formare dei sacerdoti nell’obbedienza alla sana tradizione della santa Chiesa».
Il Papa lo invita a proseguire, il che consente a mons. Lefebvre di precisare: «Molti sacerdoti e molti fedeli pensano che è difficile accettare le tendenze che si sono fatte giorno dopo il Concilio Ecumenico Vaticano II sopra la liturgia, sulla libertà religiosa, sulla formazione dei sacerdoti, sulle relazioni tra la Chiesa e gli Stati cattolici, sulle relazioni della Chiesa con i protestanti. Non si vede come quanto si afferma sia conforme alla sana Tradizione della Chiesa. E, ripeto, non sono solo a pensarlo. C’è tanta gente che la pensa così. Gente che si aggrappa a me e mi spinge, spesso contro la mia volontà, a non cedere».
Quali che siano le polemiche e le calunnie, talvolta alimentate dai media, mons. Lefebvre ritorna sempre sulla situazione straziante nella quale si trova, che non è altro che la conseguenza delle riforme volute dal Vaticano II. E sono appunto queste riforme che Paolo VI esige che lui accetti, come ha detto di fronte ai cardinali quattro mesi prima. Il nodo del problema è tutto lì. Perché, con queste riforme, è la fede che è in gioco. Il resoconto dell’udienza dell’11 settembre menziona esplicitamente questo aspetto: «Non so che cosa fare», spiega, disorientato, l’Arcivescovo: «lo cerco di formare dei sacerdoti secondo la fede e nella fede. Quando guardo gli altri Seminari, soffro terribilmente: situazioni inimmaginabili. E poi: i religiosi che portano l’abito sono condannati e disprezzati dai Vescovi, quelli che invece sono apprezzati, sono quelli che vivono una vita secolaresca, che si comportano come la gente del mondo».
Un dialogo tra sordi
Il Papa risponde affermando di star lavorando con tenacia per eliminare «certi abusi, non conformi alla legge vigente della Chiesa, che è quella del Concilio e della Tradizione». Rimprovera a mons. Lefebvre di non aver fatto lo sforzo di vedere e comprendere le azioni e le parole del Papa «per assicurare alla Chiesa la fedeltà all’ieri e la rispondenza all’oggi e al domani». Perché, continua il Santo Padre, «siamo [i] primi a deplorare gli eccessi. Siamo i primi ed i più solleciti a cercare un rimedio. Ma questo rimedio non può essere trovato in una sfida all’autorità della Chiesa. Gliel’ho scritto ripetutamente. Lei non ha tenuto conto delle mie parole». Mons. Lefebvre cerca di replicare illustrando la difficoltà concreta che motiva la sua reazione di sfiducia e la sua battaglia per conservare la fede. Tocca il tema della libertà religiosa, la principale novità introdotta nel Concilio Vaticano II: «Quello che si legge nel documento conciliare è contrario a quanto hanno detto i vostri Predecessori». Ma Paolo VI non vuole entrare nel merito; risponde che questo argomento non può essere trattato nel corso di un’udienza, e che tuttavia prende nota della perplessità del suo interlocutore, aggiungendo: «Quello che mi preoccupa non sono queste perplessità: è la sua attitudine contro il Concilio». Ancora una volta, di un problema dottrinale che investe la fede e la sua professione pubblica il Papa non vuole sentir parlare. Preferisce focalizzarsi sull’attitudine di mons. Lefebvre, che giudica ribelle e sgarbata, in quanto disobbedisce ad un Concilio ecumenico «che non ha meno autorità, anzi sotto certi aspetti è anche più importante di quello di Nicea», come gli aveva scritto il 29 giugno 1975.
Le battute che seguono sono molto sintomatiche.
Mons. Lefebvre: «lo non sono contro il Concilio, ma contro alcuni dei suoi atti».
Paolo VI: «Se non è contro il Concilio, deve aderire ad esso, a tutti i documenti».
Mons. Lefebvre: «Occorre scegliere fra quello che ha detto il Concilio e quello che hanno detto i vostri Predecessori».
Paolo VI: «Come ho detto, ho preso nota delle sue perplessità».
Con ogni evidenza, non ci si riesce in alcun modo ad intendere e si assiste ad un dialogo tra sordi: da una parte un prelato che cerca di esporre i motivi gravi che spiegano la sua condotta, e dall’altra il Santo Padre che gli rimprovera tale condotta senza però voler entrare nel merito dei motivi che ne sono alla base. Ed è senz’altro questa la ragione che spinge mons. Lefebvre a porsi allora sul piano pratico.
