La domenica II dopo la Pasqua è detta del Buon Pastore. La Chiesa Romana legge il passo della Prima Epistola di San Pietro (II, 21-25) che si conclude col monito: “Eravate come pecore disperse, ma adesso siete ritornati al Pastore e al Vescovo delle anime vostre“; ed la pericope di San Giovanni (X, 11-16) dove Nostro Signore si definisce Buon Pastore. Su questa famosissima pericope San Gregorio Magno tenne una magnifica omelia (la XIV), parzialmente riportata nel Breviario Romano, la quale è tanto attuale che ci piace riportarla.

Avete udito, fratelli carissimi, dalla lettura del Vangelo un insegnamento che vi riguarda . e avete appreso ancora a quale prova noi pastori siamo sottoposti. Ecco, colui che è buono non per una grazia accidentale, ma per essenza, dice: «Io sono il buon pastore». E nel darci il modello di questa stessa bontà da imitare, aggiunge: «Il buon pastore dà la sua vita per le sue pecorelle». Egli ha fatto ciò che ha insegnato: ci ha dato l’esempio di ciò che ha comandato. Il buon pastore ha dato la sua vita per le sue pecore, al fine di convertire (in nutrimento) nel nostro sacramento, il suo corpo e il suo sangue, e di saziare con l’alimento della sua carne le pecore che aveva redento.
La via che dobbiamo seguire, ad onta della morte, ci è stata mostrata; l’esempio al quale dobbiamo conformarci, ci è stato messo sott’occhio. Nostro primo dovere si è di impiegare caritatevolmente i nostri beni esteriori a favore delle pecore di lui: e poi, se sarà necessario, dare ancora la nostra vita per esse. Da questo primo grado di sacrificio, che è il più piccolo, si arriva fino all’ultimo ch’è il più grande. Ma siccome la vita è incomparabilmente più eccellente dei beni terreni, che ci sono esteriori; colui che non dà i suoi beni per le sue pecore, darà egli mai per esse la propria vita?
E ci sono di quelli che amando più i beni della terra che le loro pecore, non meritano più il nome di pastore: e di questi subito si soggiunge: «Il mercenario invece, e chi non è pastore, e padrone delle sue pecore, se vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge». Non pastore, ma mercenario vien chiamato chi pasce le pecore del Signore non per motivo di amore sincero, ma per vantaggi temporali. È un mercenario colui che tiene il luogo di pastore, ma non cerca il bene delle anime: colui che appetisce con avidità le comodità della vita presente, che si compiace dell’onore che è unito alla sua carica, si nutre di guadagni temporali e si rallegra dei riguardi che gli usano gli uomini.

(da divinumofficium.com)