di Federico Franzin
Solo qualche giorno fa si è parlato dell’attacco al segreto confessionale che ha preso forma, fornendo esempio ad altri paesi, bin Australia dove da tempo va avanti una grande indagine che ha portato alla condanna del Cardinale Pell per abusi su minore. Proprio da questo tipo di inchiesta nasce la proposta di legge (oggi legge federale) per indagare anche all’interno delle confessioni alla ricerca di eventuali prove e conferme di presunti abusi.
La notizia è che il Cardinale Pell è stato completamente assolto da tutte le accuse. L’alta corte australiana ha cosi ribaltato la condanna che ha portato l’alto prelato in carcere per 13 mesi di un complessivo previsto di 6 anni, in attesa di questa definitiva assoluzione e riabilitazione. Il processo ha riguardato un presunto abuso su minore di quasi 25 anni prima, basato quasi interamente sulla testimonianza diretta della presunta vittima la cui identità rimarrà per sempre segreta. Pubblici invece sono i teste (ben 20 testimonianze) che vanno a smontare direttamente l’accusa. Nonostante le enormi incongruenze nella ricostruzione dell’accusa fomentata poi dalla classica furia fanatica che accompagna questo tipo di vicende, il processo andrà avanti con la decisione di chi ha già la sentenza scritta. Dopotutto nel sistema australiano c’è la giuria popolare e popolare è l’astio anticristiano. Questo è assodato. E’ bene ricordare che il Caridinale Pell oltre ad avere una vita pubblica che parla da sè ha occupato una posizione di altissima rilevanza della gerarchia vaticana, ovvero capo della segreteria per l’economia, e quindi una condanna del genere rappresenta una sentenza esemplare non solo all’uomo ma soprattutto a ciò che rappresenta. Se vogliamo mantenere la stessa forma mentis lo è anche la sua assoluzione e sarebbe ingiusto che venisse semplicemente registrato l’errore giudiziario senza una adeguata ripresa culturale della questione. L’assoluzione è importante perché, nonostante lo stesso cardinale Pell giustamente non porti rancore verso l’accusatore e si affretti a dire che il suo processo non ha mai rappresentato un referendum sulla chiesa, in realtà in qualche modo un referendum sulla chiesa lo è stato eccome. Lo è stato alla luce della piaga anticattolica della società e alla sua inspiegabile ossessione tanto radicata da ritenere implicito e soprattutto accettabile ogni atteggiamento persecutorio. Non c’è solo il caso Pell ma la stessa ossessione malevola è presente in ogni singolo processo di natura simile, anche per il più sciagurato pretino di provincia accusato alla stessa maniera senza possibilità di superare ogni ragionevole dubbio. Ogni singolo caso va trattato e affrontato con la maggior serenità possibile, senza lasciare spazio a quella mentalità comune, viziata e astiosa oltre ogni ragionevolezza, radicata nell’odio per il sacro e soprattutto nella presunzione materialistica che ogni arma vada bene contro la chiesa, anche assenza in assenza di processo se fosse possibile. Ci pensano già le più divertenti trasmissioni televisive ad inseguire con i loro microfoni prelati, dove la sentenza e la condanna sono già implicite nell’accusa e nell’illazione. Non importa poi l’eventuale verità. Ci sarebbe da chiedere a che pro, dato che il metodo non si avvicina minimamente all’idea della ricerca di una verità o di giustizia ma ha più l’aspetto popolare della beffarda persecuzione. E questa malsana e ingiusta generalizzazione da non è forse un danno e un insulto per quelle vere vittime del degrado e malcostume sessuale che purtroppo imperversano nella società e che a volte purtroppo non ha risparmiato nemmeno alcuni ambienti del clero? In questo senso la chiesa è chiamata alla massima fermezza possibile ma al richiamo alla grande responsabilità nei confronti di quelle vittime che hanno dovuto affrontare tale orrore (e alla più dura severità nei confronti di chi si macchia di tali crimini) deve corrispondere anche una più forte e decisa difesa della verità.
Nel frattempo all’ingresso della cattedrale di Melbourne è apparsa una grande croce inversa e oltre a insulti al Cardinale anche la scritta “no justice”. La croce inversa rende sufficientemente chiara la matrice culturale nella quale naviga il fervore persecutorio contro la chiesa anche in queste delicate questioni. Il primo desiderio da uomo libero di Pell? Celebrare una messa.
Bah, cosa può non accadere in una nazione dove hanno il vizio di guidare sul lato sbagliato della strada !
Del resto dalle nostre parti, per altri versi, non siamo messi molto meglio.
E CHE TI FA il papa nostro Bergoglio a seguito del proscioglimento da ogni accusa del card. Pell, da parte dell’Alta Corte australiana? Dice che ”vorrebbe’ pregare per chi soffre una sentenza ingiusta per l’accanimento”…A parte questa motivazione- ‘per l’accanimento’, che non si sa che cosa voglia dire, quando accanimento non c’è stato, semmai pregiudizio e faziosità ideologica…, perché ‘vorrebbe’ e non ‘vuole’? Perché, come fu pronto a proibire ‘ senza condizionalità’, al detto cardinale , l’ esercizio del pubblico ministero, mostrandosi così solerte e pronto nel rispettare il lavoro dei tribunali, così pronto e puntuale a cavalcare l’onda giustizialista (per non perdere consensi?), perché non nominare chiaramente, per elementare senso di giustizia, per par condicio, la persona per la quale si vuole, anzi si ‘vorrebbe’, pregare? Meglio rimanere nel vago, meglio esprimersi in modo da non compromettersi, affermare un principio valido per sé, anche se non in modo assoluto, ma solo nella condizionalità di quel fantastico “vorrei” … Si capisce bene che il nostro Francesco non ha esultato alla notizia…Un ‘conservatore’ che gli torna tra i piedi, a infastidrlo.
E quanto al “primo desiderio” del cardinale, quello di celebrare una messa, mi piacerebbe sentire che ha inteso quella secondo il rito cattolico perenne..
A me pare ambiguo discutere di sentenza ingiusta il giorno dopo l’emissione di una sentenza giusta. L’inconsistenza delle prove su Pell e le aberrazioni procedurali erano state discussa su molti blog.
Ma il vostro parlare sia: “Sì, sì; no, no”…