Una richiesta e la prontezza ad obbedire
Il Vescovo di Ecône cerca una via d’uscita per ottenere almeno, da questa udienza col Vicario di Cristo, un vantaggio per i tradizionalisti straziati dal dolore per la situazione della Chiesa: «Vorrei rivolgervi una preghiera. Non sarebbe possibile prescrivere che i Vescovi accordino, nelle chiese, una cappella in cui la gente possa pregare come prima del Concilio? Oggi si permette tutto a tutti: perché non permettere qualcosa anche a noi?».
Paolo VI si irrigidisce: «Siamo una comunità. Non possiamo permettere autonomia di comportamento alle varie parti». Mons. Lefebvre insiste, usando un argomento ad hominem: «Il Concilio ammette il pluralismo. Chiediamo che tale principio si applichi anche a noi. Se Vostra Santità lo facesse, tutto sarebbe risolto. Ci sarebbe un aumento di vocazioni. Gli aspiranti al sacerdozio vogliono essere formati nella pietà vera. Vostra Santità ha nelle mani la soluzione del problema che tormenta tanti cattolici nell’attuale situazione. Per quanto mi riguarda, sono pronto a tutto, per il bene della Chiesa: che qualcuno della Sacra Congregazione dei Religiosi sia preposto alla vigilanza del mio seminario; non farò più conferenze; resterò nel mio seminario. Prometto che non ne uscirò più; si potrebbero fare degli accordi con i vari Vescovi per mettere i seminaristi al servizio delle loro rispettive diocesi; eventualmente, si potrebbe nominare una Commissione per il Seminario, in accordo con mons. Adam», il Vescovo di Sion, nel Canton Vallese, sul territorio del quale si trova il seminario di Ecône. La conclusione del Vescovo riassume il suo intervento: «Personalmente sono pronto a sottomettermi. Ma bisogna trovare una soluzione che soddisfi sia l’autorità del Papa e dei Vescovi, sia i fedeli che sono nella sofferenza». Con ogni evidenza, mons. Lefebvre è pronto ad obbedire. Pur di appianare le difficoltà, va anche al di là di quanto ci si potrebbe aspettare; è pronto a mettersi completamente da parte, se necessario, pur di ridare alla Tradizione diritto di cittadinanza nelle chiese e regolarizzare la situazione del suo seminario. Ma Papa Paolo VI vuole, evidentemente, una sottomissione totale, senza dover fare alcun gesto in favore dei “tradizionalisti”: una capitolazione senza condizioni. Il Papa, allora, esorta mons. Lefebvre sic et simpliciter a rientrare nei ranghi, sulla scorta dell’intervento di mons. Adam, che a nome della Conferenza episcopale svizzera gli ha detto di non poter più tollerare l’attività del Vescovo francese: «Come potete considerarvi in comunione con Noi, quando prendete posizione contro di Noi, di fronte al mondo, per accusarci d’infedeltà, di volontà di distruzione della Chiesa?».
Poi rincara la dose: «Lei lo ha detto e lo ha scritto. Sarei un Papa modernista. Applicando un Concilio Ecumenico, io tradirei la Chiesa. Lei comprende che, se fosse così, dovrei dare le dimissioni; ed invitare Lei a prendere il mio posto e dirigere la Chiesa».
Di fronte alla tempesta che infuria nuovamente, mons. Lefebvre si sforza di avanzare come argomento una sobria constatazione: «La crisi nella Chiesa c’è…». «Ne soffriamo profondamente», taglia corto Paolo VI: «Lei ha contribuito ad aggravarla, con la sua solenne disubbidienza, colla sua sfida aperta contro il Papa». La tempesta ricomincia …
Servire la Chiesa, nonostante tutto
Mons. Lefebvre si lamenta di non essere stato giudicato, in questa vicenda, come avrebbe dovuto. «Il Diritto Canonico La giudica», replica immediatamente il Papa. «Si è accorto Lei dello scandalo e del male che ha fatto alla Chiesa? Ne è cosciente? Si sentirebbe di andare così, davanti a Dio? Faccia una diagnosi della situazione, un esame di coscienza e si domandi poi, davanti a Dio: “Che devo fare?”».
