La nostra posizione sulla messa nuova e sul motu proprio che la equipara alla Messa Romana è chiara e chiaramente negativa. Rimandiamo ai tanti articoli pubblicati recentemente in occasione al nefasto cinquantenario della imposizione del Novus Ordo Missae. Tuttavia ci piace riprendere il seguente articolo del blog amico Chiesa e postconcilio della Dottoressa Maria Guarini di commento ai recenti provvedimenti in materia di liturgia antica emanati dalla Congregazione per la Dottrina della Fede.

Il 25 marzo, nella Solennità dell’Annunciazione del Signore, sono stati pubblicati due Decreti della Congregazione per la Dottrina della Fede, datati 22 febbraio 2020 festa della Cattedra di San Pietro, riguardanti la liturgia dei santi nel Rito Antico celebrato secondo il Messale di Giovanni XXIII del 1962 accompagnati dalle Note di presentazione.
- Il primo, “Cum sanctissima” ha riformato il calendario liturgico per permettere l’introduzione di nuove memorie per la celebrazione dei santi più recentemente canonizzati;
- il secondo, “Quo magis” approva il testo di sette nuovi prefazi eucaristici.
L’aggiornamento era stato previsto da Benedetto XVI, che nella Lettera ai Vescovi in occasione della pubblicazione del Motu Proprio Summorum Pontificum sull’uso della liturgia romana anteriore alla riforma effettuata nel 1970, chiedeva che fossero inseriti nel Messale del 1962 dei nuovi prefazi nonché i nuovi Santi canonizzati dopo il 1962.Il lavoro era stato affidato all’allora Pontificia Commissione Ecclesia Dei, istituita da Papa Giovanni Paolo II nel 1988 con il compito di seguire tutti coloro che desideravano conservare le tradizioni spirituali e liturgiche anteriori alla riforma del 1970. Le competenze della Commissione, per volere di Bergoglio, nel 2019 sono passate alla Congregazione per la Dottrina della Fede.
Il Dicastero per la Dottrina della Fede, che ha operato d’intesa con la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, sottolinea che la celebrazione dei santi più recenti non è che una possibilità, e di conseguenza, rimane facoltativa. Chi desidera, quindi, celebrare i santi seguendo il calendario della forma straordinaria così come stabilito dal libro liturgico, rimane libero di farlo. La scelta di avvalersi o meno delle disposizioni del Decreto è affidata al buon senso pastorale del celebrante.Dei sette nuovi Prefazi risultano quelli per: il SS. Sacramento, i Santi, la Dedicazione della chiesa – che già erano inseriti nell’appendice del Messale Romano del 1962, edizione francese – , i Martiri, gli Angeli, S. Giovanni Battista, e le Nozze. I testi sono pubblicati qui.
Reazioni interessanti. Nel prender tempo per un’analisi più approfondita, registriamo un dato significativo: le prefiche del N.O. già si stracciano le vesti scandalizzate. Vedi le parole di Grillo nell’articolo del 27 marzo Una Lettera Aperta sullo “Stato di eccezione liturgica” [qui] che – al di là del fatto che richiede molteplici chiose – dimostra due aspetti molto importanti comprovati proprio dal punto di vista dei novatori:
- tra antico e nuovo rito non c’è continuità, quindi non si tratta di un aggiornamento, ma della confezione di un rito totalmente nuovo (“al rito conciliare e a quello che lo smentisce”, scrive; se uno smentisce l’altro significa che vi è opposizione, con continuità).
- il nuovo rito ha mutato la fede mutando la lex credendi. E lo riconosce lo stesso Grillo: “sembra trascurare, proprio sul piano dogmatico, il grave conflitto che si crea tra lex orandi e lex credendi, poiché è inevitabile che una duplice forma rituale conflittuale induca una significativa divisione nella fede”
Allora significa, come sosteniamo da sempre [vi rimando a questo mio testo recente] e come attesta il Summorum Pontificum, (sorvolando sulla mossa strategica delle “due forme”) che il Rito antico non è morto, ma ancora vivo: ed è questo che fa gridare allo scandalo le prefiche dei novatori.
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