Il Vangelo del Giovedì della Quarta Settimana di Quaresima ci parla del miracolo operato da Gesù Cristo a Naim (o Nain) quando incontrato il corteo funebre del figlio unico d’una vedova, lo richiamo alla vita. La Santa Madre Chiesa nel Breviario, specificatamente nelle lezioni del Mattutino, dà di questo avvenimento della storia della salvezza una interpretazioni morale ed anagogica. E lo fa usando il commento del passo di San Luca (VII, 11-16) fa Sant’Ambrogio.

Questo passo si riferisce all’una e all’altra grazia (di cui abbiamo parlato): esso e ci assicura che la divina misericordia si lascia piegar subito ai gemiti di una madre vedova, soprattutto d’una ch’è fiaccata dalla malattia o dalla morte dell’unico figlio; d’una vedova infine del cui merito e gravità sono prova la folla che l’accompagna ai funerali: e ci fa vedere ancor più che una semplice donna in questa vedova, circondata da una gran folla di popolo, che meritò d’ottenere colle sue lacrime la risurrezione dell’unico e giovine suo figlio: perché essa è immagine della Santa Chiesa, che, in considerazione delle sue lacrime, ottiene di richiamare dal seno delle pompe funebri o dalla profondità del sepolcro per farlo ritornare a vita un giovane popolo: e le è proibito di piangerlo, perché gli è stata promessa la risurrezione.
Il morto veniva portato nella bara al sepolcro dai quattro elementi materiali, ma aveva la speranza di risorgere, perché veniva portato dentro del legno. Il quale sebbene non ci avesse giovato prima, pure, dopo che l’ebbe tocco Gesù, cominciò a servirci per la vita: affin di mostrare che la salute doveva essere resa al mondo per mezzo del patibolo della croce. Udita la voce di Dio, s’arrestarono dunque quegli spietati portatori del convoglio funebre, che spingevano il corpo umano (verso la dissoluzione) per il corso mortale della natura materiale. E noi non giacciamo forse esanimi quasi su d’una bara, cioè sopra uno strumento delle ultime pompe funebri, quando il fuoco di sregolate passioni ci brucia, o la freddezza ci inonda l’anima, o il vigore del nostro spirito s’affievolisce sotto il peso di questo corpo terreno e infingardo, o ancora quando venendo meno la pura luce al nostro spirito, esso nutrisce l’anima nostra d’un’aria pesante e viziata? Ecco i nostri portatori che ci conducono alla tomba.
Ma sebbene gli ultimi doveri resi ai morti abbiano tolta ogni speranza di vita, e i corpi dei defunti giacciano presso alla tomba; tuttavia alla parola di Dio, i cadaveri risorgono subito, ritorna loro la voce, un figlio è reso alla madre, esso è richiamato dalla bara, è strappato al sepolcro. Quale è per te questa bara, se non le cattive abitudini? La tua bara è la perfidia: il tuo sepolcro è la gola. Infatti è scritto: «Sepolcro aperto è la loro gola» Ps. 5,10, colla quale si proferiscono parole di morte. Cristo ti libera da questo sepolcro: ti leverà da questa bara, se ascolterai la parola di Dio. E se è un peccato grave che non puoi lavare tu stesso colle lacrime della penitenza, pianga per te la madre Chiesa, la quale interviene in aiuto di ciascuno dei suoi figli come la madre vedova per il suo unico figlio. Poiché ella è piena di compassione e prova un dolore spirituale che le è proprio allorquando vede i suoi figli trascinati a perdizione da vizi mortali.


da divinumofficium.com