Secondo il verbale, mons. Lefebvre risponde restando sulla propria posizione, cioè sulla richiesta che sia fatto un gesto in favore dei tradizionalisti, avanzando come argomento il beneficio che si trarrebbe nel fare oggi ciò che è stato fatto nel passato: «Questa sarebbe la soluzione immediata. Come ho detto, io non sono capo di un movimento. Sono pronto a rimanere chiuso per sempre nel mio Seminario».
E a quel punto illustra il lavoro eccellente che vi si svolge, con la formazione di vocazioni sacerdotali autentiche: «La gente prende contatto con i miei sacerdoti e rimane edificata. Sono giovani che hanno il senso della Chiesa: sono rispettati nella strada, nel metrò, dappertutto. Gli altri sacerdoti non portano più l’abito talare, non confessano più, non pregano più. E la gente ha scelto: ecco i preti che noi vogliamo [i preti formati da mons. Lefebvre]». Per l’ultima volta mons. Lefebvre cerca di ritornare alla crisi che è la causa dei mali di cui soffre la Chiesa. Poiché l’argomento del pluralismo non ha sortito effetto, spiega al Papa come la liturgia sia oggetto di una creatività senza limiti: «Lei sa che ci sono almeno quattordici canoni utilizzati in Francia per la preghiera eucaristica?». Subito interviene il Papa: «Non quattordici, ma un centinaio…!». Vuole mostrare al suo interlocutore di essere perfettamente consapevole della situazione e di agire di conseguenza: «Ci sono abusi; ma è grande il bene portato dal Concilio. Non voglio tutto giustificare; come ho detto, sto cercando di correggere là dov’è necessario. Ma è doveroso, in pari tempo, riconoscere che ci sono segni, grazie al Concilio, di vigorosa ripresa spirituale fra i giovani, un aumento di senso di responsabilità tra i fedeli, i sacerdoti, i Vescovi».
Mons. Lefebvre ammette volentieri che ci possono essere, ovviamente, dei punti positivi:«Non dico che tutto sia negativo. Vorrei collaborare anch’io all’edificazione della Chiesa». «Ma non è così, di certo, che Lei concorre all’edificazione della Chiesa», replica Paolo VI. «Ma è cosciente di quello che fa? É cosciente che va direttamente contro la Chiesa, il Papa, il Concilio Ecumenico? Come può arrogarsi il diritto di giudicare un Concilio? Un Concilio, dopo tutto, i cui atti, in gran parte, sono stati firmati anche da Lei». E a questo punto il Pontefice si avvia alla conclusione dell’udienza.
La fine dell’udienza
Paolo VI dichiara di accettare con umiltà i rimproveri avanzati dal Vescovo francese e la sua severità. Giunto ormai al termine della sua vita, spiega, vuole riflettere e consultare i dicasteri. Aggiunge di aver stimato mons. Lefebvre: «Lei sa che […] ho riconosciuto le sue benemerenze, che ci siamo trovati d’accordo, al Concilio, su molti problemi…». «E vero», riconosce mons. Lefebvre. L’ultima parola, come si conviene, spetta al Santo Padre: «Lei comprenderà che non posso permettere, anche per ragioni che direi “personali”, che Lei si renda colpevole di uno scisma. Faccia una dichiarazione pubblica, con cui siano ritrattato le sue recenti dichiarazioni e i suoi recenti comportamenti, di cui tutti hanno preso notizia come di atti posti non per edificare la Chiesa, ma per dividerla e farle del male». E, prima di accomiatarsi invitandolo a pregare insieme un Pater Noster, un’Ave Maria e un Veni Sancte Spiritus, Paolo VI conclude: «Dobbiamo ritrovare l’unione nella preghiera e nella riflessione».
Precisazioni e differenze
Il verbale di mons. Benelli corrobora il racconto di mons. Lefebvre nei suoi elementi essenziali. Vi sono, tuttavia, anche delle differenze. Alcune di esse sono dei puri dettagli. Ad esempio, nel fare riferimento al diverso trattamento riservato a quelli che sono perseguitati per la loro fedeltà alla vita religiosa e quelli che sono incoraggiati nei loro abbandoni più scandalosi, mons. Lefebvre – che era reduce da una visita a Fanjeaux, dove le Suore domenicane insegnanti del Santissimo Nome di Gesù erano oggetto di una vera e propria persecuzione da parte del vescovo del luogo – si riferiva senz’altro ad esse: «Da una parte,le religiose che si mettono in abito civile sono accettate, dall’altra le suore che ho visto due giorni fa sono ridotte allo stato laico e il Vescovo è venuto cinque volte per domandare loro di abbandonare l’abito. Allo stesso modo, i sacerdoti fedeli al catechismo di sempre, alla Messa della loro ordinazione, sono messi in mezzo a una strada, mentre quelli che non hanno più nulla di sacerdotale sono accettati». Secondo l’anziano Arcivescovo, sono stati anche menzionati esplicitamente due documenti del Concilio ai quali egli aveva rifiutato di apporre la sua firma: Dignitatis Humanæ e Gaudium et Spes. Quando il Papa gli domanda perché si rifiuta di riconoscere la dottrina della libertà religiosa quale il Concilio l’ha promulgata, mons. Lefebvre cita, in particolare, diversi Pontefici romani: «Essa contiene dei testi che contraddicono parola per parola ciò che hanno insegnato Gregorio XVI,Pio IX…». «Lasciamo da parte questo. Non siamo qui per discutere di teologia», risponde il Papa. E mons. Lefebvre pensa tra sé e sé: «È incredibile!» (cfr. mons. Tissier De Mallerais, op. cit., p. 519).
Infine, il resoconto di mons. Benelli non fa minimamente menzione del «giuramento contro il Papa» che Paolo VI rimproverò duramente a mons. Lefebvre di far firmare ai seminaristi di Ecône. Ecco la versione dei fatti riportata da mons. Lefebvre il giorno dopo l’udienza, che si inserisce bene nel contesto della conversazione:
«Lei non ha il diritto di opporsi al Concilio», mi rimprovera Paolo VI.
«Lei è uno scandalo per la Chiesa, lei distrugge la Chiesa. È terribile, lei solleva i cristiani contro il Papa e contro il Concilio. Nella sua coscienza, non sente nulla che la condanna?».
Mons. Lefebvre: «Assolutamente no».
Paolo VI: «Lei è un incosciente».
Mons. Lefebvre: «lo ho coscienza di continuare la Chiesa. Formo dei buoni sacerdoti…»
Paolo VI: «Non è vero, lei forma dei sacerdoti contro il Papa, lei fa firmare loro un giuramento contro il Papa!»
Mons. Lefebvre: «Io?»
Di fronte a quest’accusa inaudita, mi metto la testa tra le mani e… ancora mi vedo mentre faccio questo gesto e dico: «Com’è possibile, Santo Padre, che lei mi dica una cosa del genere? Io, far firmare un giuramento contro il Papa! Potrebbe mostrarmi una copia di questo “giuramento”?»
È basito, perché era davvero convinto della verità di questa informazione che, probabilmente, gli era stata data dal cardinale Villot. Allora prosegue: «Lei condanna il Papa! Che ordine mi dà? Che devo fare? Devo dare le dimissioni, così prenderà il mio posto?»
«Oh!», e rimetto la testa tra le mani, «Santo Padre, non dica cose del genere… no,no, no! Mi permetta di continuare. Lei ha soluzione tra le mani. Lei non ha da dire che un’unica cosa ai vescovi: “Accogliete con comprensione questi gruppi di fedeli che tengono alla Tradizione, alla Messa, ai sacramenti, al catechismo di sempre; date loro dei luoghi di culto”. Questi gruppi saranno la Chiesa, in essi ritroverà delle vocazioni; sarà la parte migliore della Chiesa. I vescovi lo riconosceranno. Lasci continuare il mio seminario. Mi lasci fare l’esperienza ella Tradizione» (mons. TISSIER DE MALLERAIS, op. cit., pp. 519-520).
CONCLUSIONE
Una lezione per il nostro tempo
I momenti drammatici dell’«estate calda» del ’76 sono una pagina di storia ancora oggi di grande attualità. Paolo VI prendeva come un affronto personale le gravi accuse che mons. Lefebvre avanzava contro il Concilio Vaticano II e il vento di rivoluzione che soffiava a partire dall’immediato post-concilio. La riforma liturgica che cercava di mischiare la Messa cattolica con la cena protestante; l’ecumenismo senza limiti; la moltiplicazione delle esperienze (anche le più improbabili), ad eccezione di quella della Tradizione; l’adattamento al mondo della vita sacerdotale e degli ordini religiosi, che provocava una grave crisi di vocazioni; le dottrine più eterodosse che circolavano liberamente; gli abusi che si moltiplicavano in tutti i campi: la situazione della Chiesa era rapidamente divenuta catastrofica.
La reazione di mons. Lefebvre, la sua opera di formazione sacerdotale fedele a ciò che la Chiesa ha sempre fatto, la sua intenzione di servirla preparando l’avvenire e edificando sulla solida roccia della Tradizione, e la sua forte denuncia degli errori,con ogni evidenza, non venivano capiti. È sintomatico e davvero paradossale il fatto che sia mons. Lefebvre a proporre un dialogo e a cercare delle soluzioni, laddove Paolo VI, il propugnatore del dialogo su tutti i fronti, esige l’obbedienza e la più stretta sottomissione.
La dice lunga, benché non compaia nella trascrizione di mons. Benelli, anche l’episodio del giuramento che Paolo VI era fortemente persuaso che mons. Lefebvre facesse prestare contro di lui. «Tale giuramento», commenta mons. Tissier de Mallerais, «non è mai esistito. Nulla di simile è mai esistito. Questo significa che mons. Lefebvre era stato calunniato di fronte al Papa. E questo può spiegare il risentimento personale ancora vivo in Paolo VI». Questo può spiegare anche il fatto che il Papa pensava di avere a che fare con un Vescovo ribelle e sedizioso, animato dall’ambizione o da uno spirito vendicativo, che sarebbe bastato redarguire per farlo rientrare nei ranghi. L’udienza, per come ci è riportata, mostra che il suo risentimento finì per smorzarsi e che, quando è in gioco la fede, non tutto si risolve con un atto di obbedienza: non bisogna «obbedire prima a Dio che agli uomini» (At 5,29)?
Retrospettivamente, la pretesa di Papa Montini di proibire la Messa di san Pio V, espressa in modo particolare nel Concistoro del 1976, non ha avuto successo. Nel 2007, Papa Benedetto XVI ha anche dichiarato che il rito tradizionale del Messale romano non è mai stato abrogato. Un altro aspetto da rilevare in questo episodio è che Paolo VI, proprio come i suoi successori, non parla se non in nome del Concilio Vaticano II e delle sue opere. Come se la Chiesa non avesse duemila anni di saggezza, di dottrina, di insegnamento magisteriale da far valere e da trasmettere. Che è quello che propone schiettamente mons. Lefebvre al successore di Pietro: fare l’esperienza della Tradizione, con lealtà, utilizzando la Fraternità San Pio X per edificare la Chiesa. Non per soffocarla o per maritarla con la rivoluzione, ma per mostrare alle autorità – ai Vescovi del mondo intero – che la soluzione alla crisi nella Chiesa si trova proprio lì. Quanto all’udienza, essa non avrà seguito. È chiaro che il Papa aspettava da mons. Lefebvre una dichiarazione pubblica di ritrattazione, mentre mons. Lefebvre sperava in un gesto in favore dei cattolici divisi tra un’apparente disobbedienza al Papa e il dovere di restare fedeli alla fede, alla Messa, ai sacramenti.
Un’udienza senza seguito
La tensione è un po’ diminuita. Il 14 settembre 1976, intervistato nel corso di un telegiornale francese, mons. Lefebvre si mostra speranzoso: «Si sta instaurando un nuovo clima, si è rotto il ghiaccio. È stata una conversazione, una prima negoziazione, se si può dir così. Speriamo nel “via libera”, speriamo di essere accettati come tutte le esperienze che si fanno in questo momento… Il Papa mi ha detto che consulterà le Congregazioni per valutare questa eventualità. Paolo VI ha lasciato intendere che ci sarà un seguito a questo dialogo, ma non prima di due mesi. Dopo tutte le prove che ci hanno separato, non arriveremo certo ad una soluzione in un paio di giorni. Da parte nostra, non c’è nessuna intenzione di fare uno scisma, noi continuiamo la Chiesa. Nella misura in cui il Papa è sempre in unione con coloro che lo hanno preceduto e ci trasmette in modo esatto la verità dei suoi predecessori, noi siamo perfettamente uniti a lui. Quando si comincia ad entrare in delle novità, invece, bisogna esaminare se tali cambiamenti sono veramente conformi alla Tradizione».
Il 16 settembre il Superiore della Fraternità San Pio X invia una lettera al Santo Padre per ringraziarlo di avergli accordato quest’udienza: «Un punto in comune ci unisce», scrive, «il desiderio ardente di veder cessare tutti gli abusi che sfigurano la Chiesa. Mi auguro fortemente di collaborare a quest’opera salutare con Sua Santità e sotto la sua autorità, affinché la Chiesa ritrovi il suo vero volto».
L’11 ottobre Paolo VI scrive a mons. Lefebvre una lunga lettera per rimproverargli la sua «ribellione». Se da una parte prende atto del desiderio ardente del Vescovo francese di lavorare per la Chiesa, dall’altra lo biasima aspramente per il suo atteggiamento, che non si è modificato:«Lei parla come se avesse dimenticato le parole e i gesti scandalosi contro la comunione ecclesiale che lei non ha mai ritrattato. Lei non manifesta pentimento neppure per quella che è stata la causa della sua sospensione a divinis. Lei non esprime esplicitamente la sua adesione all’autorità del Concilio Vaticano II e della Santa Sede – il che costituisce l’essenza del problema – e prosegue la sua propria opera, che l’autorità legittima le ha espressamente domandato di interrompere».
I lineamenti essenziali dell’episodio sono chiari e resteranno tali per diverso tempo. Mentre mons. Lefebvre si ostina nel voler salvare la Messa e portare avanti la battaglia della fede, conservare la formazione e salvare il sacerdozio cattolico, l’autorità risponde esigendo «un’attitudine veramente ecclesiale di obbedienza senza riserve né condizioni». Unità, certo, ma nella verità.
Leggo ..il santo Padre non può domandarci di.. è impossibile… allora se è impossibile perché non lo ha dichiarato urbi et orbi?… è impossibile e quindi non è Papa, avrebbe evitato tanti guai e tante divisioni, a quest’ora la Chiesa sarebbe con loro. Se il Seminario è stato approvato nel 1971, e nel 1976 ci sono i problemi significa che monsignore aveva accettato anche il Concilio, senza fiatare. Infatti ha firmato i documenti. Non doveva firmarli. Non riesco a vedere il lato buono di un tale comportamento schizofrenico se non per la buona fede dei fedeli e per la conservazione della sana dottrina, ma la confusione è stata aumentata grazie a questi atteggiamenti per cui Paolo VI era l’anticristo ma era anche vicario di Cristo: il che è contraddizione di nuovo come la frase citata. Il ni evangelico da non attuare.
“Lei ha giudicato il Papa come infedele alla Fede di cui è supremo garante. Forse è questa la prima volta nella storia che ciò accade.
Lei ha detto al mondo intero che il Papa non ha la fede, che non crede, che è modernista, e cosi via. ….Lei si trova in una posizione terribile. Compie atti, davanti al mondo, di un’estrema gravità»
–Parole ineccepibili, secondo perfetta logica cattolica. Come può un cattolico, un vescovo per di più, dichiarare un Papa “infedele alla Fede”, di quella fede “di cui è supremo garante”, secondo la parola di Cristo?
Mons. Lefebvre, dispiace ripeterlo, non ha capito la contraddizione nella quale si trovava: quella di volersi fare lui papa. Dando così buon gioco al ‘papa’ Montini di rinfacciargli, dolente, la gravità del fatto…
Quando, invece, la logica di dottrina doveva imporgli l’ anatema CONTRO Paolo vi ( e predecessore e successore)- altro che Vicari di Cristo, Santi Padri, Papi… – da dichiarare e denunciare come NON-Papi, quindi nemici della fede cattolica. Ritorcendo contro di loro il richiamo al tribunale divino, da loro sfidato così insolentemente, con l’opera loro nefasta contro la Chiesa di Cristo e di Pietro.
Padre E.Dhanis chiede al Monsignore di concelebrare una messa conciliare con lui…. le aveva già celebrate , perché non rifarlo per andare avanti col suo Papa Paolo VI che è per lui Papa ad ogni effetto? E lottare dall’interno..
Vera l’accusa di Paolo VI, lei si pone come un antipapa, lei rifiuta il Papa. Vero, non doveva comportarsi così, doveva dire se lei si mette contro 20 secoli di Chiesa NON PUO’ ESSERE ciò che dice di essere: doveva allora fare la guerra aperta, il Vicario di Gesù non può predicare un vangelo diverso, un Papa (vero) non può essere anticristo:IMPOSSIBILE ontologicamente per l’infallibilità. Che caos ha causato, a quest’ora la resistenza avrebbe già vinto.